Giornalismo & tv. Enzo Biagi, ritratto inedito a dieci anni dalla morte
Enzo Biagi negli studi della Rai
Schietto, leale, esigentissimo, pacato, giusto ma allo stesso tempo “partigiano” e sempre preoccupato di offrire, quasi «dare in pasto», ai telespettatori attraverso i suoi format televisivi storie e spezzoni di vita umana che meritassero di essere raccontati per quello che erano. Insomma un cronista di razza con il passo di chi «racconta i fatti, li contestualizza, li interpreta e li giudica in modo indipendente» e che fu sempre mosso da questa motivazione: «Interessarsi per principio delle storie di altri, che prendeva in considerazione come fossero le sue».
È il ritratto che affiora a 10 anni dalla morte di Enzo Biagi – che ricorrono il prossimo 6 novembre – dai ricordi, una vera miniera di aneddoti, di Franco Iseppi storico dirigente della Rai ma soprattutto principale collaboratore per più di 25 anni del giornalista emiliano. Iseppi, già direttore generale della Rai e oggi alla guida del Touring Club è stato soprattutto il principale “ideatore” e produttore di molti dei più fortunati programmi di Biagi come Linea diretta – «che rappresentò una discontinuità nel panorama delle inchieste televisive del passato soprattutto per il cambio delle inquadrature e della scenografia innovativa sul modello di quanto faceva negli Usa Ted Koppel, l’inventore di Night Line» –, Spot, Il caso, Terre lontane, I dieci comandamenti all’italiana e Tocca a noi. «Ha rappresentato per me un maestro di giornalismo e di televisione – rievoca Iseppi – ma soprattutto è stato un uomo capace di andare controcorrente. Mi torna spesso in mente il caso Tortora, quando mi confidò: “e se fosse innocente?” (poi Biagi lo difese a spada tratta) o ancora quando scelse in controtendenza con la mentalità dominante nel 1985, nel giorno in cui si celebrava l’8 marzo, la festa delle donne, di realizzare una puntata di Linea Diretta in cui veniva affrontata la questione dell’aborto e dei drammi morali e sociali che questo fenomeno provocava. Ricordo ancora le crociate dei socialisti contro quella puntata perché ritenuta troppo in difesa della vita nascente».
Un personaggio Biagi, agli occhi di Iseppi, a volte scomodo ma soprattutto figlio della sua terra e del suo secolo il Novecento e attento, a modo suo, della memoria cattolica e civile del suo amato Paese: l’Italia. «Aveva una grande ammirazione per i preti semplici quelli che venivano additati da lui – è la rievocazione divertita – come dei rivoluzionari come Mazzolari, Milani e il francescano Nazareno Fabbretti, il “prete” di casa Biagi a Milano. Penso in particolare alla stima che nutriva per don Zeno Saltini per cui si spese per sostenere finanziariamente la sua opera Nomadelfia e di come nel 1962 salutò l’evento, nella sua veste di direttore del Tg1, per la riammissione del prete ribelle di Carpi alla celebrazione pubblica della Messa».
Un posto speciale nella galleria dei preti di Biagi è certamente riservato al cardinale Ersilio Tonini – (che presiedette, tra l’altro, i funerali dell’amico giornalista nel 2007 nella sua Pianaccio) – e alla fortunata trasmissione sui 10 comandamenti, andata in onda su Rai 1 nel 1991. «Fu quella di portare in prima serata una scommessa vinta e soprattutto giocò da subito la sinergia che nacque tra Enzo e l’allora monsignor Tonini: i due da quell’evento non si sono più lasciati. Fui partecipe in Vaticano– nel 1994 in occasione del Concistoro in cui venne creato cardinale Tonini – dei complimenti pubblici di Giovanni Paolo II per la nostra trasmissione. Come proverbiale fu la presentazione di Enzo “Santità voglio rassicurarla di comandamenti non ne abbiamo né tolti, né aggiunti” e sulla stessa lunghezza d’onda la risposta del Pontefice polacco “Vi ringrazio anche a nome di Mosé”».
Nel suo articolato ragionamento Iseppi, così carico di amarcord, non dimentica l’importanza che ebbe nella vita ordinaria di Biagi «si sentiva religioso dentro» la recita quotidiana del Padre Nostro. «La considerava la preghiera più bella del mondo e mi diceva di recitarla ogni sera. Come certamente singolare era la stima che intercorreva con il cardinale Martini che gli rivelò prima del suo congedo da arcivescovo di Milano il suo desiderio di morire a Gerusalemme, in una delle ultime puntate della trasmissione Il Fatto. O l’altra confidenza fatta dal porporato gesuita al giornalista, nato sui colli bolognesi: “Se avessi dovuto scegliere un padre spirituale laico, avrei senz’altro scelto lei”. Una frase che lo riempì di gioia».
Un lascito quello di Biagi – a giudizio del suo antico stretto collaboratore – fatto di rigore e di rispetto per il suo mestiere di giornalista televisivo. Dall’album dei ricordi di Iseppi vengono estratte alcune istantanee inedite: il Biagi viaggiatore nei 4 continenti («imparai per ogni evenienza a fare delle iniezioni. Non è mai stato necessario mettere in pratica la mia formazione appresa nell’infermeria della Rai di Milano») o gli incontri, frutto delle sue grandi interviste, che rimasero nelle memoria collettiva del Paese: da quella a Mehmet Ali Agca, all’allora presidente della Polonia, il generale Jaruzelski «con cui condivideva un’amicizia e una stima antica e informale» fino al lungo colloquio svoltosi a Tripoli, e realizzato nello stesso giorno del bombardamento del porto, con il colonello Gheddafi. «Fu uno scoop mondiale – rievoca – nonostante questo fu ritardata e posticipata la messa in onda della puntata per motivi politici. E di quell’evento mi rimane ancora impressa la fermezza e il coraggio professionale dell’allora direttore del Tg1 Albino Longhi».
Uno stile e un modo di fare televisione lontano anni luce da quello che oggi la tv generalista produce. «Indubbiamente tutti noi abbiamo nostalgia non solo per il suo rigore ma anche per il garbo con cui entrava nelle case degli italiani – è la riflessione finale –. Ritengo che sia stato in un certo senso un giornalista “glocal”. Una parola che non avrebbe usato, nemmeno sotto tortura. Apparteneva a un paese mentale il mondo globale ma le sue radici erano in un paese reale, la sua città natale Pianaccio. Il segreto del successo dei suoi programmi? Credo nel fatto che si impegnasse a spiegare i fatti in modo che capissero anche coloro che abitavano in villaggi con meno di 500 abitanti. Aveva un metro di valutazione dei programmi molto personale: se se ne parlava al bar il mattino dopo, significava che era andata bene. Tutti ingredienti di valutazione e metri di giudizio che sembrano mancare alla Tv di oggi. Per questo credo che un personaggio come Biagi manchi un po’ a tutti noi».