Ricerca. Martin: «L'energia delle stelle salverà il pianeta»
Spider, la sorgente di ioni negativi più potente al mondo presso l’impianto NBTF
Alla presa di casa, l’elettricità prodotta da centrali termoelettriche che sfruttano la fusione nucleare: quando sarà possibile? «Se parliamo di utilizzo commerciale della fusione credo non prima del 2050 – risponde Piero Martin, fisico e professore ordinario all’Università degli Studi di Padova, responsabile per la fisica del progetto DTT –. Anche se già prima pensiamo verrà collaudato un prototipo di centrale a fusione nucleare e verranno sciolti gli ultimi nodi riguardanti questo processo fisico e la sua gestione». Già, perché progetti di ricerca sull’uso civile della fusione nucleare sono in corso in tutto il mondo. Il sogno dell’umanità è quello di ottenere e governare “l’energia delle stelle”, trasformandola in energia elettrica «pulita e accessibile a tutti». Ma non è oro tutto ciò che luccica: Martin riflette su questioni etiche – dalla pace e alla giustizia sociale che questa nuova energia porterà.
Professore, sarà davvero l’energia di tutti e della pace?
Il fisico Piero Martin - archivio
L’energia ottenuta dalla fusione nucleare ha tutti i crismi per essere considerata “per tutti”. Usa combustibili ampiamente disponibili, come l’acqua e il litio e quindi può essere davvero un qualcosa che non è legato a pochi possessori di risorse come oggi accade con i combustibili fossili. Tuttavia, occorre una volontà politica. E in questo caso un ruolo importante ce l’avranno anche gli scienziati affinché la fusione nucleare diventi davvero un “bene comune”. Serve che i paesi ora impegnati mantengano le ricerche “pubbliche”. Il rischio è che avvicinandosi alla meta ciò non avvenga. Non è negativo di per sé l’interesse privato, anzi è assai utile, ma è necessario un accordo internazionale perché la fusione nucleare è una risorsa strategica per uno sviluppo sostenibile.
A che punto è “la notte”, cosa si sta facendo di concreto per sviluppare la fusione?
A un fisico sovietico, Lev Artsimovitch, fu chiesto quando sarebbe stata pronta la fusione nucleare. Rispose così: «La fusione sarà pronta quando la società ne avrà bisogno». Sembra un modo per svicolare dalla risposta, ma non lo è. Fino a oggi l’energia non è mai stata un problema di cui preoccuparci. C’è voluta una nuova e crescente sensibilità ambientale e oggi la guerra in Ucraina, per farci capire che l’energia è preziosa. E così mi ricollego al discorso di Artsimovitch: se oggi vogliamo liberarci dalla dipendenza dai combustibili fossili, i progetti per fusione nucleare vanno accelerati. Abbiamo fatto grossi progressi, ma ci mancano ancora dei pezzi di conoscenza, sia da un punto di vista teorico che applicativo.
Per esempio?
Per ora il processo di fusione è stato mantenuto “in vita” per tempi limitati. Ma arrivare al giorno in cui dalla spina di casa possa uscire elettricità prodotta da fusione nucleare, con un sistema che rimanga attivo nel tempo, ci vuole ancora lavoro, che fin da subito ha però preziose ricadute industriali e economiche.
Diceva problemi applicativi…
Io credo che la dimostrazione della possibilità che la fusione nucleare funzioni l’avremo prima della seconda metà del secolo. I privati e i laboratori pubblici ci stanno già lavorando. Ma per l’energia elettrica alla presa di casa ci vorrà un po’ di tempo in più. Per la fissione nucleare prima c’è stata la pila di Fermi nel 1942 come prova concettuale, successivamente è arrivato il primo reattore prototipale – nel 1951, negli Stai Uniti e si chiamava Ebr-1 – capace di generare elettricità per 4 lampadine. È rimasto nei libri di storia perché ha segnato un’epoca. La fusione ha bisogno di dimostrare presto che può accendere 4 lampadine, anche se magari con ancora qualche cosa da aggiustare. Sarà un segnale forte per l’industria e i decisori politici.
Ma si potrebbe accelerare…
L’urgenza potrebbe cambiare le carte in tavola. Dettata da una crescente consapevolezza sui rischi del cambiamento climatici e dalle conseguenze della guerra, che ha forzato i paesi a ragionare sulla loro indipendenza energetica. Questo ultimo obiettivo potrebbe portare a una accelerazione.
Questa accelerazione la registriamo negli investimenti?
Certamente. Nel 2022 ci sono stati investimenti privati nel mondo per 4 miliardi e 700 milioni di dollari, oltre 6 volte circa quanto stanziato dal Bilancio federale americano in quell’anno per la ricerca pubblica sulla fusione. Va detto però che nel-la proposta di finanziaria 2024 l’amministrazione Biden ha proposto di aumentare i finanziamenti pubblici per la fusione a 1 miliardo di dollari. Restano comunque cifre piccole rispetto alle spese militari: costruire una portaerei costa oltre 10 miliardi di dollari. Ma nell’ambito della fusione nucleare queste cifre e questi incrementi sono importanti e indicano un cambio di passo. L’energia è un bene primario, tanto che c’è una relazione diretta con l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. Più hai energia e più la tua società cresce in modo positivo e implementa servizi primari come istruzione e salute.
Quando si parla di nucleare, la discussione per le persone assume sempre qualcosa di tetro, di pauroso, di non controllabile…
Il nucleare ha un peccato originale: agli occhi della opinione pubblica non è nato con la pila di Fermi ma con la Seconda Guerra Mondiale e con la tragedia dei due ordigni sganciati sul Giappone. Così come nella memoria collettiva rimangono indelebili gli incidenti di Cernobyl e di Fukushima. Però senza le applicazioni della fisica nucleare non si potrebbero fare una tac, una radiografia, cure radioterapiche.
Ma perché la fissione è vista come cattiva e la fusione come buona?
Per come funziona, un reattore a fissione basa la sua sicurezza su sistemi di controllo attivo, in grado di gestire lo spegnimento in presenza della “massa critica” di combustibile. La fusione invece per sua natura ha bisogno di condizioni ottimali per funzionare, al minimo guaio ha il vantaggio che il processo si spegne da solo. È una proprietà che garantisce sicurezza, ma che anche rende più difficile realizzarlo. La fusione poi non produce scorie radioattive di lunga durata.
Quali sono ad oggi i limiti tecnici della fusione?
Noi abbiamo sopra la testa un esempio di come funziona la fusione: il sole. La nostra stella è un reattore nucleare a fusione gigantesco, che grazie alla sua massa riesce a mantenere questo genere di processo. Noi cerchiamo di duplicare ciò che fa il sole. Ma non abbiamo a disposizione tutta quella massa, e quindi dobbiamo usare altri mezzi. Il processo deve essere efficiente ed economico, ovvero l’energia elettrica deve essere prodotta ad un costo competitivo rispetto a ciò che si è speso per farla. E questo richiede ancora degli sviluppi di fisica applicata. E poi la gestione dei flussi di calore. Bisogna anche imparare a gestire e a convogliare questa energia. Problemi alla cui soluzione il nuovo esperimento italiano DTT, in costruzione nei laboratori Enea di Frascati, darà un contributo fondamentale.