Come è stato più volte ribadito dai principali storici, cattolici e non, che hanno studiato in profondità la vicenda dei cosiddetti “silenzi di Pio XII” sullo sterminio degli ebrei – mettendo in luce come questi silenzi fossero funzionali all’attività di salvataggio degli ebrei stessi – non c’è alcun bisogno di trovare la cosiddetta “pistola fumante”, ossia la prova scritta, di un ordine diretto del Papa al clero e ai religiosi per comprendere in che misura il Vaticano in quella stagione terribile si attivò per salvare un gran numero di ebrei dalla deportazione e della morte. La tesi del totale spontaneismo dal basso (superiori, priori e badesse che si attivano per aprire le porte di chiese e conventi a totale insaputa o, peggio, a dispetto del Papa) non regge infatti alle prove della storia, ma nemmeno a quelle della logica. Basterebbe citare tra le centinaia di fatti l’opera continua di sostegno agli ebrei nascosti nei conventi di monsignor Montini, sostituto alla Segreteria di Stato, che era un diretto collaboratore di Pio XII. E che certo non avrebbe potuto, in coscienza e negli atti concreti, celare il suo impegno al Papa. E a chi ancora reclama, con una certa ostinazione non immune da tratti ideologici, che “si tiri fuori la prova”, si può obiettare facilmente che, con i tedeschi che a Roma facevano il bello e cattivo tempo e minacciavano di dilagare in Vaticano e nelle chiese, sarebbe stato un errore madornale mettere un tale ordine nero su bianco: avrebbe rappresentato un atto di accusa senza precedenti contro il Papa, esponendo lui, il clero, i cattolici a rappresaglie inaudite e limitando di fatto la sua azione umanitaria. Del resto – non è un’affermazione nuova – anche i negazionisti della Shoah si sono spesso attaccati al pretesto che mai è venuto fuori un ordine diretto di Hitler ai suoi gerarchi per portare a termine lo sterminio degli ebrei. E tuttavia questa affermazione non ha fatto venire a nessuno dotato di buon senso il benché minimo dubbio sul fatto che il Führer fosse ispiratore e partecipe del progetto di distruzione degli ebrei europei.Un giornalista e studioso di storia, Antonello Carvigiani, ha in questi giorni affacciato un’ipotesi storiografica molto suggestiva, pubblicata sulla rivista <+CORSIVOAGORA>Nuova Storia Contemporanea <+TONDOAGORA>sul numero 5 del 2014, ma disponibile in libreria da pochi giorni. Si tratterebbe, ipotizza Carvigiani, delle tracce evidenti di «un ordine scritto o orale, consistente in una formula standard, fatto arrivare a tutte le case dei religiosi e delle religiose, alle parrocchie e ad ogni struttura ecclesiale presente a Roma affinché aprano le porte per dare rifugio ai ricercati». Lo studio delle inedite cronache dei monasteri di clausura romani dei Santi Quattro Coronati e di Santa Susanna relativi al periodo ottobre 1943-giugno 1944, se messe a confronto, «rivelano molte consonanze, tanto da far pensare che quei brani derivino da una fonte comune – scrive Carvigiani –. Una fonte autorevolissima che chiede di aprire la clausura e di nascondere tutti i ricercati dai nazisti, soprattutto gli ebrei. Analizzando i testi, si può supporre che questa disposizione venga impartita dal Papa. Si può ipotizzare, dunque, che un biglietto scritto, preparato in centinaia di copie, venga distribuito in tutte le istituzioni religiose di Roma».Comparando i documenti Carvigiani ha rilevato una straordinaria somiglianza da un punto contenutistico e perfino lessicale nelle pagine dedicate all’ospitalità di ebrei. Ma non basta: l’indagine storico-filologica di Carvigiani si è allargata a una nota pubblicata dall’
Osservatore Romano del 25-26 ottobre 1943, nella quale si legge esplicitamente che «con l’accrescersi di tanti mali è divenuta, si direbbe, quasi più operosa la carità universalmente paterna del Sommo Pontefice, la quale non si arresta davanti ad alcun confine né di nazionalità, né di religione, né di stirpe. Questa multiforme ed incessante azione di Pio XII in questi ultimi tempi si è anche maggiormente intensificata per le aumentate sofferenze di tanti infelici». A parte quella significativa sottolineatura – «né di religione, né di stirpe» –, che è un segnale inequivocabile della volontà papale, il corsivo dell’
Osservatore, secondo la tesi di Carvigiani, è anch’esso molto simile per contenuto e forma ai diari dei monasteri citati. L’ipotesi è allora che esso e i diari dei monasteri potrebbero essere modellati su una sorta di bozza originaria – una disposizione orale o anche una “velina” scritta – partita dal Vaticano in direzione di chiese e conventi romani. La razzia del ghetto romano avvenne il 16 ottobre 1943. Le monache dei Santi Quattro Coronati cominciano ad accogliere i rifugiati – come spiega la loro cronaca inedita – il 4 novembre, mentre le religiose di Santa Susanna aprono le loro porte – anche qui lo testimonia il loro registro – il 24 ottobre. «Le date, dunque, potrebbero essere favorevoli per dimostrare l’esistenza di questa circolare della Segreteria di Stato», annota Carvigiani. Del resto, nel 2007 l’allora segretario di Stato Vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, aveva parlato dell’esistenza di una circolare della segreteria di Stato vaticana del 25 ottobre del 1943 che disponeva l’apertura dei conventi agli ebrei, siglata dal Papa. Un documento che però non è stata ancora reso pubblico. Ma le cui tracce potrebbero essere individuate, secondo Carvigiani, nelle carte da lui citate. L’autore del saggio riconosce con scrupolo di ricercatore come questa sua tesi si muova più nel campo della probabilità che in quello della certezza e che non costituisca la fatidica “pistola fumante” che forse non esiste. Ma sicuramente è un altro tassello di quel complesso e variopinto mosaico storico che, alla distanza, disegna con tratti sempre più netti la volontà di papa Pacelli di salvare le vite di tanti ebrei durante l’occupazione nazista di Roma.