Anniversario. Eterno Trintignant, il suo "Sorpasso" al tempo
Jean-Louis Trintignant con Vittorio Gassman nel film 'Il sorpasso' (1962) di Dino Risi
«Era un suo parente?», chiede il carabiniere a Bruno Cortona ( Vittorio Gassman) nella tragica scena finale de Il sorpasso di Dino Risi. «Si chiamava Roberto, il cognome non lo so. L’ho conosciuto ieri mattina», risponde Bruno. Di cognome Roberto faceva Mariani e a interpretarlo, un perfetto timido e bel tenebroso – come il suo personaggio –, l’allora trentenne Jean-Louis Trintignant, subentrato, a riprese in corso, al connazionale Jacques Perrin. Il pubblico italiano, specie quello femminile, rimase folgorato da quel francese dall’aria aristocratica, figlio di una famiglia di imprenditori provenzali (di Piolenc), che, dopo aver studiato teatro, sul grande schermo si era già fatto conoscere nel 1956 in Piace a tutti. E Dio creò la donna. Pellicola di Roger Vadim, in cui il giovane Trintignant recitava al fianco del sex symbol Brigitte Bardot: una delle sue tante conquiste amorose in 90 anni di vita che cadono venerdì 11 dicembre. Ci piace immaginare che oggi nel suo rifugio bucolico, a Uzés, riguardi la sua lunga esistenza come un film, ricordando certamente che una parte fondamentale del percorso da icona del cinema internazionale gli deriva anche dalla campagna in Italia. Infatti, “Una carriera italiana” si intitola il capitolo di Alla fine ho deciso di vivere (Mondadori), la sua biografia- conversazione con André Asséo. Prima che Risi lo scegliesse per Il sorpasso (film del 1962, considerato, anche dagli americani, il primo vero road movie) il ragazzo di Piolenc rispose alla chiamata di Valerio Zurlini che, nel 1959, firmava la regia di Estate violenta. In quel film Trintignant è Carlo Caremoli, figlio di un gerarca fascista che, nell’estate bellica del ’43, grazie all’intercessione del padre viene esentato dal servizio militare. Cosa che nella realtà Trintignant non era uscito a evitare e, anzi, per servire la patria in Algeria aveva dovuto lasciare il cinema. Zurlini è stato il primo regista italiano a dirigerlo e l’attore ne rimase affascinato, per quell’aura intellettuale e il mistero umano che si portava dietro. «Valerio era un esperto d’arte, una persona molto colta. Si dice che fosse il figlio naturale di Mussolini, ed è vero che gli assomigliava enormemente e che, come il dittatore, anche lui era nato a Rimini (Predappio, ndr) », ricorda Trintignant che sulla spiaggia di Riccione dimenticò la guerra e poi con Il sorpasso ritrovò quella joie de vivre dell’attore e dell’uomo alla ricerca del tempo perduto. Nel 1963, per acclamazione popolare, con Gassman si ritrovano di nuovo insieme sul set de Il successo, opera di Giulio Morassi che smentisce il titolo e gli esiti del capolavoro di Risi, il quale comunque sarà l’uomo ombra (regista non accreditato) del film. Il flop non assopisce l’entusiasmo del francese stregato dall’Italia, e dal suo popolo. «Gli italiani sono artisti. Sono persone così raffinate, espansive piene di ironia – dice l’attore – . Sanno scherzare su se stessi e sui valori sacri verso i quali dimostrano comunque un grande rispetto». Massimo rispetto anche per «l’artigianato» cinematografico, senza copioni, con i dialoghi registrati in studio solo dopo le riprese. «Il cinema italiano era tutto così dinamico, così interessante. Il suono invece era un elemento assolutamente trascurato. Non so perché, ma se ne infischiavano. Anche Federico Fellini girava senza sonoro».
