Archeologia. Eros violento e caste sabine: i segreti del carro di Pompei
Il cassone del carro ritrovato a Pompei, negli scavi della villa di Civita Giuliana
Un nugolo di esperti è stato convocato al “capezzale” del sensazionale reperto archeologico della villa di Civita Giuliana fortunosamente sfuggito ai trafugatori di opere d’arte. Il loro lavoro in itinere, documentato da video e foto in rete che hanno fatto il giro del mondo, è stato di assoluta eccellenza; le interpretazioni del reperto, però, non sembrano esserne all’altezza, finora.
Secondo Massimo Osanna, direttore uscente del Parco Archeologico di Pompei, si tratterebbe del tipo di carrozza a quattro ruote che gli antichi chiamavano pilentum, benché questo carro pompeiano, l’unico venuto alla luce da uno scavo archeologico, resti unico anche per altre ragioni: è quasi intatto e riccamente decorato. Oltre alla struttura con gli elementi in ferro, le decorazioni in bronzo e stagno, legno di faggio mineralizzato, la cinerite ci ha conservato traccia di elementi organici: cuscini, funi, e l’impronta di due spighe sul sedile. Tre anni fa, nella stalla attigua al portico dove è stato rinvenuto il carro, si sono ritrovati i resti di tre sauri, di cui uno con ancora indosso una ricca bardatura bronzea.
Quanto ai soggetti delle decorazioni, e alla destinazione del carro, Osanna ha poi spiegato che «le scene dei medaglioni che impreziosiscono il retro del carro rimandano all’eros, satiri e ninfe, mentre le numerose borchie presentano eroti»; e poiché «le fonti antiche alludono all’uso del pilentum da parte di sacerdotesse e signore», non ha escluso che possa trattarsi di «un carro usato per rituali legati al matrimonio, per condurre la sposa nel nuovo focolare domestico». Infatti, secondo le fonti il pilentum era un tipo di veicolo lussuoso, a quattro ruote, colorato di azzurro o rosso (Servio ad Aen. 8, 666), come il carro pompeiano; era destinato a portare matrone in occasione di cerimonie sacre e ludi (Livio 5, 25, 9), sacerdotesse Vestali (Prudenzio contra Symmachum 2, 1089) e donne di alto lignaggio che andavano a maritarsi (Claudiano epithalamium de nuptiis Honorii 286-287).
Tuttavia scene erotiche forti (come sono appunto quelle impreziosenti il carro di Pompei) non si addicono al pilentum per matrone e funzioni sacre ( Virgilio Eneide 8, 665-666 “caste madri di famiglia trasportavano sacri arredi per la città su pilenti ondeggianti”), tanto meno alle vergini sacerdotesse di Vesta; e non sono satiri e ninfe, simboli mitologici dell’eros sfrenato, a rappresentare il corredo del pilentum pompeiano usato (come parrebbe) nell’ambito di un’aristocratica cerimonia nuziale, neppure nella “licenziosa” Pompei. L’impressione è che le ipotesi interpretative finora messe in campo (le scene “erotiche” hanno fatto pensare a Venere, l’impronta delle due spighe al culto di Cerere) siano un po’ azzardate, in assenza di un solido contesto di riferimento (non ancora individuato) che spieghi, in modo univoco, i vari elementi compresenti in questo complesso reperto archeologico.
Vediamo, perciò, di spiegarne i singoli elementi e rapportarli al contesto da cui discendono. Le spighe di grano sono, notoriamente, collegate a diverse cerimonie cultuali e festività romane, tra queste ci sono i Consualia e cioè le due festività, la maggiore il 21 agosto al termine della raccolta e la seconda il 15 dicembre a fine seminagione, in onore dell’antichissimo Consus, il dio protettore del grano e dei silos (entrambe le festività erano seguite, con un intervallo di giorni pari, da due feste in onore della dea Ops, personificazione dell’abbondanza agricola).
Per quanto il dio fosse caduto in oblio, la sua festa si celebrava ancora in età augustea e il suo culto fu restaurato da Augusto. Secondo Tito Livio (I 9) le festività Consualia furono istituite da Romolo in onore di Neptunus equestris, con cui Conso veniva identificato; si celebravano con ludi circenses, in forma di corse di cavalli e muli, mentre gli equini astanti erano coronati di ghirlande floreali e nell’occasione dispensati da ogni lavoro (Dionigi d’Alicarnasso II 31, 2). Non è da escludere che le bardature di bronzo del sauro pompeiano riecheggiassero tali agghindature floreali.
