Calcio inglese. Storia, idoli e magie del football
Uno dei gol più belli di sempre in Premier League: la rovesciata di Wayne Rooney che consentì al Manchester United di vincere il derby (2-1) contro il City il 12 febbraio 2011
Il pallone rotola in tutto il mondo, ma non c’è dubbio che Oltremanica prende traiettorie uniche e avvincenti. Almeno per coloro che dividono la propria esistenza non in anni, ma in stagioni calcistiche, volendo dar retta al britannico Nick Hornby nel fortunato romanzo autobiografico Febbre a 90. Per tutti gli sfegatati del pallone è difficile non rivedersi nei tic e nelle nevrosi che suscita la squadra del cuore descritte impietosamente nel testo ma sempre con grande “rispetto”. Perché se è vero che l’infantilismo è dietro l’angolo, i condizionamenti sull’umore quotidiano, soprattutto dopo una sconfitta, sono difficili da negare e si fa presto a dire che parliamo “solo” di una partita. Un libro cult, scritto nel 1992 (da cui è stato tratto anche il film con Colin Firth nei panni di Ashworth), che non può mancare nella biblioteca di ogni supporter che si rispetti, al di là dell’Arsenal, il club per il quale tifa il protagonista. Sono pagine che ti catapultano nel clima uggioso ma goliardico dei pub e degli stadi inglesi, fino a sentirti gomito a gomito con i supporter sugli spalti in mezzo ai cori da brividi delle tifoserie british. Quella stessa magia viene ora rilanciata da un libro ricco di aneddoti e curiosità, Box to box. Raccontiamo il calcio inglese (Sidebloom. Pagine 320. Euro 15,00), frutto di un accattivante sito ad hoc, “Storie di Premier”. Un progetto corale, ideato e lanciato da Paolo Lazzari, Gabriele Caldieron e Francesco Sani, con la prefazione al volume scritta da Emanuele Corazzi, executive producer di Dazn.
I giocatori più amati, le partite che sono entrate nella storia, ma anche personaggi e sfide meno note o soltanto sbiadite dal tempo escono così dai cassetti della nostra memoria calcistica. Frammenti memorabili, a volte epici, dal fascino antico di uno sport, che non a caso, nella sua versione moderna è nato proprio da quelle parti. Tanto più che in Inghilterra già nel 1600 nelle università e nei college i giovani praticavano un gioco con la palla antenato del football. Le classi si fronteggiavano in partite interne con squadre da dieci ragazzi ciascuna e in porta ci stava il maestro. Con quel dilemma trascinatosi per secoli se ai giocatori fosse consentito usare anche le mani o rigorosamente solo i piedi: un nodo che verrà sciolto solo con la nascita del rugby e poi, nel 1863, della prima federazione calcistica nazionale unitaria, la Football Association. Dalle origini ai giorni nostri, alla realtà cioè di una Premier League diventata il torneo più ricco e più importante del mondo. Ci sono volti rimasti nell’immaginario del pallone britannico anche dopo il loro ritiro: lo scozzese sir Alex Ferguson, tanto per fare il nome del tecnico più vincente della storia del calcio. Legato per 27 anni al Manchester United (dal 1986 al 2013), suo è anche il record di titoli vinti nel campionato inglese, ben tredici. Se però lo ricordate come un santone impassibile, avvolto nell’aplomb del suo “cappottone”, probabilmente salterete sulla sedia nell’apprendere di quella volta che con un calcione a una scarpetta per poco non centrò in faccia David Beckham. Aveva perso le staffe dopo la sconfitta dei Red Devils contro l’Arsenal, il 15 febbraio del 2003. Fu l’episodio che incrinò definitivamente il rapporto con l’ex Spice Boy di cui non sopportava lo scarso impegno e il gossip che gli girava attorno. Lo stesso Ferguson scrisse: «In quei giorni dissi alla società che David avrebbe dovuto lasciare il club».
