Concordato del 1984? Non c’è oggi bisogno di alcuna modifica, reggerà anche allo straordinario pontificato di papa Francesco». A parlare così è Gennaro Acquaviva, classe 1935, che fu accanto a Bettino Craxi come capo della segreteria politica del Psi e come consigliere politico a Palazzo Chigi. «A lavorare attorno al Concordato – ricorda oggi Acquaviva – eravamo in tre: c’era il giurista, Margiotta Broglio; il fine politico, Giuliano Amato. E infine io, il cattolico – avevo infatti militato nelle Acli con Labor – o l’“amico dei preti”. In realtà ero amico del cardinale Achille Silvestrini, il “ministro degli Esteri” del Vaticano, ma per un fatto del tutto casuale. Andava a dire messa la domenica mattina nella mia parrocchia, San Fulgenzio alla Balduina. Me lo aveva presentato il mio parroco, Giorgio Alessandrini».
Così, dopo tanti tentativi da parte di presidenti del Consiglio democristiani, toccò al laico e socialista Bettino Craxi firmare la modifica del Concordato...«Debbo dire che fu un fatto assolutamente casuale. Una coincidenza di eventi e di tempi di cui Craxi seppe approfittare. Era dal 1964 che si provava a modificare il Concordato firmato da Mussolini. C’erano alcune cose, penso al cattolicesimo come religione di Stato o al giuramento obbligatorio di fedeltà allo Stato per i vescovi, che erano superate, sia dalla nuova Costituzione democratica sia dal Concilio. Ci provarono un po’ tutti i leader democristiani: Gonnella, Forlani, Colombo. Ma l’ora di religione obbligatoria all’epoca apparve uno scoglio insormontabile».
A metà degli anni Settanta, però, sembrava che la revisione del Concordato fosse a portata di mano...«Nel 1976 Andreotti ci andò vicino. Ma era troppo legato alla Santa Sede e alla fine non riuscì a stringere. Anche Spadolini, nel 1981, stava per riuscire. Da fautore del “Tevere più largo” ci teneva moltissimo. Poi scoppiò l’incidente dello Ior e i rapporti con il Vaticano tornarono freddi. Fu a quel punto che arrivò il governo Craxi. Era un governo forte, decisionista. Nei contatti con la Santa Sede si decise di rinviare i dettagli del punto più delicato, l’articolo VII – che riguardava le esenzioni fiscali e i finanziamenti da parte dello Stato – a una commissione paritetica, guidata dal cardinale Nicora e da Margiotta Broglio. E così si arrivò alla firma».
Ricorda un commento di Craxi, un particolare inedito o poco noto?«Craxi era ammaliato dalla figura di Giuseppe Garibaldi. E si era fatto mettere nello studio di Palazzo Chigi un enorme ritratto in camicia rossa dell’eroe dei Due Mondi. La sera gli facemmo pervenire il testo della dichiarazione che avrebbe dovuto leggere alla stampa il giorno successivo, dopo la firma con il cardinale Casaroli. Lo scorse e si mise a correggerlo. Alla fine alzò gli occhi e guardando Garibaldi disse, sorridendo: “Mi devi perdonare se faccio questa cosa con i papalini. Ma è la cosa giusta per il bene dell’Italia”».
E degli incontri tra Craxi e Giovanni Paolo II cosa può dirci?«Che il Papa non era particolarmente interessato al Concordato, una questione che aveva delegato a Casaroli. Quando Craxi andò a far visita per la prima volta, da presidente del Consiglio, a Wojtyla, il papa preferì parlare della situazione internazionale, della Polonia, di Solidarnosc. Quando Craxi uscì dal colloquio, mi disse soddisfatto: “È un anticomunista formidabile...”».
Quali sono, a suo parere, i frutti più importanti del Concordato nella società italiana?«Non bisogna dimenticare che la commissione paritetica Margiotta-Nicora, con la decisiva consulenza tributaria di Giulio Tremonti, l’inventore dell’otto per mille, diede praticamente nuove funzioni alla Conferenza episcopale italiana, stabilendo sia i suoi rapporti istituzionali con lo Stato italiano, non più demandati alla Santa Sede, sia i meccanismi per il suo finanziamento. La Cei diventa così un soggetto autonomo capace di incidere nella realtà italiana.
En passant, ricordo che la nascita della “nuova” Cei coincise, per motivi del tutto indipendenti, con il crollo del partito cattolico. Mancava così alla Chiesa italiana il quarantennale sostegno della Dc. E se da una parte era più libera, dall’altra aveva la necessità di affermarsi e di difendere le proprie ragioni. Da qui una sua centralizzazione».
Pensa che l’avvento di papa Francesco postuli una riforma del Concordato?«Credo di no. Questo Papa, che viene dalla periferia del mondo, sta disegnando una Chiesa che parte dalla periferia per arrivare al centro. Ma da questo punto di vista, il Concordato è perfettamente ambivalente. Può essere, come lo è stato, strumento per una Chiesa centralizzata così come per una Chiesa che parte dal basso».