Musica. Il diario di Elisa diventa il suo nuovo disco
Mamma Elisa è reduce da una «festona» come la definisce lei con 17 bambini per festeggiare i 9 anni di Emma Cecile, la figlia più grande, insieme al marito, il chitarrista Andrea Rigonat, al piccolo Sebastian di 3 anni e al cagnolino appena arrivato a casa che fa la pipì dove non dovrebbe. Scene di vita di una famiglia normale, in una tranquilla casetta appena fuori Monfalcone, se non fosse che mamma Elisa di cognome fa Toffoli, ed è una delle più importanti star della musica italiana. Impegnata in uno dei momenti di svolta più delicati della sua carriera. Il 26 ottobre, infatti, è uscito Diari aperti (Island Records) il primo album con una nuova etichetta discografica dopo 22 anni passati con la Sugar di Caterina Caselli che l’hanno fatta crescere come cantante e come autrice. Oggi, dopo 20 album registrati, la quarantenne Elisa ha deciso di aprire al pubblico quei diari che scrive come uno sfogo dell’anima fin da quando era bambina, cambiando anche stile musicale per avvicinarsi al classico cantautorato italiano. Forse un azzardo, di cui è consapevole, ma Elisa oggi ha scelto di raccontare in 11 brani il percorso di crescita, a partire dalle sue radici sino a diventare donna e madre, con la collaborazione di autori come Calcutta, Davide Petrella, Cheope, Federica Abbate e con la partecipazione straordinaria di Francesco De Gregori per cui Elisa ha scritto Quelli che restano. La cantante inaugurerà al Teatro dal Verme di Milano la seconda edizione della Milano Music Week (19-25 novembre). Poi, dal 18 marzo, in tour nei teatri.
Elisa, come concilia il ruolo di mamma e quello di artista di successo?
«Non è facile: la coperta è un po’ corta. Certi giorni sei l’ultima ruota del carro perché dai tutto alla famiglia, in altri non riesci a dare ai tuoi figli quello che vorresti per i troppi impegni. Io ho sempre lavorato e non mi sono mai fermata, né quando ero incinta, né quando i bimbi erano piccolissimi: li ho allattati in tournée nei camerini».
Però ha scelto di abitare in provincia, nella natia Monfalcone...
«Ho scelto di stare qui perché amo questi posti, oltre al fatto che qui vive la mia famiglia. E per i bambini l’aria e l’atmosfera sono più salutari. Si vive bene. È un posto di confine fra Austria e Slovenia e c’è una bella aria mitteleuropea che mi è sempre tanto piaciuta. Negli ultimi cinque anni inoltre Trieste è davvero risorta anche culturalmente».
Lei ha dedicato la delicata Promettimi a suo figlio Sebastian. Cosa si augura per i suoi bambini?
«Per i miei figli non faccio proiezioni sul futuro, quelle che canto sono delle speranze. Voglio insegnare loro dei valori, voglio farli nascere da dentro, attrarli a riconoscerli, più che suggerire una direzione che sarebbe pericoloso. Il valore più importante per me è l’onestà. La trasparenza, la sincerità nei confronti di se stessi e degli altri: è una forma di rispetto ed aiuta ad andare avanti sempre per chiarezza».
Lei presta la sua canzone e anche il suo volto alla campagna “Fino all’ultimo bambino” di Save the children.
«Sono diventata testimonial di Save the children nell’anno del centenario. In tanti anni di collaborazioni con associazioni che rispetto come Greenpeace, Emergency e Unicef, per la prima volta ho girato un video sociale ed è stato emozionante. È importante il sostegno a questo progetto di centri ricreativi nei quartieri disagiati delle grandi città. C’è una richiesta inimmaginabile di bambini extracomunitari oppure nati italiani, e di giovani mamme da sostenere. È importante avere chi ti legge un libro, una favola, o ti insegna una ricetta o a fare la spesa come facevano le nonne».
Come le sue nonne con lei?
«Quando c’erano le case coloniche qui al nord, le mamme non tiravano su da sole i figli, ma c’era un contesto matriarcale fatto di tante donne, mamme, nonne, zie che le aiutavano. Questo ti insegnava un senso di comunità che combatteva la solitudine di cui oggi siamo pieni, una solitudine sempre più silenziosa che crea un disagio sempre più pericoloso, sia all’interno delle famiglie sia nella testa degli adolescenti».
Nel disco si parla molto della sua infanzia.
«Ho scritto Tutta un’altra storia pensando alla Notte di San Lorenzo, ma ho confuso il ricordo di bambina: in realtà si tratta della notte dei santi Pietro e Paolo quando si metteva un albume in acqua. Mia nonna diceva che se faceva le vele sarebbe stata una buona annata. In Come fosse adesso ricordo a mia sorella quando mi sono rotta il braccio andando in bici con lei. In questi brani racconto la mia essenza, la mia fragilità che può essere una forza, il mio essere allegramente confusionaria, l’amore per la mia famiglia e mio marito. Questo disco è il manifesto di come sono io: parlo di sentimenti e di cose vissute da me».
Per questo ha scelto una decisa sterzata verso l’italiano?
«In questa nuova fase mi allontano da sapori artefatti, dai suoni seppur cari e affascinanti americani e anglosassoni che ho cantato da una vita. Volevo scavare in terreni meno pop e accattivanti, ma forse più autentici e originali. E più italiani. Insomma, la mia è una storia italiana, raccontata con uno stile italiano».
Quali sono i suoi cantautori di riferimento?
«Tanti, da Battisti a Dalla fino a Celentano: lui ha avuto un modo geniale di mettere il ritmo nelle parole e nella musica, senza imitare gli americani. E, soprattutto, De Gregori. Lui è stato uno dei più grandi riferimenti musicali per me con La donna cannone, La leva calcistica, Prendere e lasciare. Ci conoscevamo già, io avevo cantato in un suo concerto e lui in uno mio. Ho scritto un brano pensando alla sua voce, ma non osavo proporgli un duetto. Quando mi ha risposto di sì, non potete capire l’emozione...».
Forse sarebbe il momento per fare emergere il talento cantautorale femminile?
«Certo, perché di autrici di talento ce ne sono moltissime. A partire da Carmen Consoli per arrivare a Federica Abbate che è una melodista molto incisiva, fino a Federica Camba che firma i successi di artisti come Nek, Morandi, Alessandra Amoroso, Emma, Tozzi, Laura Pausini».
Elisa, lei è stata spesso protagonista del talent “Amici” di Maria De Filippi. Non ha avuto paura di farsi intrappolare da meccanismi troppo televisivi?
«Premetto che Amici è contenitore fantastico e immediato. Ma un problema della tv e dei social è proprio l’immediatezza della risposta del tuo interlocutore. L’interlocutore un tempo era più immaginario, e questa distanza era sana, ti permetteva di sbagliare in pace. Oggi tu non hai la possibilità di sperimentare un po’ senza essere giudicato: è comprensibile che accada. Ma questo crea a livello psicologico una pressione e uno scompiglio senza precedenti: ora i tempi sono molto duri e difficili, soprattutto se sei molto giovane. È tutto molto visivo e poso uditivo. Il tempo e l’energia dedicata alla musica è sempre meno».