Nel suo saggio,
Cibo e amore. Storia culturale dell’Oriente e dell’Occidente, appena edito in Italia da Raffaello Cortina (pagine 344, euro 32,00) l’antropologo e sociologo britannico Jack Goody smonta una serie di luoghi comuni molto diffusi, a partire dalla presunta diversità tra Oriente e Occidente, che per Goody sono una realtà sola: l’Eurasia (su questo argomento, Goody ha scritto anche un saggio in uscita tra qualche settimana dal Mulino:
Eurasia. Storia di un miracolo, che contesta la visione eurocentrica e mostra come il vero miracolo sia quello cominciato con la rivoluzione urbana e l’invenzione della scrittura, fra Medio Oriente, Cina e India, ben prima di quello che normalmente viene chiamato il «miracolo europeo» che ha imposto una supremazia occidentale). Indagando la storia del cibo e dell’amore in Oriente e in Occidente, scopriamo similitudini e insospettate radici comuni nella storia dell’arte culinaria e nell’amore romantico, che non sono un’esclusiva europea, ma un patrimonio comune alle culture scritte.
Professor Goody, è sbagliato considerare l’Europa e l’Asia due realtà storicamente differenti?«Sì, poiché entrambe sono civiltà dotate di scrittura, con una cultura “elevata” e molti più elementi in comune di quanto non si creda abitualmente, come si può dedurre dalla loro medesima origine, che risale all’età del Bronzo, quando nacque la prima società urbana nell’antico Vicino Oriente».
Che cosa ci dice, di nuovo, la storia del cibo e dell’amore?«Innanzitutto, ci conferma che l’alta cucina e l’amore romantico non furono un’esclusiva europea. Troviamo esempi di alta cucina a Oriente in India e in Cina, così come, successivamente, in Italia e in Francia, e prima ancora a Roma. “Civiltà del lusso” di questo tipo non furono una caratteristica esclusiva dell’Europa, ma più in generale di tutte le culture scritte dell’Eurasia. Anche l’amore non fu esclusivamente confinato in Europa, come la storia dei trovatori vorrebbe farci credere».
Perché è così importante la storia comparata delle differenze culinarie?«Per accantonare definitivamente l’idea che l’alta cucina sia un’esclusiva dell’Occidente. L’Oriente fu altrettanto “civilizzato”, come, paradossalmente, ci conferma l’attuale proliferazione dei ristoranti cinesi in tutto il mondo occidentale. La cucina asiatica ha suscitato a lungo una forte attrazione sull’Occidente, esercitando un’influenza che non si limita al cibo, dato che comportò, ad esempio, anche la migrazione del personale: solo i cinesi sapevano preparare in modo professionale il cibo cinese, e solo loro gestivano i ristoranti».
A proposito di abitudini alimentari, non trova curioso che, oggi, il vino sia proibito consumare vino proprio in quelle aree dove la vite fu coltivata per la prima volta?«Possiamo osservare che il vino era un prodotto di lusso, un bene superfluo e non necessario. Il suo abuso può condurre alla perdita di controllo, colpa considerata molto grave per le religioni puritane del deserto, che condannano allo stesso modo il lusso e altri eccessi».
Nel suo libro, viene descritto un ruolo della donna all’interno della storia della famiglia occidentale molto diverso dal solito cliché della donna ignorata o sottomessa. In che senso possiamo parlare di famiglie in cui la figura della madre è dominante?«Il ruolo della donna mi interessa perché non credo che, neppure nelle società cosiddette primitive, le donne siano mai state semplicemente “scambiate” tra gli uomini. In Eurasia, poi, il loro ruolo era più importante per il fatto che quasi sempre, col matrimonio, portavano la dote, gestendo così dei beni che rendevano la loro posizione più importante anche nel campo di affari prevalentemente maschili. Una donna senza fratelli diventava erede anche per quello che concerne ruoli di comando fino, addirittura, alla corona regale».
Quali sono i valori diversi nei sistemi famigliari europei ed asiatici?«Nonostante Malthus e altri scrittori dell’Ottocento, i sistemi famigliari europei e asiatici hanno molto in comune, a cominciare dalla dote e dal fatto che anche le donne, col matrimonio, ereditavano parte dei beni, anche se spesso, in minore quantità dei loro fratelli. Il cristianesimo, però, impose regole precise e proibì il matrimonio tra parenti prossimi che talvolta era comune in Oriente, come lo era nell’antica Roma. L’Oriente, invece, aveva matrimoni più precoci, ma la fertilità maritale era più bassa, e quindi non ci fu grande differenza».
In che modo l’etnocentrismo di molti studi occidentali distorce la comprensione della storia?«Perché non vede assolutamente le somiglianze tra Oriente e Occidente, diffondendo l’idea che solo l’Occidente inventò il capitalismo, cosa che può essere molto ingannevole e ostacolare la comprensione dell’ascesa della Cina e dell’India. Fino alla fine del diciottesimo secolo, la Cina era la più grande nazione esportatrice; i suoi attuali risultati, in linea di principio, non sono affatto “nuovi”».
Lei critica sia l’approccio alla storia di Marx che quello di Weber, e rivaluta l’importanza di James Frazer. Forse lo studio della letteratura e del mito è più utile all’antropologia dell’economia o della sociologia?«Penso che Marx e Weber abbiano dato un po’ troppa enfasi alle conquiste dell’Occidente, il che può andare bene per l’Ottocento, ma distorce quello che è accaduto prima. Personalmente, ritengo sia l’economia che la politica molto importanti in tutte le società, mentre il mito e la letteratura giocano un ruolo meno importante, tranne che, ovviamente, per gli studiosi di letteratura».