Il punto. Editoria religiosa: riscoprire i maestri e cercare i lettori
A raccogliere le analisi e gli spunti offerti dagli interventi che sono seguiti alla mia sollecitazione sul (mancato) risveglio dell’editoria cattolica, ci si troverebbe in difficoltà, perché le considerazioni e le motivazioni avanzate sono state numerose. Proverò quindi ad offrire una mia personale riflessione conclusiva, partendo dal concetto del “nutrire il sapere della fede”, come si è espresso Aurelio Mottola, direttore di Vita e Pensiero, nel suo intervento del 23 luglio. Perché questo “nutrimento” sia percepito come necessario, occorre però che si crei prima di tutto un humus ecclesiale, pastorale e culturale – che oggi sembra decisamente mancare – in cui vescovi e sacerdoti avvertano prima di tutto l’urgenza del cambiamento del linguaggio della predicazione e della catechesi, in modo da proporre in modo più consono alla società intera e in particolare ai giovani di oggi i fondamenti della fede di sempre: in altre parole, che il sapere risulti effettivamente una via nuova e concreta che serve a istradare al senso cristiano del vivere e all’umanesimo autentico su cui è fondata la dottrina e l’etica cristiana. Anzi, da questo punto di vista, con l’avanzare di finti umanesimi o trans-umanesimi, sembra ancora più urgente un intervento della Chiesa, ma anche degli intellettuali cattolici, per costruire insieme nuove prospettive e orientamenti pratici.
Se ci soffermiamo un momento sull’elaborazione dei saperi della fede, un apporto indispensabile dovrebbe venire innanzitutto da una saggistica teologica e spirituale che, in sinergia con le istituzioni ecclesiastiche, le università, i centri di formazione e gli istituti di ricerca, recuperi la solidità scientifica che, se l’occhio non mi fa difetto, sembra essersi fortemente affievolita negli ultimi tempi. Che poi i frutti siano raccolti da case editrici cattoliche o laiche conta meno: l’importante è che ci siano e che venga arricchito il panorama complessivo. Va da sé che poi tutti ci tengano ad avere i buoni autori e i buoni testi.
Ma proprio qui nasce un secondo problema per l’editoria cattolica: la migrazione degli autori più noti. Ora è chiaro che, quando le proposte vengono da una casa editrice laica editorialmente e commercialmente molto più attrezzata a garantire di più l’autore in termini di vendite, visibilità, anticipi e collaborazioni, è comprensibile che si faccia volentieri il passaggio, magari senza dimenticare del tutto gli editori cattolici con cui si è cominciato o con i quali si è collaborato.
Al tempo stesso, purtroppo, si deve lamentare il fenomeno – ed è una constatazione comune, anche da parte di editori laici – l’irrefrenabile corsa all’oblio di teologi, biblisti o saggisti recenti che erano dei pilastri di una casa editrice, ma che, una volta venuti a mancare, sembrano diventati dei fantasmi e che i loro libri, prima molto venduti, siano del tutto scomparsi dalla scena. Come se, venuta meno la spinta determinata dall’insegnamento, dalle conferenze, dalla pubblicistica, quegli autori non avessero più niente da dire.
C’è poi da considerare anche l’aspetto strettamente editoriale, sia sul piano organizzativo che strategico. Ci si deve domandare, parlando in linea generale, se non ci si debba preoccupare di essere più lucidi o più efficaci, più appetibili o funzionali al tipo di editoria, logistica, promozione e distribuzione in quest’epoca dei tempi nuovi, dove la velocità delle consegne e dei rifornimenti (vedi Amazon), così come una più stretta relazione con la clientela, giocano un ruolo fondamentale, e dove arrivare nelle librerie che contano è comunque sempre significativo, indipendentemente dalla quantità di libri e dal numero di copie richieste. Inutile aggiungere che, per migliorare, ci vogliono investimenti per rafforzare i punti deboli del proprio sistema (e questo vale per tutti), ma per investire bisogna innanzitutto credere in quello che si fa e che sia possibile trovare le vie giuste per uno sviluppo economicamente e culturalmente sostenibile.
A fronte di tutto questo, si torna al problema numero uno: la capacità di coltivare e attrarre i lettori. A volte si resta sconfortati nel constatare, anche tra fedeli, amici, parenti che pur sono attivi nella vita parrocchiale, il totale (o quasi) disinteresse per l’informazione ecclesiale e culturale o per la lettura di libri che aiutino a conoscere le basi della fede, li-mitandosi tutt’al più a qualche testo devozionale o di spiritualità spicciola. Troppo spicciola. Si dirà che tutto questo rientra in quel contesto a più vasto raggio che in molti abbiamo cercato più volte di richiamare, ed è vero. E infatti ci sono una responsabilità e un impegno che attendono risposte concrete da parte di tutti.
***Si conclude con questa riflessione riassuntiva di Giuliano Vigini il dibattito attorno all’editoria religiosa in Italia avviato il 5 aprile scorso con un intervento dello stesso Vigini che disegnava uno scenario fortemente problematico. In questi mesi hanno risposto su queste colonne i responsabili delle principali case editrici di ispirazione cristiana. Tutti gli interventi sono disponibili online sul sito di “Avvenire”.