Agorà

EMILIA. Il terremoto dell'arte finisce in ospedale

Paolo Viana lunedì 15 aprile 2013
Uno straccio. Sbrindellato, impolverato, inguardabile. Il pezzo più grande? Come una mano. Eppure, prima del terremoto era un Guercino. «Lo restaureremo, riusciremo a ricomporlo e a recuperare, almeno in parte, la pellicola pittorica...» Stefano Casciu giura che il capolavoro non andrà perduto. Se non fosse il soprintendente di Modena verrebbe da riderci su. Da pensare ai Caravaggio o ai Rubens polverizzati a Berlino, in un’altra guerra. I tesori di Montecassino avevano fatto in tempo a spostarli: «Anche noi, a Cento» puntualizza Casciu. E indica, in un angolo, un’Assunta secentesca: se quel che resta del "Sant’Antonio da Padova inginocchiato davanti al Bambino Gesù", estratto dalle macerie della chiesa dei santi Carlo e Benedetto di Sant’Agostino (Ferrara), è attribuito anche a Benedetto Gennari Junior, su quella tela - salvata quasi per caso dai crolli nella chiesa del Rosario di Cento - Giovanni Francesco Barbieri ha lavorato da solo. Quando i vigili del fuoco si sono calati tra le navate pericolanti l’hanno trovata ancora appesa al muro. La scossa del 20 maggio l’aveva graziata. Nove giorni dopo, e ormai il capolavoro manierista si trovava a Sassuolo, una nuova raffica di scosse ha buttato giù la volta. Gran parte dei dipinti, degli arredi sacri, dei paliotti e degli stucchi recuperati nelle chiese e nei conventi terremotati dell’Emilia si trova qui, nella residenza estiva di Francesco I d’Este, dove nei mesi scorsi è stata trasferita anche una selezione di dipinti della Galleria Estense di Modena. I visitatori dell’esposizione "Un ospite illustre" non sapevano, mentre si aggiravano estasiati tra i Velasquez e i Correggio, che a due passi dagli appartamenti ducali otto giovani restauratori, guidati dagli esperti dell’Istituto Superiore di Conservazione e Restauro e dell’Opificio delle Pietre dure in collaborazione con la Soprintendenza modenese, grazie a un contributo della fondazione Cassa di Risparmio di Modena, avevano già iniziato a spolverare, fasciare, ricollocare ogni pezzo al proprio posto. Antichi candelabri lignei, piccoli crocifissi e tele immense vengono ora custoditi in questo scrigno barocco - gli Este chiamavano "Delizia" il palazzo di campagna - dove sono messi in sicurezza. Quando ci saranno i soldi penseranno a restaurarli.
Milletrecento opere d’arte provenienti dal cratere sismico. Soprattutto dal Modenese. Altrettante sono rimaste nelle diocesi, ma per ricchezza e complessità questa raccolta è unica. Ci aggiriamo un po’ increduli in questo strano ospedale dell’arte. «Gran parte del patrimonio conservato qui è recuperabile» annuncia Carla Di Francesco, direttore regionale del ministero dei beni culturali. «Anche se, com’è avvenuto per questo Guercino, il terremoto può avere l’effetto di una bomba» le fa eco Casciu e il pensiero corre ai Georgofili. L’opera di Barbieri assomiglia all’Adorazione dei pastori di Gherardo delle Notti: qui come allora, restano i frammenti. «Il messaggio artistico - spiega il soprintendente - è veicolato dalla materia e dove c’è sufficiente materia è sempre possibile recuperare o, com’è avvenuto per Gherardo delle Notti, ricostruire, sapendo che non riavremo mai l’originale». Dov’era ma non com’era: è la linea del Mibac di fronte alle migliaia di chiese e palazzi lesionati dai sismi dell’Aquila e dell’Emilia. Linea che, mutatis mutandis, vale anche per le opere mobili e che infatti è stata riaffermata al salone del Restauro di Ferrara, dedicato ai danni del terremoto. «Quantificare il danno, anche nel caso delle opere mobili, è arduo - spiega la Di Francesco -: con l’Iuav di Venezia stiamo valutando come intervenire nella parrocciale di san Felice sul Panaro, dove le macerie arrivano fino ai quattro metri d’altezza. Sotto, ci sono i soffitti affrescati, le capriate, muri, cappelle e ciò che contenevano: antichi dipinti e preziosi reliquiari... Le piogge di questi mesi hanno aggravato la situazione statica - l’edilizia religiosa tra Sei e Ottocento era realizzata con malte terrose, povere di calce- e certamente non hanno aiutato a conservare le opere artistiche intrappolate sotto i detriti». Appoggiata a una parete, ci attende una Vergine sfregiata. Proviene da San Possidonio. È una grande tela dell’epoca dei Pico. Si è salvata dal crollo del campanile ma il terremoto non se n’è andato senza artigliarla; le macerie, cadendo, hanno graffiato il dipinto in diversi punti, asportando i colori e aprendo squarci grossolani. Eppure per Casciu anch’essa «è pienamente recuperabile».
Scempi come il Sant’Antonio restano dunque una minoranza: la benedizione di San Carlo (altro Guercino) è uscita illesa dal crollo della parrocchiale di Cento, così come lo sposalizio mistico di Santa Caterina prelevato dalla parrocchiale di San Felice sul Panaro, già velinato e pronto per essere trasferito all’Istituto superiore per la conservazione e il restauro. Non è andata altrettanto bene a un gruppo di dipinti prelevati nella chiesa di San Michele Arcangelo a Novi di Modena... «È un’operazione enorme e non basterà a salvare tutti i tesori» ammette la Di Francesco. Lei coordina il "salvataggio" e, pudicamente, ci allontana da quel che resta di un Cristo ligneo del Cinquecento, in pezzi. «Il restauro non è un flash back - avverte Casciu -, i segni del terremoto resteranno».