Agorà

RESISTENZA. Emilia ’45, caccia al prete

Edoardo Tincani venerdì 8 ottobre 2010
Da tempo le pagine di Avvenire ospitano un interessante dibattito sul ruolo della Chiesa – ministri e popolo di Dio – nei sanguinosi tornanti della prima metà del XX secolo. Un contributo fondamentale viene ora dall’opera dello storico Sandro Spreafico, I cattolici reggiani dallo Stato totalitario alla democrazia. La Resistenza come problema. La monumentale antologia, composta da cinque volumi in sei tomi – quasi seimila pagine di grande formato – e recentemente completata con l’uscita della «Guida alla consultazione», sarà presentata questo sabato, alle ore 16, all’Hotel Posta di Reggio Emilia (piazza del Monte 2), in un incontro pubblico promosso dall’Istituto per la storia della Resistenza e della Società contemporanea (Istoreco) insieme ad altre associazioni civili ed ecclesiali.Una città di provincia come Reggio Emilia si conferma così osservatorio affatto centrale per chi voglia affrontare in tutte le sue sfaccettature il complesso rapporto tra la coscienza religiosa di un popolo e le lacerazioni del trentennio 1919-1950.Nell’analisi di Spreafico, capace di accostare centinaia di testimonianze, diari e tavole fotografiche a riflessioni sofferte sulle contrastanti passioni che portarono al rovesciamento del fascismo e alla nascita della Democrazia Cristiana, storia patria e locale s’intrecciano.Sul finire del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra il clero reggiano pagò un tributo di sangue altissimo e diversificato, con sacerdoti uccisi dai nazifascisti – don Pasquino Borghi, fucilato a Reggio Emilia il 30 gennaio 1944, don Battista Pigozzi, fucilato dai tedeschi a Cervarolo con 23 suoi parrocchiani il 20 marzo 1944, e don Giuseppe Donadelli, parroco di Vallisnera, assassinato dai fascisti il 2 luglio 1944 – e altri soppressi dai partigiani – don Luigi Manfredi, parroco di Budrio di Correggio, che fu ucciso il 14 dicembre 1944 perché erroneamente ritenuto implicato nella cattura di don Borghi, don Dante Mattioli di Cogruzzo, 11 aprile 1945, e don Carlo Terenziani, parroco di Ca’ de’ Caroli, 29 aprile 1945. Altri presbiteri caddero per mano comunista "semplicemente" a causa della loro condanna del giustizialismo sanguinario. Rientrano in questa casistica l’agguato mortale a don Umberto Pessina, parroco di San Martino Piccolo di Correggio, 18 giugno 1946, e i martirii in odio alla fede di don Giuseppe Iemmi, curato di Felina, 19 aprile 1945, e del seminarista quattordicenne Rolando Rivi, ucciso a Piane di Monchio il 13 aprile 1945, per il quale è a buon punto la causa di beatificazione. E in contesti non dissimili persero tragicamente la vita anche i parroci di Garfagnolo di Castelnovo Monti don Luigi Ilariucci, 19 agosto 1944, di Nismozza don Sperindio Bolognesi, a causa di un ordigno il 25 ottobre 1944, e di Grassano don Aldemiro Corsi, 22 novembre 1944.La lente d’ingrandimento di Spreafico risale però più indietro nel tempo e indaga le cause di quei delitti con grande sforzo di obiettività e con spirito costruttivo, nel tentativo di portare in superficie una memoria il più possibile acclarata e condivisibile, 65 anni dopo la Liberazione. Grazie all’abbondante documentazione pubblicata, raccolta in circa trent’anni di ricerche attraverso la consultazione di decine di archivi parrocchiali e l’intervista a centinaia di protagonisti minori sopravvissuti, lo storico reggiano si spinge oltre il martirologio ufficiale della Chiesa e la doverosa condanna di ogni efferatezza per offrire un panorama veramente popolare e diffuso della Resistenza in territorio emiliano.Spiccano infatti, nella storia dei cattolici reggiani, elementi di singolarità che fanno ben risaltare le dinamiche resistenziali. Le pagine dell’antologia mostrano la tempra di un cattolicesimo reggiano minoritario che, anziché deprimersi per l’opposizione delle forze antagoniste, reagisce con una vivacità orgogliosa della propria fede, incarnata in una sequela di umili membri e dirigenti di opere cattoliche. La lettura critica si sofferma sulle dialettiche interne alle forze che si confrontarono, dalla minoranza di clero filofascista che pensava a una "cattolicizzazione" del fascismo dall’interno, alle spinte laiche dell’intransigentismo, con l’Azione Cattolica impegnata a "salvare" la fede dal socialismo anticlericale e dal massimalismo comunista.Il principale, vasto nucleo tematico dell’opera consiste proprio nel raccontare le premesse alla scelta resistenziale da parte dei cattolici, la maturazione dapprima di un antifascismo critico e "coscienziale" e poi militante, fino all’opzione armata, la nascita della Dc clandestina, il rapporto fra i partigiani cristiani e quelli comunisti, in maggior numero e meglio organizzati, sull’asse tracciato da Domenico Piani, Giuseppe Dossetti e Pasquale Marconi. A partire dal comandante delle "Fiamme Verdi" don Domenico Orlandini, "Carlo", i nomi di alcuni resistenti cattolici sono noti: Luigi Ferrari, don Angelo Cocconcelli, Ettore Barchi, Lina Cecchini.Altre storie si sono aggiunte col tempo, con un ritardo a volte sorprendentemente cospicuo, se si pensa – puntualizza Spreafico – che solo a distanza di decenni sono stati pubblicati i memoriali di internati cattolici in Germania, come Alberto Codazzi e Giorgio Gregori, o che ne restano tuttora di inediti, come quello di Mirco Piccinini. Ancora, solo per citare un paio di altri casi tra i più clamorosi, i quaderni di Deblin-Thorn, scritti di getto nei lager dal medico cattolico Giorgio Emilio Manenti, sono rimasti sigillati per sessant’anni. E il diario di Dante Zobbi "Rinaldo", collaboratore di don Pasquino Borghi e uno dei primi uomini fidati di "Carlo", ha atteso per mezzo secolo l’arrivo di uno storico.I partigiani cattolici diedero un contributo determinante alla "tenuta" del movimento resistenziale, e non è un caso che 60 di loro figurino nella prima Dc "ufficiale" all’indomani della Liberazione. L’opera di Spreafico racconta la fatica di mantenere la lotta armata entro binari minimi di "legalità", le stragi e le vendette del giustizialismo più sanguinario, i contenziosi causati da "incidenti" e incomprensioni tanto tra militanti delle Fiamme Verdi e Garibaldini, quanto all’interno delle due formazioni combattenti.Ecco spiegata la Resistenza come "problema". Tra gli estremi di un’apologetica inamovibile e di un frettoloso revisionismo, Spreafico concede l’ultima parola ai morti di tutti gli schieramenti, tanto che se il suo fosse un romanzo, parafrasando Giampaolo Pansa, potrebbe dunque intitolarsi «Il sangue di tutti». La sua speranza, più che mai "cattolica", è che la ricerca storica possa contribuire ad una grande catarsi collettiva, capace di vincere una volta per sempre i risorgenti rancori. E così lasciare, far "resistere", solo la memoria dei nostri avi caduti, anche per noi.