Agorà

INTERVISTA. Edward Norton: «No al mondo senza morale»

Luca Pellegrini martedì 17 luglio 2012
Anhe l’asettico colonnello Ric Byer, che ordina spietatamente l’eliminazione di spie e medici perché il programma governativo segreto cui è a capo deve essere cancellato, non è un personaggio lineare e prevedibile. Per questo Edward Norton è saltato dentro la serie di Bourne senza pensarci un attimo: «Questa storia di spie poteva continuare a essere narrata perché ha evitato fin dal principio di arrotolarsi su se stessa. Il regista Tony Gilroy aveva anche un forte interesse ad espanderla verso nuove direzioni. Mi è piaciuto il modo in cui è riuscito ha utilizzare la sceneggiatura per tuffarsi nelle zone grigie della morale, dove si moltiplicano i compromessi. Non avrei mai accettato di entrare nella saga se non vi avessi trovato una dimensione emotiva e morale profonda». Lei ha sempre dimostrato d’essere attirato da personaggi complessi.Tutti i ruoli che ho interpretato si muovevano tra paradossi, senza mai poter essere inseriti in una categoria definita. Di Ric Byer mi è piaciuta la contraddizione: si scatena quando si debbono prendere delle decisioni immorali che si basano, però, su ideali a servizio di un obiettivo patriottico. Non è che Ric Byer sia soltanto esplicitamente il cattivo, il suo carattere è molto più complesso e sfumato, c’è molta ambivalenza in lui. Ogni personaggio del film è come se parlasse a se stesso cercando di convincersi che quello che fa è giusto, anche se non lo è, perché a servizio di un bene più ampio e superiore. Significa razionalizzare il presente: succede ogni giorno nel nostro mondo. Copiose schegge di paura, vivendo in questa realtà.Le tante paure che viviamo io e il mio Paese non nascono certo dalla storia di Bourne, che non le ha aumentate. Però, non le ha nemmeno diminuite: sono perfettamente consapevole di come vanno le cose. I droni americani continuano ad ammazzare gente innocente.Il successo della saga risiede in questo collegamento alla realtà?I film della serie di Bourne attraggono il pubblico perché contengono il ritratto di un mondo che esiste davvero, non è artificiosamente creato come quello di Bond o di Mission: Impossible. C’è un forte dibattito in corso su questi temi ed è il motivo per cui trovo il film ben radicato nel momento che viviamo.Il suo momento professionale, invece, è più sereno: fa quello che gli è sempre piaciuto fare.Fare l’attore è una meraviglia, un apprendimento costante, mi sento un privilegiato. Recitare per me è cercare, è guardare gli altri per vestire i loro panni nel modo migliore. Quando studio una sceneggiatura, la prima cosa che faccio è “sentire” se mi porta in luoghi difficili da comprendere. Mi fermo qui: sono sempre riluttante nel dire che cosa porto nel mio lavoro e cosa apprendo dai miei personaggi.Una cosa l’ha appresa: dedicare parte della sua vita anche a cose buone per il nostro pianeta.Sono ambasciatore delle Nazioni Unite per il programma della biodiversità, un concetto estremamente difficile. Da dieci anni lavoro per un progetto umanitario collegato al Masai Wilderness Conservation Trust nel Kenya meridionale, una fondazione no-profit finalizzata alla protezione e alla salvaguardia della natura, in cui sono coinvolti due italiani, Luca Belpietro e Antonella Bonomi.