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Religione. È tempo di rivalutare l'«anarchia cristiana» di Jacques Ellul?

Roberto Righetto venerdì 30 aprile 2021

Jacques Ellul nella sua casa di Pessac

Mè suskematìzesze: non conformatevi alla mentalità di questo secolo. Così san Paolo sollecitava i fedeli a una vera metànoia, una conversione che comportasse un capovolgimento del cuore e della mente rispetto al modo di pensare prevalente nella società del tempo, quella pagana dell’impero romano. Jacques Ellul, filosofo e sociologo assai critico verso il capitalismo e la tecnocrazia, riteneva che il Vangelo fosse «sovversivo in ogni direzione».

Non sorprende allora che una delle sue opere più singolari, Anarchia e cristianesimo, pubblicata in edizione originale nel 1988, non solo fosse dedicata ai rapporti fra il movimento anarchico col mondo cristiano, ma in primo luogo invitasse i credenti in Gesù a una lettura anarchica della Bibbia, svincolando in tal modo le Chiese da un rapporto insano col potere. Lui, teologo protestante, aveva nel mirino soprattutto la Chiesa cattolica per i suoi compromessi con i politici di ogni tempo e luogo, ma non era certo tenero con luterani ed evangelici, ricordando come proprio Martin Lutero sin dagli inizi legò il successo della sua predicazione agli accordi con i prìncipi tedeschi.

Il saggio di Ellul torna in libreria per i tipi di Eleuthera con una prefazione di Goffredo Fofi e un’introduzione di Mimmo Franzinelli
pagine 176, euro 15,00). Come annota Fofi, quella di Ellul è «un’insolita e forte difesa di una visione anarchica del cristianesimo scritta a uso dei cristiani». Credente convinto e al contempo simpatizzante di quella corrente anarcosindacalista che ebbe una sua importante specificità nel ’900, distaccandosi sia dal comunismo marxista che dall’anarchismo violento, Ellul tesse un elogio della disubbidienza civile nei confronti dello Stato, che anche nelle società democratiche, dopo il crollo dei totalitarismi, continua a porsi come un Moloch onnipotente che schiaccia l’individuo. «Stiamo sperimentando una crescita quasi infinita della sua potenza e della sua autorità, della sua capacità di controllo sociale, che hanno trasformato tutte le nostre democrazie in ingranaggi più totalitari dello Stato napoleonico!». Il dilagare dello Stato è fatto di propaganda e di conformismo, nonché «della volontà di trasformare gli individui in produttori-consumatori».

Ora, fatte salve talune esagerazioni, si deve tener conto che queste frasi venivano scritte prima dell’era di Internet: oggi siamo ancora più avvertiti della necessità di una presa di distanza dalle forme di potere che allungano i loro tentacoli sull’esistenza quotidiana. Ma oltre a questa critica, qui preme segnalare l’interrogazione costante rivolta alle Chiese, accusate di aver tradito la loro missione e invitate, come sottolinea Franzinelli, a «riscoprire la dimensione utopica e l’anelito libertario delle origini ». Ellul riconosce che «la situa- zione è migliorata da quando le Chiese non hanno più il potere»: un dato acquisito con la modernità (Paolo VI definì provvidenziale la caduta di Porta Pia, cioè la fine del potere temporale dei papi) e ancor più con la postmodernità. Anche se ancora Franzinelli ha buon gioco a rammentare come in vari Paesi europei «la logica del cattolicesimo » continui a guardare troppo spesso a un rapporto privilegiato con gli Stati e con i governi. Giurista e pacifista, amico di Ivan Illich, Ellul partecipò a mobilitazioni sociali e sindacali diventando vicino alle istanze dell’ecologismo radicale, ma visse sempre con difficoltà il suo impegno nella sinistra militante, che spesso lo emarginò per la sua fede esplicita.

Nel libro Ellul non nasconde certo come nell’ambito del pensiero anarchico si sia sempre manifestata la volontà di colpire la religione e le Chiese, ritenute organiche e complementari al potere borghese. Così come non dimentica le prese di posizione di tanti esponenti ecclesiali, a partire da Leone XIII, contro l’anarchismo, per il suo desiderio di scardinare l’ordine sociale. Ciò nonostante, in lui prevale il tentativo di ritrovare nell’Antico e nel Nuovo Testamento l’idea di riscatto, non solo religioso ma anche sociale e politico. Una linea che nel Medioevo e nell’età moderna sarebbe giunta ai movimenti ereticali e pauperistici, da fra’ Dolcino a Thomas Muntzer e Gerrard Winstanley. Il cristianesimo per Ellul è la «religione della libertà».

La fede cristiana, dice, «non immette in un universo di doveri e di obblighi, ma piuttosto in una vita libera» e cita le epistole di Paolo a sostegno delle sue tesi. «Non cerco affatto - precisa ancora - di dire ai cristiani che devono diventare anarchici»: si tratta piuttosto di essere anticonformisti e, per dirla con Vaclav Havel, uomini e donne «senza potere ». Richiamandosi a Francesco d’Assisi e, più di recente, a Charles de Foucauld, è la riduzione della fede «da messaggio libero e liberatorio a una morale» a non andargli a genio. L’esempio ancora una volta è quello di Gesù, che rifiuta di sottomettersi all’autorità, di qualsiasi tipo sia, politico o religioso, e che non baratta la sua missione con «i regni di questo mondo» come gli propone il Tentatore. Certamente, Cristo non fu un leader politico e meno che mai suggerì l’impiego della violenza, ma secondo Ellul fu un vero «contestatore globale », che dinanzi a scribi o farisei, o a Pilato, dimostrò «ironia, disprezzo, non cooperazione, indifferenza e, talvolta, accusa». Il percorso di Ellul, singolare e a volte con punte estreme, coincide curiosamente con l’analisi di uno dei padri del Concilio, Henri de Lubac, che mentre era impegnato nella Resistenza antinazista scrisse il saggio Proudhon e il cristianesimo (in Italia pubblicato da Jaca Book nel 1985 e più volte ristampato).

Il filosofo fu certamente nell’800 «uno dei grandi avversari della nostra fede», ma ciò non toglie che il suo anelito alla giustizia conservasse, a differenza di Marx e dei suoi epigoni, un’istanza religiosa. Egli fu «un testimone del risveglio e della rivolta delle classi popolari e anche un testimone, terribilmente parziale ma spesso perspicace, del cristianesimo della sua epoca. Soprattutto, il problema religioso non ha mai smesso di preoccuparlo, e mai egli l’ha considerato semplicemente risolto. È questo che lo distingue da tanti altri». Che lezione imparare da questo protagonista della lotta del socialismo secondo il teologo che negli stessi anni denunciava «il dramma dell’umanesimo ateo»? De Lubac rispose così alla lettera di un non credente che chiedeva, incuriosito, come fosse possibile che un cattolico avesse potuto parlare dell’anticlericale Proudhon con simpatia: «La Chiesa, che dall’esterno sembra a volte imporre ai suoi fedeli un conformismo quasi tirannico, è invece, per quelli che si sforzano di vivere del suo spirito, lo Spirito stesso di Cristo, come un ampio seno materno, in cui tutto ciò che è autenticamente umano viene alla fine accolto con lo stesso amore, qualunque siano le differenze e originalità ». Una lezione che il cattolicesimo avrebbe fatto propria grazie al Concilio.