Agorà

Intervista. . «Eppure fu strumento efficace»

domenica 27 marzo 2016
Le tracce dell’esistenza dell’Indice Edoardo Barbieri le scovò ai tempi del liceo, molto prima di diventare ordinario di Storia del libro e dell’editoria alla Cattolica di Milano. «L’edizione della Gerusalemme liberata che adoperavamo in classe – dice – era piena di puntini di sospensione, corrispondenti ai brani da sottoporre a expurgatio. Perché il vero obiettivo dell’Indice non consisteva semplicemente nella censura, ma nel ristabilimento di un testo corretto e accettabile». Sta dicendo che la logica del Sant’Uffizio non è del tutto diversa da quella dei filologi umanistici? «Sì, in parte era così. Lo spiega chiaramente l’affresco che si trova sulla volta della Biblioteca di Eger, in Ungheria: un fulmine rimbalza da una parete all’altra e, alla fine, si abbatte sui libri proibiti. Anziché distruggerli con una fiammata, scarica la sua energia su di essi, costringendo alla fuga i serpenti che si nascondevano tra le pagine. È un’allegoria dell’expurgatio, il processo di revisione ed emendamento da riservare alle opere incriminate». Eppure l’Indice è considerato anzitutto uno strumento di censura. «L’Indice gode di pessima reputazione per tutta una serie di ragioni, che possono riassumersi in una semplice constatazione: dove è stato applicato, si è rivelato straordinariamente efficace. La posta in gioco era molto alta, la Chiesa cattolica si trovava nella condizione di dover fare fronte rispetto all’avanzata del protestantesimo. Per quanto inviso agli intellettuali e discutibile in via di principio, l’Indice assolveva benissimo il compito che gli era affidato. Ma c’è un altro elemento da considerare». Quale? «A differenza di quanto si ripete, l’Indice era un oggetto dinamico, niente affatto statico. Un prodotto editoriale che fin dal 1596, anno in cui appare il cosiddetto “Indice Clementino”, si caratterizza per la sovrabbondanza di correzioni e integrazioni. Non per niente, gli inquisitori aggiornavano costantemente le copie di cui si servivano, come ho avuto modo di constatare». Ma chi adoperava l’Indice? «Gli inquisitori, appunto, e i librai, che in questo modo evitavano di mettersi nei guai. Il sistema delle dispense, in ogni caso, era molto esteso. Pensi che, nel momento stesso in cui ci si iscriveva alla Cattolica, si riceveva il modulo con il quale chiedere il permesso di leggere e studiare i libri proibiti. La biblioteca dell’Università, inoltre, aveva il suo piccolo “inferno”, nel quale si trovavano, per volere dello stesso padre Gemelli, non solo i testi condannati dalla Chiesa, ma anche quelli messi fuori legge dal fascismo. Comprese le opere complete di Karl Marx». Alessandro Zaccuri © RIPRODUZIONE RISERVATA Edoardo Barbieri