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Filosofia. La riscoperta di De Maistre, il filosofo che insorse contro la teofobia

Simone Paliaga venerdì 5 aprile 2024

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«Sento che il mio spirito e la mia salute si indeboliscono giorno dopo giorno. Hic jacet, ecco ciò che presto mi resterà di tutti i beni di questo mondo. Muoio con l’Europa: è un andarsene in buona compagnia». Sono le parole indirizzate a un amico francese da parte di uno dei pensatori più sulfurei dell’epoca rivoluzionaria francese e riportate da Charles Augustin de Sainte-Beuve (1804-1869), maestro della critica letteraria d’Oltralpe per diverse generazioni. Le ricorda nel ritratto letterario che gli dedica e intitolato col nome del filosofo intoccabile, Joseph de Maistre (Aragno, pagine 160, euro 20,00). Da queste pagine traspaiono seduzione e ammirazione per l’arguzia filosofica e il rigore argomentativo del pensatore savoiardo che però mal si addicono a un ammiratore di Victor Hugo quale è stato Sainte-Beuve. Tanto inavvicinabile, il de Maistre, da non impedirgli comunque una posterità.

«Gli anni che sono seguiti alla sua morte – riconosce Sainte-Beuve –, confermando alcune delle sue visioni e contraddicendone altre, non hanno fatto che innalzare sempre più in alto il suo nome e l’autorità del suo spirito tra gli uomini». Pare non si sbagliasse se, in una manciata di mesi, sono usciti in libreria quasi contemporaneamente all’accorato ritratto letterario, Le Serate di San Pietroburgo (Luni Editrice, pagine 816, euro 30,00), sempre nell’oramai classica versione di Alfredo Cattabiani e con una prefazione inedita di Armando Torno, Chiarimento sui sacrifici, di cui si parla qui sotto, Saggio sul principio generatore delle Costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane (Quodlibet, pagine 134, euro 16,00) e, Il papa (Iduna, 400 pagine, euro 32, in uscita il 15 aprile). Mancano all’appello solo le sue Considerazioni sulla Francia, del 1797, in cui, sulla scia di Edmund Burke sferra la prima sortita contro l’universalismo e l’astrattezza sottesi agli ideali rivoluzionari, e purtroppo l’Étude sur la souveraineté, che aspetta ancora un traduttore.

Cosa ha da dire nel 2024 il Conte savoiardo incasellato tra i reazionari e i controrivoluzionari che, all’indomani del 1789, puntarono la loro penna contro gli ideali promossi dalla Rivoluzione francese e animati dai philosophes del Settecento, «il secolo che professò tutti gli errori»? Sono trascorsi da allora più di duecento anni. Alcune battaglie condotte da de Maistre paiono ingiustificabili per i nostri tempi, e lo ammetteva anche Cioran in uno dei suoi esercizi di ammirazione. Eppure se l’apologia del boia, la difesa dell’Inquisizione e della pena di morte, le sue posizioni sulla guerra, la funzione del male e il ruolo della Provvidenza creano ancora scandalo, la sottile e raffinata argomentazione del Conte mette in luce ancora oggi il lato oscuro generato dalla filosofia dei Lumi, da cui si preferisce sviare. Prima della Rivoluzione francese de Maistre, nato nel 1753 a Chambéry e spentosi a Torino nel 1821, non aveva a cuore alcuna causa politica. Considerato un cattolico liberale, lo si riteneva avverso all’assolutismo e difensore delle autonomie e dei privilegi locali. Con gli eventi rivoluzionari si avvide però che al rovesciamento politico seguiva un capovolgimento civilisationel. La realtà da allora non sarebbe stata come prima, una volta scalzato il primato divino.

«Da un lato, il principio religioso presiede a tutte le creazioni politiche; dall’altro, tutto scompare non appena esso si ritira», ammonisce nel Saggio sul principio generatore delle Costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane, curato mirabilmente da Andrea Salvatore. Dato alle stampe nel 1814, è dedicato allo studio dell’origine, della finalità e della legittimità delle istituzioni, su cui incombe lo scorrere del tempo. Già, perché, per de Maistre, nelle vicende del secolo «Dio si spiega per tramite del suo primo ministro al dicastero di questo mondo, il tempo» e in esso le cose umane vengono intrappolate.

Ne discetterà in quello che è considerato il suo capolavoro, pubblicato postumo nel 1821, Le Serate di San Pietroburgo, città nella quale era stato inviato nel 1802 da Vittorio Emanuele I in qualità di ministro plenipotenziario, rimanendo alla corte dello zar Alessandro I fino al 1817. Articolate in undici colloqui, le Serate si svolgono fra tre personaggi, il Conte, il Senatore e il Cavaliere. Al centro il ruolo della Provvidenza e la critica ai filosofi illuministi. «Tutta questa filosofia – sostiene il Conte, che impersona de Maistre – non fu di fatto che un vero sistema di ateismo pratico; io ho dato un nome a questa malattia strana: la chiamo teofobia; guardate bene, la vedrete in tutti i libri di filosofia del secolo XVIII. Non si diceva francamente: Dio non c’è, asserzione che avrebbe potuto portare con sé qualche inconveniente di ordine pratico, ma si diceva: Dio non è qui. Non è nelle vostre idee: esse vengono dal senso; non è nei vostri pensieri, che non sono se non sensazioni trasformate; non è nei mali che vi affliggono: sono fenomeni fisici, come gli altri che si spiegano con leggi comuni. Egli non pensa a voi; non ha fatto nulla per voi in particolare; il mondo è fatto per l’insetto come per voi; Egli non si vendica contro di voi, poiché siete troppo piccoli».

In opposizione ai Lumi, acuminate sono le critiche a Locke e a Bacone, De Maistre rivendica la vicinanza tra Dio e l’uomo, e come la sua assenza precipiti il mondo nell’insignificanza abbandonando l’uomo a se stesso, immerso com’è nello scorrere cangiante del tempo. Privarlo della presenza di Dio equivale a disconoscerne la specificità, essendo l’unico essere ad avere conoscenza del divino attraverso la sua partecipazione alla ragione universale. Ma quando disconosce questo legame «senza dubbio, l’uomo inganna se stesso – denuncia il pensatore savoiardo nelle Serate –, si lascia frodare da se stesso; egli considera i sofismi del suo cuore, naturalmente ribelle (purtroppo non vi è nulla di più indiscutibile), come dubbi reali nati dal suo intelletto», e nel momento in cui «le idee si legano le une alle altre come anelli di una catena, l’immaginazione interrompe continuamente la ragione».

«“Vogliamo distruggere tutto e rifare tutto senza di te – pontificano gli uomini per il de Maistre del Saggio –. Esci dai nostri Consigli, esci dalle nostre Accademie, esci dalle nostre case: sapremo bene fare da soli. Lasciaci”. Come ha punito, Dio, questo esecrabile delirio? L’ha punito come creò la luce, con una sola parola. Egli ha detto: “Fate!”. E il mondo politico è crollato». Non avrebbe sostenuto la stessa idea un sodale in spirito di Joseph de Maistre, qualche anno dopo, sempre dalle sponde della Neva, quando scrisse «se Dio non c’è tutto è permesso»?