Luigi Einaudi e Lorenzo Milani: una sintonia mancata. Tra l’economista piemontese che fu presidente della Repubblica dal 1948 al 1955 e il Priore di Barbiana non ci fu intesa. Una lettera inedita del sacerdote fiorentino, scoperta dagli allievi della scuola di San Donato ora organizzati nel «Gruppo don Milani» di Calenzano, chiarisce i contorni di un rapporto non del tutto felice. Il punto di partenza era stata una delle Prediche inutili di Einaudi, comparse in volume nel 1959 e più volte ripubblicate. Il testo einaudiano, partendo dalla vicenda di Giuffré, il «banchiere di Dio» che aveva coinvolto nei suoi traffici varie istituzioni religiose, criticava la confusione tra economia e beneficenza; unita alla ingenuità di molti uomini di Chiesa, quella confusione era causa di gravi danni. Einaudi sosteneva pure l’inutilità di una «infarinatura» di economia nei seminari o nei licei attraverso «manuali economici». Scritto alla fine del 1958, l’articolo non rivela una conoscenza diretta di Esperienze pastorali, uscite a marzo dello stesso anno. Un’allusione sembra però contenuta nel titolo: «Un libro per seminaristi e studenti». Abilmente, don Milani cita la «predica» come «quella ai seminaristi», ma su quel punto non venne da Einaudi alcun chiarimento. La lettera di don Milani è però di grande interesse sotto un altro aspetto. Pochi giorni prima, scrivendo a monsignor Francesco Olgiati, autore di una durissima stroncatura sulla Rivista del clero italiano, don Milani aveva dichiarato «scherzosi e non economici» i quattro articoli di una «proposta di legge» a pagina 338 del suo libro. Vi si affermava che i campi, le case coloniche, il bestiame e i boschi devono appartenere «a chi ha il coraggio » di vivere e di lavorare in montagna. Anche se – aggiungeva il Priore – neppure questo sarebbe bastato a fermare l’esodo. Nella lettera al senatore Einaudi si dice che, nel libro, tutti gli argomenti di politica e di economia sono stati affrontati «scherzosamente». Il termine «scherzoso» non sembra appropriato. L’approccio di don Milani può essere meglio definito irri- tante, pungente, divertente, provocatorio e simili. Ma qui, trascurata l’esattezza linguistica, don Milani punta alla sostanza: «In conclusione la tesi del libro non è affatto che i sacerdoti di queste cose dovessero intendersi o pontificare, ma piuttosto uscirne del tutto e al più presto». E per chiarire ogni dubbio: «Di ogni cosa vedevo solo il lato pastorale». Ma anche quella di don Milani fu una «predica inutile». La risposta del vecchio senatore (pubblicata a suo tempo da Neera Fallaci) è una lunghissima lettera. Il libro di don Milani viene elogiato per l’originalità di una indagine che entra rispettosamente nella vita delle famiglie e ne trae conclusioni solide e attendibili. Ma il senatore ripete le critiche a quelli che parlano di economia senza averne la competenza (don Milani rientra nel numero!) e prende sul serio i «quattro articoli» di pagine 338 («Dio le perdoni il peccato di buone intenzioni»). Con Einaudi si aggiunse dunque un altro nome a quelli dei critici indifferenti alla «potenza dell’arte» (espressione del Priore) che aveva affascinato tanti lettori. Così don Milani aveva risposto al giudice Dupuis, che vedeva in Esperienze pastorali un’«atmosfera di lotta di classe»: «Gli innamorati nell’ammirare il loro bene qualche volta sono ingiusti verso gli altri che non sono il loro bene. Ma noi amiamo questa loro miopia che è quel famoso amore materno e matrimoniale che rende la vita possibile e trova anche agli esseri più spregevoli qualcuno che li ama e non vede i loro difetti. Nel leggere il mio libro faccia conto di leggere un poema amoroso. Io sono l’innamorato e questi due popoli (di San Donato e di Barbiana) sono l’oggetto del mio amore». Ma può un economista subire il fascino di un «poema amoroso»?