Un colpevole, un innocente. Sembra trasformarsi sempre più in un tribunale, la montagna, e dall’alto di scranni di carta – libri o giornali – giurie di accreditati rocciatori pronunciano imperturbabili i loro verdetti sui colleghi. La morte di Achille Compagnoni, un paio di settimane or sono, ha riportato a galla la querelle forse più celebre e distruttiva dell’alpinismo italiano, quella del K2. Ma le polemiche d’alta quota stanno diventando ormai più regolari del retrocedere dei ghiacciai e interessano pure il grande pubblico con periodiche burrasche editoriali. Non sembra esistere nemmeno prescrizione, per il reato di falsa o dubbia scalata: in qualsiasi momento il dossier può essere riaperto ed esaminato di nuovo, in base a prove più o meno inedite, per approdare a una sentenza di assoluzione o condanna. Un caso recente: il dramma del lecchese Claudio Corti, accusato di abbandono del compagno durante una scalata all’Eiger nel 1957, rievocato da ben due volumi a discolpa, quello di Daniel Anker Morte sull Eiger (Corbaccio 2006) e il monumentale Il Prigioniero dell’Eiger (Stefanoni 2008) di Giorgio Spreafico. Alessandro Gogna e Italo Zandonella Callegher si espongono ora su un caso vecchio di oltre 80 anni: la prima ascensione dei cosiddetti «strapiombi nord» del Campanile di Val Montanaia nelle Dolomiti friulane, saliti per la prima volta il 3 settembre 1925 (ma proprio su questa ascensione si appuntarono poi i dubbi di molti colleghi) da un giovane quasi avvocato vicentino. A dir la verità Gogna, già alpinista di primo piano, e Zandonella Callegher, storico della montagna, pur avendo per quasi tutto il volume dato l’impressione di propendere a favore dell’imputato, nelle ultimissime pagine si tirano indietro e sembrano decidere per l’insufficienza di prove; per questo hanno intitolato La verità obliqua di Severino Casara (pp. 336, euro 17,50) il libro che – tra l’altro – segna l’ingresso dell’editore Priuli & Verlucca nella saggistica d’alpinismo con la nuova collana «Campo Quattro». Oltre che lontana nel tempo, la vicenda sarebbe di scarso interesse anche perché – di fatto – legata a una paretina tutt’altro che eccelsa, anzi nel suo passaggio chiave di una trentina di metri soltanto, con una traversata di «appena» 6 metri... Ma in montagna non tutto si misura a centimetri. E in effetti, a parte la suggestione unica del Campanile (una guglia dal caratteristico rigonfia- mento centrale), la soluzione di quel problema poteva significare all’epoca molto più di una semplice «prima »: ad esempio l’anticipata irruzione del sesto grado nella storia dell’alpinismo, oppure un’inattesa vittoria della filosofia dell’arrampicata «libera» su quella disposta ad usare senza troppi riguardi i chiodi. E poi sull’impresa Casara gravano i pesi di anni e anni di accuse e diffamazioni, dicerie e delazioni, con tanto di commissioni d’inchiesta e giurì del Cai, testimonianze e prove sul campo (oggi si direbbe «incidenti probatori»), ricostruzioni minuziose, ipotesi, polemiche sui giornali, interminabili riunioni e discussioni di «saggi», correnti di filosofie alpinistiche che dapprima s’intrecciano con la politica del regime fascista e poi si abbassano persino a mormorazioni sugli orientamenti sessuali del protagonista... Insomma, tanto per insinuare che non sempre l’aria di montagna è così pura come sembra. Lo conferma anche il libro di Reinhold Messner Grido di pietra (Corbaccio, pp. 296, euro 19,60), dove l’illustre ottomilista affronta un caso di gran lunga più noto, oltre che più recente: quello del Cerro Torre, altra guglia storica ma stavolta patagonica e ben più slanciata e glaciale del Campanile friulano. Il caso che lo riguarda compie 50 anni proprio ora, dato che l’alpinista trentino Cesare Maestri asserì di averlo scalato il 31 gennaio 1959, insieme al compagno Toni Egger; il quale però durante la discesa venne portato via da una slavina. Non c’era nessun testimone dell’impresa, dunque, e i tentativi di altri alpinisti per ripeterla negli anni successivi rilevarono diverse contraddizioni nel racconto di Maestri. Una sua «ripetizione» del 1970, ma con l’uso di chiodi martellati da un compressore, non solo non lo ha liberato dalle accuse, ma anzi è sembrata accreditare i sospetti dei detrattori. Che ora la «corte di cassazione» presieduta da Messner, dall’alto della sua competenza (ma anche sulla base di varie testimonianze e «prove»), viene a confermare completamente. Ultima guglia, e ultima diatriba alpinistico- giudiziaria, è quella che il giornalista «di montagna» Enrico Camanni affronta in uno smilzo pamphlet, Il Cervino è nudo della nuova casa Liaison di Courmayeur (pp. 66, euro 12). Stavolta non è questione di ascensioni più o meno effettuate o di polemiche tra rocciatori, bensì della speculazione edilizia e dello stravolgimento turistico a base di cemento cui è stata sottoposta la conca del Breuil negli ultimi decenni; nemmeno su questo, però, si è trovato un accordo tra gli amanti delle crode: il libretto di Camanni ha infatti suscitato in Val d’Aosta un sacco di polemiche. Niente da fare: la «conquista» delle montagne, con la corda o con le betoniere, fa spesso discutere.