Musica. Il ritorno di Ernesto Bassignano: «La mia musica di Resistenza»
Il cantautore Ernesto Bassignano
Bax si toglie il cappello, si siede davanti al microfono e attacca con la sua musica. «Se il tempo sta cambiando, se il vento sta crescendo, se il mondo sta cadendo su di noi. E c’è chi sta gridando e c’è chi sta dicendo che è già finito il tempo degli eroi...», canta la voce vellutata del “grande Bax”, al secolo Ernesto Bassignano. L’ultimo degli chansonnier degli ex Giovani del Folkstudio, «l’ultimo dei cantautori di quella generazione che non ha mai virato sul pop commerciale, lo scriva la prego», torna con artistica prepotenza di scena. Domani sera all’Auditorium Parco della Musica di Roma – Teatro Borgna, ore 21 – presenta il suo ultimo disco Il mestiere di vivere (Helikonia).
«Un altro omaggio a Cesare Pavese, piemontese come me che sono nato a Roma (nel 1946) ma la mia famiglia è di Cuneo e lì mi sono diplomato al liceo Silvio Pellico. Trent’anni fa incisi un disco che si intitolava La luna e i falò, di Pavese ho letto tutto così come i romanzi di Beppe Fenoglio e gli scritti del mio amico Nuto Revelli: tutta letteratura che fa parte della mia cultura di uomo di “Resistenza” che, specie in questi tempi morti e di razzismo, è ancora viva per fortuna… E credo l’abbia sentita nelle mie canzoni». Assolutamente, sì. Poetica resistente di un inguaribile idealista quella che si respira già al primo ascolto del cd. Nove perle d’autore, infilate con la complicità di due «musicisti virtuosissimi», Stefano Ciuffi e Edoardo Petretti: «Sono nove brani registrati dal vivo e mi prendo la responsabilità di ciò che dico: è il disco più coraggioso prodotto in questo Paese in un’epoca in cui la canzone d’autore è svilita e poco trasmessa anche dalle radio».
Il mestiere di vivere, il decimo lavoro di inediti, in una carriera iniziata sulle barricate di Valle Giulia, sessantottino militante e studente già creativo fin da quando sedeva sui banchi dell’Accademia di Belle Arti. Scenografo e attore con la compagnia anarchica del “Teatro di Strada”, assieme a compagni di lotte e di tournée continue («dalle fabbriche alle cantine») Gian Maria Volontè e Edmonda Aldini. «Volontè era un leader assoluto, bastava un suo sguardo e la decisione era presa. Quando dal teatro passò al cinema gli davano dieci volte di meno degli altri attori, decisamente più scarsi rispetto a un genio quale era Gian Maria, uno capace di donare i 5milioni del cachet appena incassato per finanziare uno spettacolo, il libro o il disco di un amico in cui credeva».
Il primo disco di Bassignano è datato 1973, un titolo che è rimasto una perenne perplessità, Ma... Senza alcun dubbio invece Antonello Venditti ha dedicato anche al suo «amico Bax», la sempreverde Notte prima degli esami. «“Io mi ricordo quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla”… Ma certo quei quattro ragazzi eravamo io, Antonello, Francesco De Gregori e Giorgio Lo Cascio. Il pianoforte sulla spalla chi lo portava? – sorride Bassignano –. Agli inizi certe volte ci chiamavano per concerti da tremila lire a testa e spesso il pianoforte neanche c’era. Ho una vecchia audiocassetta in cui si sente che attacchiamo Sora Rosa di Venditti suonando solo le chitarre – si ferma e ride al ricordo –. Sbagliammo tutti gli accordi… A un certo punto si sente la voce rabbiosa di Antonello che impreca contro tutti, poi ci manda a quel paese e se ne va lasciando me e Francesco da soli sul palco». Formidabili quegli anni dell’ultima bohème del cantautorato romano.