Il particolare di uno dei medaglioni del carro di Pompei, che potrebbero raffigurare il ratto delle Sabine - Ansa
E veniamo ai due bellissimi medaglioni sul retro del cassone, di cui particolarmente quello a destra di chi guarda ha tratto in errore poiché la figura maschile che si protende in avanti per afferrare la donna ha fatto pensare a un satiro. In verità questa figura non ha gli attributi del “satiro”, come conferma la nerboruta figura maschile, nel medaglione a sinistra di chi guarda. Nella scena a destra l’uomo, ghermitane la veste, si proietta sulla donna recline sul fianco destro, in atto di respingerlo col braccio sinistro proteso e appoggiato sul petto di lui, nel mentre che col palmo della sinistra tenta di accarezzare il mento di lei sfuggente all’indietro. Nella scena a sinistra l’uomo nerboruto, a gambe piegate e divaricate in atto di accogliere la donna, la trattiene cingendola da dietro mentre cerca di divincolarsi. Sono, in tutta chiarezza, accoppiamenti per vim ossia scene di stupro.
Orbene, cosa c’entrano queste scene di “eros violento” con i giochi in onore del dio Conso o Neptunus equestris? Una narrazione diffusa nell’antichità, di cui si fanno portavoce gli scrittori piú noti e apprezzati, Virgilio, Tito Livio, Ovidio e altri, testimonia che le festività Consualia sono collegate al ratto famoso delle Sabine. Nel libro III dei Fasti Ovidio racconta che fu Conso a dare a Romolo il “consiglio” di adunare i popoli vicini organizzando spettacoli e gare equestri, al fine di rapirne le donne. E fu allora che la divinità paleoitalica della terra e dell’agricoltura diventò Consus = deus consilii, e in onore di lui come Neptunus equestris Romolo indisse i giochi, cui diede nome di Consualia. I quali fecero da esca per attirare a Roma i popoli limitrofi insieme alla popolazione praticamente al completo dei Sabini, con mogli e figli, che vi accorsero in frotta. Ed ecco all’improvviso, tra la folla seduta sul pendio da cui guardavano le corse dei cavalli, “le Sabine rapite, senza rispetto” ( Virgilio Eneide 8, 636). Icastico il luogo virgiliano, alludente alla violazione del “ mos maiorum” per il quale l’ospitalità è sacra e inviolabile; icastico il commento del Servio Danielino: «“rapite” stuprate, cioè prese con la violenza».
L’iconografia complessiva (scene di eros violento nei due medaglioni nel retro del cassone rappresentanti il ratto delle Sabine ed eroti di contorno) aiuta a chiarire la funzione specifica cui era adibito il carro pompeiano. L’evoluzione nell’immaginario collettivo del mitico ratto delle Sabine, destinate alle nozze coi Romani (che appunto a questo scopo le hanno rapite), ha fatto sì che l’atto sessuale estorto con la forza a donne di libera condizione (quali erano le Sabine), venisse col tempo derubricato a sequestro della sposa o rapimento a scopo matrimoniale (raptus), con valenza di “stupro” affievolita dalle nozze riparatrici. Il che spiega la ragione per cui – in contesto nuziale – il “ratto” rappresentato nelle arti figurative viene percepito come scena (o meglio complesso di scene) di violenza sessuale che il maschio perpetra, ritualmente, contro la volontà della donna restia a concedersi, e la resistenza che la partner oppone come naturale pudicizia e ritrosia di lei all’atto di consumare le nozze.
Il particolare di uno dei medaglioni del carro di Pompei, che potrebbero raffigurare il ratto delle Sabine - Ansa
Insomma una dolce e legittima violenza, com’era stata per le Sabine spose dei gagliardi Romani nelle parole dello storico romano (Tito Livio I 9, 16): “Le blandizie dei mariti che giustificavano la violenza compiuta con la loro passione d’amore, preghiere queste che hanno grande efficacia sull’animo femminile”. Quelle spose Sabine (proverbialmente austere) effigiate nei medaglioni del carro pompeiano a simboleggiare la castità e i sancti mores della sposa di turno: “casta, che non lo furon di piú le antiche Sabine” (Marziale I 62, 1).
E allora il leggero ed elegante carro pompeiano dipinto e sontuosamente decorato con le spighe di grano, gli eroti e i medaglioni illustranti scene del ratto delle Sabine, ossia coi simboli dell’eros e della prosperità ricorrenti anche nell’antica poesia epitalamica, parrebbe in definitiva spiegarsi bene nell’ambito di una solenne cerimonia nuziale, come veicolo sul quale la nobildonna di Pompei convola a nozze decisamente fastose.
*Università degli studi di Perugia