Morley’s, i grandi magazzini che guardano in faccia la stazione della metropolitana, sono come il primo impatto, quello che ti illumina davanti agli occhi la rivoluzione che spinge verso il futuro guardando al passato, che alla globalizzazione condotta all’eccesso risponde con i prodromi della localizzazione. Brixton, sud di Londra, dove il colore dominante è il nero e le radici preponderanti sono afro-caraibiche. Non un caso che la spinta parta da qui, da questo luogo di fermenti socio-culturali, come la furia iconoclasta del punk che sul finire degli anni ’70 incendiò la città. Anche se può apparire contraddittorio che sia la più multietnica della comunità, un
melting potche pesca a piene mani dal Sud del mondo, a chiudersi a riccio per salvaguardare se stessa. Le vetrine di Morley’, il primo impatto. La locandina della rivoluzione è lì, affissa all’ingresso: «
Brixton Pound accepted», si accettano Brixton-sterline. La cassa funziona come cambio. Molli un biglietto con l’immagine di un esponente della monarchia britannica, te ne consegnano uno multicolore, da cui occhieggia il volto di chi di Brixton ha fatto la storia, da Vincent van Gogh, che qui visse un paio d’anni in gioventù, a James Lovelock, fino a Olive Morris, attivista giamaicana per i diritti umani. Il cambio è alla pari, nulla che possa farlo variare. Una sterlina per una Brixton-sterlina, la moneta nuova di zecca, locale che più locale non si può, come di tempi del Medioevo, quando il conio nazionale era ancora di là da venire. Si cambia qui, si spende qui. E se ne resta in tasca qualche esemplare lo si cambia di nuovo, prima di salire su un vagone della metropolitana londinese e lasciarsi Brixton alle spalle. Il grosso, com’è naturale che sia, lo usano quelli del posto. È creata da loro e per loro. Da un’idea di Tim Nichols, che da queste parti s’è trasferito più o meno un anno fa, e con la collaborazione di Transition Town Brixton, organizzazione locale che ha a cuore il tema dell’ecologia. Nichols ha le sue idee, da condividere con la comunità: «È una sfida importante. Basti pensare che Brixton è Londra, vale a dire uno dei grandi centri finanziari del pianeta. E noi vogliamo portare avanti questo progetto locale, antitetico a tutte le regole del sistema delle banche». Se c’è crisi, tocca salvaguardarsi. Ragionamento semplice, lineare: «Vogliamo inculcare l’idea di localismo, così da dare una mano al commercio locale». Se il tour può cominciare da Morley’s, il luogo del primo impatto, poi non può che continuare attraverso il Brixton Market, che un po’ ricorda i bazar mediorientali, senza peraltro trasmetterne l’irresistibile fascino. La miglior cartina al tornasole per capire quanto il progetto abbia fatto presa tra la gente. Un occhio a destra, un altro a sinistra: l’impressione è che sia soltanto l’inizio, per dirla con linguaggio da ’68. Del resto, si è partiti a ritmo lento: solo quarantamila banconote (da 1, 5, 10 e 20 sterline) messe in circolazione. E la risposta iniziale è stata tiepida: meno di una cinquantina di esercizi commerciali a dire sì al progetto, poco più di una goccia nel mare in un quartiere che ha le sembianze di un mercato a cielo aperto. Satay, lungo la strada che costeggia la zona coperta del Brixton Market, è luogo di sapori forti, roba che rimanda all’Estremo Oriente. Vi accettano la nuova moneta locale, spinti dall’idea di una comunità coesa: «L’idea è ottima per dare impulso al commercio locale e far circolare soldi all’interno della nostra comunità. Poi, si sa, non è facile far accettare certe novità a tutti: deve essere un lavoro lungo e instancabile. Ed è naturale che la Brixton-sterlina passi di mano quasi soltanto tra le gente del posto: chi viene da fuori non ha interesse a cambiare i soldi e poi ricambiarli quando va via». Concetto lampante, del tutto condivisibile. È quel che ci ripetono da May Foods, altro ristorante, minuscolo, specializzato in piatti della cucina ghanese, poche decine di metri più in là, appena entrati sotto le volte del mercato coperto: «Noi abbiamo aderito al progetto, anche perché abbiamo soprattutto clienti locali. A chi viene da fuori e paga in sterline possiamo dare il resto in Brixton-sterline: ma che senso avrebbe per loro?». Nessuno, certo. È per questo che c’è chi ne parla in termini positivi e chi all’esatto contrario. Nel primo caso, da Wildcaper, minuscolo caffè-panetteria arredato con gusto antico e facsinoso: «Siamo parte di una comunità, è giusto condividere progetti che vanno nella direzione del bene comune. Certo, accettare la moneta locale non significa che tutti i nostri clienti la usino. Ma quando accade a noi fa piacere». Nel secondo, una volta usciti allo scoperto, dal lato opposto da quello del nostri ingresso, laddove l’atmosfera ovattata dell’interno sfocia in un incessante vociare, tra il brusio della gente e le grida di commercianti che provano a calamitare clienti.Tra macellerie di stretta osservanza
halal, negozi di frutta con tocchi di esotismo e pescherie dai banchi multicolori, chi accetta la Brixton-sterlina fa la figura della mosca bianca. Il resto è fatto di scettici. Chi per un motivo, chi per un altro. Qualcuno perché non ha interesse: «La stragrande maggioranza dei nostri clienti arriva da altre zone di Londra e non c’è motivo per cui dovrebbero pagare con la moneta locale». Chi perché nutre qualche timore: «Un progetto come questo non può garantire la guerra ai falsari. Il rischio è grande, meglio evitarlo». Un’idea, qualche vantaggio, altrettanti dubbi. È quel che ci accompagna fin dentro i sotterranei della stazione, mentre saliamo sul vagone della metropolitana, mentre il treno della Victoria Line viaggia verso il centro di Londra, laddove si paga rigorosamente in sterline e Brixton sembra un altro mondo.