Carisma da vendere, sir Alex non era certo impeccabile in caso di sconfitta, ma rimane un totem delle panchine inglesi al pari di un suo grande rivale che ha vinto meno ma l’ha superato per numero di presenze in Premier League: Arsène Wenger. È stato probabilmente il primo francese amato dagli inglesi, l’unico ad aver chiuso il campionato senza perdere nemmeno una partita: accadde nel 2003-2004, la stagione della grande cavalcata del suo Arsenal trascinata dal funambolico Thierry Henry e da Dennis Bergkamp scaricato dall’Inter. Ma la storia della Premier è ricca di figurine epocali, da George Best a Eric Cantona per citare due geni ribelli, a un altro talento maledetto che abbiamo conosciuto anche in Italia: Paul Gascoigne, le cui follie ci rimandano a un’epoca d’oro della Nazionale inglese, quella che arrivò a un passo dalla seconda finale mondiale proprio a casa nostra nel 1990. Un sogno che si infranse però ai rigori contro la Germania, con l’errore decisivo di un altro “cavallo” di razza, Chris Waddle dalla chioma lunga, in un’Inghilterra che aveva tra le proprie fila anche il bomber Gary Lineker e l’asso del Liverpool John Barnes. In anni più recenti non si può menzionare la parabola di un ragazzino gracile e asmatico, sul quale non scommetteva nessuno, ma che è diventato nel tempo un eroe silenzioso e una bandiera dello United: Paul Scholes, l’inconfondibile “rosso” del centrocampo dei Red Devils. Lo stesso club in cui ha brillato peraltro uno degli ultimi grandi fuoriclasse britannici, quel Wayne Rooney capace di regalarci poster incancellabili: uno su tutti, la rovesciata pazzesca con cui ha deciso il derby di Manchester il 12 febbraio 2011. C’è poi il capitolo dei calciatori italiani che hanno trovato gloria anche Oltremanica: se è facile ricordare Vialli, Zola o Di Canio, può sfuggire il segno lasciato dal nostro Popeye, quell’Attilio Lombardo che pur giocando poco per infortunio è stato inserito dal Crystal Palace tra gli undici giocatori del secolo della propria storia.
Impossibile certo dimenticare la favola tricolore di Claudio Ranieri, condottiero di quel Leicester City che nel 2015-2016 ha scritto una delle pagine di sport più sorprendenti di sempre andando a vincere la Premier contro ogni pronostico. Non ha invece tinte azzurre, ma è comunque una favola anche quella di Wimbledon. Non parliamo del prestigioso torneo di tennis e dei suoi eleganti giocatori, ma di quelli “sporchi e cattivi” del calcio nel quartiere a sud ovest di Londra: quelli che nel 1988 furono così sfacciati da togliere una FA Cup al blasonato Liverpool. E la città dei Beatles ci dà il “la” per ripercorrere la metamorfosi di un club malinconico prima dell’arrivo dello sceicco Al Mubarak nel 2008: il Manchester City da sempre vittima del complesso di inferiorità con i cugini dello United è entrato di prepotenza nell’élite del calcio mondiale. Senza dimenticare che il ritorno al titolo dopo 44 anni porta anche la firma dell’attuale ct azzurro Roberto Mancini in panchina e un Balotelli ancora in versione Super Mario protagonista dello storico derby 2011 vinto contro i Red Devils per 6-1. Una nuova epopea sulle note degli Oasis, i due tifosissimi fratelli Gallagher, le cui canzoni sono diventate colonna sonora dei fans sia nei pub fuori dallo stadio che sugli spalti. Abbracciati l’uno con l’altro, pronti a sostenere i propri beniamini anche quando ti deluderanno. Ma dalla Premier alla Serie A fino all’ultima categoria, non siamo poi così diversi: facciamo parte tutti di un mondo dove la sconfitta ti rende storta una giornata (se non una settimana) e una vittoria ti mette le ali ai piedi. È il potere del pallone che finisce per dar ragione ancora una volta a Nick Hornby: «Non è facile diventare un tifoso di calcio, ci vogliono anni. Ma se ti applichi ore e ore entri a far parte di una nuova famiglia. Solo che in questa famiglia tutti si preoccupano delle stesse persone e sperano le stesse cose. Cosa c’è di infantile in questo?».