Agorà

CALCIO. L’inno dei fratelli di maglia

Massimiliano Castellani sabato 9 giugno 2012
«Non siamo qui per vincere, ma per sorprendere...». Prandelli era partito per Euro 2012 con questo proposito, onesto, da realismo socialista stile vecchia Polonia, ma anche un po’ delneriano (vedi il dimesso Del Neri ai tempi della Juve). Del resto il rinnovamento azzurro c’è anche stato, questa Nazionale è sicuramente più etica e vicina alla filosofia oratoriale del Cesare da Orzinuovi («il calcio è prima di tutto un gioco» - non si stanca di ripetere), ma le scorie del recente passato non sono state ancora smaltite. Un gironcino morbido e la qualificazione scontata a Euro 2012 con due turni di anticipo, non possono cancellare la figuraccia epocale di Sudafrica 2010: usciti al primo turno dopo due pareggi con i peones di Paraguay e Nuova Zelanda e il flop finale con la Slovacchia. Ma, si può opinare: quella era la Nazionale di Lippi. Giusto, ma 11 degli azzurri attuali sono i figli di quella gestione. Un ciclo iniziato con un titolo iridato e quattro senatori della notte magica di Berlino, a distanza di sei anni - un’eternità nel calcio tritatutto - sono ancora qui: Buffon, Pirlo, De Rossi e Barzagli. Il difensore della Juve, ironia della sorte, allora non giocò: ora è infortunato (ma resta in gruppo e secondo i medici potrà giocare dalla terza partita). Ma gli altri sono tre garanzie sicure. E allora perché una simile cortina di ferro di sfiducia? Forse perché una Federazione sempre più assente (vedi Calciopoli e Scommessopoli) dà l’impressione di utilizzare Prandelli più come il Mario Monti della Repubblica fondata sul pallone, quindi per un governo tecnico della Nazionale di cui si ignorano termini e prospettive. Ma la missione di Cesare pare che dipenda essenzialmente dai due calciatori più ingovernabili della storia azzurra: il black-italian Mario Balotelli e l’ex casinista Antonio Cassano. SuperMario, eroe da fumetto per i bambini di Cracovia (è il più acclamato e ricercato per gli autografi) e merce quotidiana degli inviati dei tabloid inglesi che già scommettono sulla sua prima bravata in maglia azzurra. Mario che si sente «un genio, ma non ribelle», che a 22 anni ha vinto già 4 campionati tra Inter e Manchester City, che ha promesso «grandi partite» e che se l’Italia uscirà, «lo farà a testa alta». Ma intanto con la Nazionale in 8 partite ufficiali non ha ancora segnato un gol (unica rete con la Polonia in amichevole, che sia la terra giusta per lui?). Mario anima fragile, collezionista di cartellini rossi (8 turni di squalifica) nella pur liberale Premier, del gioca e lascia giocare. Eppure l’Italia pende dai suo piedi: «Mario, è quello che può darci quel qualcosa in più», ripetono in coro i suoi compagni fin dal primo giorno di ritiro. Tutti lo vogliono responsabile, «ma non si è ancora responsabilizzato, è lo stesso che ho conosciuto all’Inter… Mi fa arrabbiare e non solo a me», punzecchia Thiago Motta. Nel calcio però, si fa in fretta a cambiare idea, oltre che modulo. Così il bambino d’oro, viziato e immaturo che a Manchester lancia petardi dalla finestra, all’occorrenza diventa un Mandela, potenziale bersaglio delle frange razziste dell’Europa e simbolo della resistenza italiana. «Se insultano Mario, siamo pronti a reagire e ad uscire tutti assieme con lui dal campo», si stringono a coorte gli azzurri.Ma se capitasse qualcosa di strano, il primo a supportare Balotelli siamo certi che sarebbe il suo gemello diverso, Cassano. Fantantonio in questo momento, rispetto a Mario sembra un saggio. Otto anni di differenza con Balotelli e negli ultimi due si è sposato, è diventato padre, ha finalmente vinto uno scudetto (con il Milan), ma soprattutto ha visto la morte in faccia. E quella è un’esperienza che lo ha sicuramente segnato. Nonostante il “cuore matto” e l’operazione che lo ha costretto a 5 mesi di stop, è tornato. Resta da capire se il suo genio, merce preziosa per questa “anonima italiana”, sia intatto perché la sregolatezza parrebbe archiviata, stando a un certo tipo di riflessioni. Tipo? «Dopo aver visto morire improvvisamente in campo atleti come Bovolenta e Morosini volevo mollare». È il pensiero triste, eppure sensibilmente stupendo di un Cassano che è da Euro 2004 (l’Italia del Trap tradita dal “biscotto” Danimarca-Svezia) che cerca se stesso e insegue la vera consacrazione internazionale.«Voglio vincere il Pallone d’Oro», spara SuperMario. «Spero di continuare a giocare ancora un po’ e a divertirmi», dice un Cassano in pieno stile Prandelli. Non c’è difesa a tre che tenga o De Rossi in versione Cannavaro che funzioni o meno (a Zeman non piacendo). Se Mario e Antonio non si illuminano, questa Nazionale resterà al buio. E noi con loro.