«Discettano ancora tanto di “Scuola Romana”, ma siamo seri, non è mai esistita, solo classiche etichette nostrane. Al Folkstudio Antonello cantava come Elton John, il “Principe” De Gregori faceva Dylan all’italiana. Lo Cascio era calabrese e traduceva Cohen, io, il “Tinin” di Cuneo quindi quasi “scuola genovese” arrivavo dalla provincia sperduta». La matrice comune incontrovertibile era l’impegno politico, la militanza comunista sotto l’egida mecenatistica di Botteghe Oscure, sede del Pci. Ma mentre Venditti e De Gregori stentavano a decollare, il grande Bax viaggiava a 300mila lire a serata nelle Feste dell’Unità che allietavano l’Italia dei magnifici anni ’70.«Per il Pci ricoprivo una doppia funzione: organizzatore e mattatore sul palco dove con me feci in modo di portare tutti i cantautori di quel periodo: De André, Dalla, Vecchioni, Guccini, Rino Gaetano (mio produttore nel ’75), Locasciulli, Caputo, Grazia Di Michele e ovviamente anche Antonello e Francesco… Tutti artisti selezionati, cioè di sinistra. Del resto solo Bruno Lauzi all’epoca si professava apertamente di destra e perciò non era ammesso... Povero, quando mi incontrava mi ripeteva: “Tu Bax sei troppo intelligente, come fai a stare con i compagni?”». I compagni però intanto mietevano successi e denari, mentre il destrorso Lauzi veniva tenuto al margine della ribalta. E anche Bassignano che, nella vita ha sperimentato tutte le arti, da musicista a scenografo teatrale, da giornalista di carta stampata («A “Paese Sera” firmavo i pezzi satirici con lo pseudonimo Colite, sotto le illustrazioni di Disegni, Mannelli – che mi ha ritratto nella copertina del mio ultimo disco – e Vauro») a quello radiofonico, a un certo punto era stato messo al bando dalla “lobby dei cantautori”. «Il mio saper fare troppe cose diede fastidio a ex amici e signorotti della canzone italiana... Così negli anni ’80-’90 mi sono dovuto reinventare autore radiofonico e poi conduttore».
Negli anni 2000 il grande Bax nuovamente in primo piano, come autore e conduttore del programma cult di Radio 1 Ho perso il trend. «Una trasmissione durata undici anni e che si è chiusa nel 2011 tra le lacrime e le lettere accorate e nostalgiche di tanti nostri radioascoltatori... Ricorda? Io facevo il vecchio compagno barbone Bassignano che litigava in diretta con il veterofascista Ezio Luzzi, voce storica di “Tutto il calcio minuto per minuto” che fino ad allora non si era mai spinto oltre il commento di un rigore concesso su un campo della Serie B... Nella nostra trasmissione invece si parlava di attualità e di politica toccando vette satiriche forse ancora inarrivate. Attaccavamo Berlusconi come pochi altri in quel periodo, e alla fine c’hanno fatto chiudere». Da allora, sette anni di esilio forzato, ma senza mai andare in pensione, anzi, ripartendo da cantautore a tempo pieno con due album Vita che torni (Joe&Joe) e Il grande Bax (Egea Music). E poi un’autobiografia esilarante fin dal titolo, Canzoni pennelli bandiere supplì (Les Flaneurs. «copertina di Staino») che esplora in profondità personaggi, finti miti e meteore di quelle stagioni, vissute fino all’ultimo respiro, nell’ultima Roma che è stata rifugio di artisti, fuggitivi, sognatori e poeti, come Umberto Bindi.
«Lo incontrai nel ’90 al Premio Recanati dove andai anche io ospite con Sergio Endrigo, altro grandissimo poeta da ascoltare e da far conoscere ai giovani. Così come Bindi che ha pagato le dicerie degli untori per essere stato il primo artista a dichiararsi omosessuale. Lo fece nell’ancora “medioevale 1963” e non glie l’hanno perdonata. Per Umberto ho scritto canzoni fino alla sua morte e un generosissimo Renato Zero gli produsse l’ultimo album, Di coraggio non si muore». Il coraggio e l’incoscienza dell’artista a cui «tocca vivere, campare recitare, tocca fare, per disfare, riprovare...». Sono le parole de Il giullare verticale che domani sera Bassignano eseguirà assieme alla voce recitante di David Riondino. Uno dei tanti amici che con lui animeranno la serata speciale dell’Auditorium. «Chi vorrei vedere in prima fila? Beh, tutti quelli che mi hanno accompagnato in questi cinquant’anni di “Resistenza”. Il sogno sarebbe aprire gli occhi e trovare sedute lì davanti tre persone che non dimenticherò mai… Gian Maria Volontè, Duilio Del Prete e Mariangela Melato». Il grande Bax ha finito le prove, si rimette il cappello in testa e se ne va cantando: «Calpesta la tua roccia, coltiva grano e vino la tua ragione non tradirla più. Scrivi sui muri amiamoci di più».