Successo assai sonoro per lui con Un uomo, una donna (1966) di Claude Lelouch, in cui inizia l’intreccio particolare e costante tra la vita privata del-l’attore e la fiction. Lelouch gli assegna il ruolo di un pilota, ben sapendo che era il nipote di quel Maurice Trintignant, pilota di Formula 1. Un anno fa Lelouch ha girato il secondo sequel (il primo nell’85: Un uomo, una donna oggi, con I migliori anni della nostra vita in cui Trintignant ha ritrovato la sua compagna Anouk Aimée, alla quale in una scena confida nostalgico: «Da giovane ero carino sa?». Da giovane era considerato il Marcello Mastroianni d’Oltralpe e con il Marcello nazionale nel 1975 lavorò ne La donna della domenica di Luigi Comencini, tratto dall’omonimo romanzo dei nostri scrittori più francesi, Fruttero e Lucentini. Anche il suo ’68’ Trintignant lo vivrà in Italia, accettando la proposta semindecente di Giulio Questi, uno dei più originali e stravaganti cineasti che abbiamo avuto, e troppo presto dimenticato. «Giulio Questi è un genio. Non leggere nemmeno la sceneggiatura. Fai il film. Firmato: Valerio Zurlini», è il testo della lettera apocrifa che lo convince a recitare in La morte ha fatto l’uovo. Durante una pausa delle riprese Trintignant soddisfatto della scelta rivelava a Questi che era stato Zurlini a caldeggiare il film, parlandogli del regista in termini entusiasti. «Lo so, sono stato io a inviarti quel telegramma! », confessò Questi suscitando in Trintignant una irrefrenabile ilarità. L’Italia ha insegnato all’ombroso “attor provenzale” l’ironia, l’arte della sdrammatizzazione, che ritroverà anche negli altrettanto esilaranti Sergio Corbucci, con cui gira Il grande silenzio, e Pasquale Festa Campanile che lo chiama ne La Matriarca, entrambi film del 1968. Dopo la parentesi con Costa Gavras in Z-L’orgia del potere, torna in Italia e per Giuseppe Patroni Griffi è il protagonista, con Lino Capolicchio, di Metti una sera a cena. Ma la vita morde forte in scena, e lo fa sanguinare. È il 1969, quando Bernardo Bertolucci ottiene il primo grande tributo universale con Il conformista (uscito nel 1970), complice l’interpretazione magistrale di Trintignant. Il timbro drammatico e la sua «prostrazione » erano autentiche, in quanto dettate dalla 'morte bianca' della figlia Pauline. «Una mattina prima di uscire per andare sul set mi sono avvicinato alla culla di Pauline per darle un bacio. Era morta ». Ricorda così la sua tragedia famigliare che avrebbe indotto chiunque a mollare, ma non questo poeta anarchico delle scene, che visse e vive ancora d’arte. Con l’abbraccio fraterno di Bertolucci tornò sul set per «quella che è stata probabilmente la mia migliore interpretazione al cinema». Bertolucci lo avrebbe voluto ancora protagonista di Ultimo tango a Parigi ma con l’umiltà dei grandi declinò l’invito, ammettendo con pudore: «Non avrei mai osato girare delle scene tanto audaci e amavo troppo Bertolucci per costringerlo a rinunciare a fare il film che voleva». Il film che “volevano”, sì perché Trintignat lasciò il ruolo a Marlon Brando ma collaborò comunque alla sceneggiatura. Trintignant attore da Oscar, che non ha ricevuto personalmente, ma ha contribuito a farlo vincere a Michael Haneke con la struggente storia dei due coniugi ottantenni di Amour. Un film “testamento esistenziale”, con annesso acceso dibattito sul fine vita, quando nel 2013 uscì nelle sale. Ma il film «testamento cinematografico», Trintignant ritiene di averlo vissuto quarant’anni fa, e sempre in Italia, con La terrazza di Ettore Scola. Un film «incompreso, sia in Italia che in Francia», in cui con orgoglio si vanta di aver recitato al fianco dei più «grandi attori della commedia all’italiana. Mancava solo Sordi (mai conosciuto, ma lo considero uno dei più grandi attori esistiti), c’erano Tognazzi, Gassman e Mastroianni». E il testamento è scritto proprio in quel cast: «Ecco, è tutto finito. Il genere di commedia che abbiamo tanto amato, si è esaurito ». Nel 2003, quando la sua amata primogenita Marie morì, massacrata di botte dal cantante Bertrand Cantat, dopo 120 film anche per lui sembravano essere arrivati i titoli di coda. Ma il teatro lo ha rianimato e non c’è stata replica nella sua memoria in cui non abbia rivissuto quella volta che «in scena con Marie ci ascoltavamo a vicenda. Una sera, ha recitato tutto il testo piangendo. Io ero scioccato e ho recitato in modo completamente diverso». A 90 anni Trintignant cambia ancora registro, stupisce. E ai giovani che inseguono il suo stesso «sogno» mai interrotto, consiglia: «Quando si è alla ricerca di un equilibrio interiore, fare l’attore non è il mestiere ideale. Un giardiniere è senz’altro più felice… ma è anche pagato meno bene».