Montagna. Energia pulita ad alta quota, sfida difficile
Marcello Palmierimercoledì 13 gennaio 2016
Respiri fumi di gasolio e sei martellato da un motore diesel: ti capita spesso, anche quando sali in alta montagna. E’ il paradosso dei rifugi alpini: vai per baciare la natura, ti trovi a lottare contro il disturbo di un generatore. Lassù, nella stragrande maggioranza dei casi, portare la rete elettrica sembra poco più che un miraggio. Certo, tutto è possibile. Ma spesso anche antieconomico, come in questo caso. Il rifugio “San Giuliano” nel giorno dell’inaugurazione dei restauri, lo scorso ottobre Idrogeno: impianti sostenibili?
C’è però chi una soluzione l’ha trovata. O almeno la sta cercando. Fallito il primo tentativo italiano “Ai Caduti dell’Adamello”, il rifugio su quel passo della Lobbia alta che fu sanguinosissima linea della Grande guerra, poco distante ci riprova ora il “San Giuliano”: 1960 metri sul livello del mare, con 2 laghetti alpini a 50 passi dalla sua casetta. Comune di Caderzone Terme, Val Rendena (Trento). Lì, due mesi fa, è andato a regime un impianto di cogenerazione a idrogeno. L’obiettivo di Emilio Mosca, sindaco sconfitto alle elezioni di novembre ma allora deus ex machina del progetto: “Rendere indipendente il rifugio dal generatore in particolare e dai combustibili fossili in generale”.
E attenzione: non solo per l’energia elettrica, ma anche “per il riscaldamento e l’acqua calda”. Inizialmente si era pensato a 2 soluzioni più comuni: pannelli fotovoltaici sul tetto della costruzione e mini turbina idroelettrica che sfruttasse il salto d’acqua tra lago inferiore e canalone sottostante. Ma non sarebbero stati sufficienti per i picchi di energia. “Allora – prosegue Mosca – abbiamo pensato di produrre energia attraverso l’idrogeno”.
Funziona così: di notte, quando la richiesta di corrente è pressochè nulla, l’elettricità prodotta dalla turbina viene impiegata per separare dall’acqua – con l’elettrolisi - ossigeno e idrogeno. Quest’ultimo gas viene poi conservato in serbatoi a bassa pressione (diversamente, non si potrebbe escludere il rischio di esplosioni), e all’occorrenza – quando cioè, di giorno, i sistemi idroelettrico e fotovoltaico non producono sufficiente elettricità – è subito pronto per essere ricombinato all’ossigeno e produrre in questo modo corrente”.
Non solo. “La mescolanza tra i 2 gas – precisa Mosca -, sempre per ragioni di sicurezza deve avvenire in una camera acombustibile che non superi la temperatura di 70 gradi”. E come fare, per evitare pericolosi innalzamenti? Semplice: “All’occorrenza, la si raffredda con la stessa acqua che, riscaldandosi, viene utilizzata per i sanitari”. Il progetto ha vinto il premio “Federbim Valsecchi”, istituito dalla Federazione nazionale dei consorzi di bacino imbrifero montano.
Ma le voci scettiche non mancano. Secondo alcuni, il mantenimento dell’impianto a idrogeno è antieconomico: poca energia, rapportata ai costi di installazione e manutenzione. E poi rischia di rompersi, quando la temperatura va sotto lo zero: lo insegnano i 3000 metri dell’Adamello, dove questo esperimento ah avuto vita breve. Ma il Comune di Caderzone accetta la sfida: “Noi siamo di 1000 metri più bassi rispetto alla Lobbia. E, d’inverno, i pannelli fotovoltaici dovrebbero riuscire a mantenere i locali dell’idrogeno sopra lo zero”. Chi ha ragione, lo si vedrà nel tempo. Certo è che l’esigenza riveste carattere generale: come rendere “green” questi rifugi? Il rifugio “Alimonta”La convenzione Cai-Enel
Il problema l’ha posto pure il Club alpino italiano (Cai), titolare (anche) di 373 strutture in quota, per il 90% non raggiunte dalla rete elettrica. La prima risposta gli è giunta dall’Enel, che lo scorso agosto si è convenzionato con lui nel segno di risparmio energetico e fornitura di elettricità “green”. Tra le dichiarazioni d’intenti, anche due impegni concreti dell’Enel. Il primo: “fornire consulenze ai rifugi che vogliono dotarsi di piccoli impianti per la produzione di energia rinnovabile” (disponibilità non esplicitamente presente convenzione, ma comunque annunciata come implicita da Mario Mauri, responsabile mercato Enel di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta).
Il secondo: “Individuare, insieme al Cai, soluzioni per migliorare l’efficienza energetica di sedi e rifugi, riducendo così i consumi di energia elettrica” (la sintesi è di Nicola Lanzetta, sempre per l’azienda responsabile mercato Italia). Ma l’attenzione del Club alpino italiano per l’energia ecosostenibile non è un impegno degli ultimi mesi. “A partire dal 2000 – spiega il direttore, Andreina Maggiore – abbiamo beneficiato di fondi europei per realizzare impianti fotovoltaici o alimentati a colza (pianta dal fiore giallo brillante, ndr) in una trentina di rifugi. Soprattutto in Veneto, Piemonte e Valle d’Aosta”. Un pascolo nella “Comunità delle regole di Spinale e Manez”Portare in quota la linea fissa. E’ proprio così impossibile?
Raffaele Alimonta è contemporaneamente architetto esperto in efficientamento energetico, figlio del presidente dell’Associazione gestori rifugi del Trentino e contitolare di uno tra i più noti punti d’accoglienza in quota nelle Dolomiti di Brenta: l’”Alimonta”, giustappunto. “Perché non portare la corrente – si chiede - , là dove le costruzioni in quota sono servite dalla teleferica?”. Per lui, i piloni a sostegno dei cavi di trazione potrebbero fungere anche da tralicci elettrici, abbassando dunque i costi di realizzazione.
“Altrimenti – ipotizza – si potrebbe provare a trasmettere l’energia via wi-fi, anche se è più difficile. In ogni caso, sarebbero soluzioni innovative e sicuramente più performanti rispetto a idrogeno e fotovoltaico”. Da qui, la nuova sfida all’Enel e agli altri gestori delle linee elettriche: “Verificare fattibilità concreta e costi di queste 2 proposte”. Qualcuno si è già mosso, e per vie ufficiali. La Comunità delle regole di Spinale e Manez, per esempio: proprietà collettiva fondata nel 1249 dagli abitati trentini di Ragoli, Preore e Montagne, titolare della maggior parte di suolo e di alcune costruzioni alpine nel gruppo di Brenta.
“Da un paio d’anni – svela Zeffirino Castellani, presidente di questo particolarissimo uso civico –, abbiamo chiesto alla Provincia di contribuire a un progetto per portare la corrente in Vallesinella”. Il luogo da cui si sale, rigorosamente a piedi, su sentiero, per raggiungere alcuni tra i più caratteristici rifugi della zona. “Da lì – precisa – i proprietari delle singole strutture potrebbero poi realizzare la propria linea, magari aiutati ancora dall’ente pubblico”. La pratica, a Trento, è ferma da 24 mesi. Ma Castellani non demorde: “Noi continuiamo a sperare. E pure a sollecitare”.