ASSASSINIO KENNEDY. E Fidel testimoniò: «Io non c’entro nulla»
Il dittatore cubano venne interrogato per quattro ore e negò ogni coinvolgimento in un eventuale complotto per assassinare Kennedy. Coleman tornò a Washington e tenne segreta la sua missione fino ai giorni nostri. Anche per evitare di fornire un alibi a Fidel che, dopo le conclusioni dell’inchiesta che aveva classificato Lee Harvey Osvald come un cecchino solitario, sarebbe uscito dalla vicenda immacolato come un giglio. Castro a parte, il libro ripercorre la storia dell’indagine più complessa di tutta la storia americana. Ed evidenzia un fatto sconcertante: le persone o le agenzie governative che vennero coinvolte avevano qualcosa da nascondere. A partire dalla famiglia Kennedy che pretese che i dati dell’autopsia restassero segreti e non venissero resi noti al pubblico. L’immagine del presidente giovane e forte che guidana gli Stati Uniti in una nuova età dell’oro, avrebbe avuto gravi danni dalle rivelazioni sulla malattia il morbo di Addison - che tormentava Jfk fin da piccolo. Non solo, il ritratto di Comandante in capo deciso ma onesto che costringe l’Urss di Kruschev a fare un passo indietro sui missili a Cuba (ottobre 1962) sarebbe stato spazzato via dalle rivelazioni sul complotto (operazione mangusta) per uccidere Castro con un killer della mafia.
Dalle pagine emergono poi i timori della Cia. Oswald, poche settimane prima di sparare dal Texas Book Depository aveva passato alcuni giorni a Città del Messico. Secondo le testimonianze di una donna, Silvia Duran (che proprio il 22 novembre compie 77 anni), il killer aveva partecipato a una festa di sostenitori castristi con due altri americani. Una circostanza che, se confermata, avrebbe rafforzato la teoria del complotto esterno di cui la Cia non si sarebbe accorta. E l’Fbi? Oswald era conosciuto ed era considerato un potenziale pericolo per la sicurezza nazionale. Che un uomo così non solo non fosse controllato dai servizi segreti interni ma avesse potuto acquistare un fucile e una pistola senza che nessuno se ne accorgesse avrebbe infangato i “federali” e il loro potentissimo capo John Edgar Hoover. Per non parlare della lotta politica di chi voleva usare l’indagine per guadagnare popolarità come Gerald Ford che finì alla Casa Bianca dopo il Watergate. Tutto questo portò a una serie di veti incrociati, di sgambetti, di mancanza di lealtà. Alla fine, le 888 pagine del rapporto che indicavano in Oswald l’unico killer la sciarono insoddisfatti un po’ tutti. Anche la verità. Che 50 anni dopo è (forse) ancora celata.