Medio Oriente. Il caso dell'israeliano Dvir Sorek: se l'intifada colpisce il dialogo
Un ebreo ortodosso presso l’insediamento di Efrat (Ap/Jacqueline Larma)
«La vita gioca con me». Si intitola così il nuovo romanzo di David Grossman, per il momento uscito solo nella lingua originale ebraica. E che la vita ami davvero giocare oltre gli schemi in cui vorremmo ingabbiarla lo ha mostrato la storia di Dvir Sorek, diciannovenne israeliano, ultima vittima qualche giorno fa della violenza cieca dell’intifada dei coltelli.
Dvir, giovane ebreo ortodosso, colono e studente di una yeshiva, la scuola rabbinica, è stato colpito a morte da un palestinese proprio mentre stringeva nelle mani quel libro di uno scrittore laico icona della coscienza critica di Israele e che mai ti aspetteresti di incontrare tra un gruppo di ebrei religiosi di un insediamento della Cisgiordania.
Il primo a rimanere colpito da questa storia è stato lo stesso Grossman; ha voluto saperne di più su Dvir; «un giovane sensibile con il cuore di un’artista », lo ha definito dopo aver ascoltato la sua famiglia e i suoi amici. Ma questa vicenda è in qualche modo un simbolo anche rispetto a un tema più generale tra Gerusalemme e Tel Aviv: la questione del rapporto tra laici e religiosi all’interno della società israeliana.
Tema particolarmente rovente in queste settimane: proprio la contrapposizione tra l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman e i partiti religiosi ebraici sull’esenzione dall’arruolamento nell’esercito per gli studenti delle yeshiva ha fatto fallire infatti il tentativo di Netanyahu di formare un governo, nonostante la vittoria della destra nelle elezioni. Per questo Israele il 17 settembre tornerà alle urne ad appena cinque mesi dalle consultazioni precedenti. E in questa insolita campagna elettorale estiva si sta discutendo molto delle prerogative garantite in Israele a scuole e istituzioni rabbiniche.
La questione è delicata: fu infatti il padre fondatore di Israele David Ben Gurion a volere l’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle yeshiva, insieme a tutta un’altra serie di riconoscimenti di uno status giuridico a sé per realtà e regole legate all’ebraismo. In forza di questo tuttora in Israele l’unico matrimonio con valore legale è quello officiato da un rabbino ortodosso e in una città come Gerusalemme l’osservanza dello shabbat si estende anche al trasporto pubblico. Nella visione di Ben Gurion era un modo per includere nello Stato di Israele il mondo religioso, in origine molto sospettoso rispetto a un’ideologia laica com’era il sionismo.
Col tempo, però, il quadro del Paese è profondamente mutato e sono cresciute le polarizzazioni interne. Numericamente i religiosi sono una minoranza in Israele: secondo le indagini demoscopiche nel loro complesso rappresentano circa un terzo della società; e il gruppo degli haredim - i cosiddetti ultra ortodossi, legati a un’osservanza letterale dei precetti della Torah e riconoscibili per i loro cappelli e soprabiti neri - pur essendo divenuti un gruppo più folto negli ultimi decenni non superano comunque il 10 per cento della popolazione.
Sono però una minoranza politicamente compatta nel sostegno ai loro due partiti di riferimento (uno per i sefarditi, l’altro per gli ashkenaziti); e in un sistema elettorale proporzionale come quello israeliano i loro seggi alla Knesset sono spesso determinanti per formare una maggioranza. Questa rendita di posizione ha però alimentato l’insofferenza del mondo laico israeliano che esponenti politici come Lieberman e Yair Lapid stanno cercando di cavalcare.
Al fondamentalismo religioso si sta contrapponendo un estremismo di segno opposto, che tende a ridurre un mondo complesso e variegato com’è l’Israele dei religiosi a una caricatura stereotipata. In questo gioco l’arruolamento degli studenti delle yeshiva è diventata la madre di tutte le battaglie.
La storia del giovane Dvir Sorek mostra invece come la sfida vera si giochi su una altro livello: quello di un dialogo vero tra laici e religiosi a partire proprio dall’istruzione. Il diciannovenne ucciso nell’attentato frequentava infatti la 'Machanaim Yeshiva', una scuola rabbinica la cui specificità è il fatto di unire lo studio intensivo della Torah non solo al servizio nell’esercito, ma anche al confronto con la cultura laica.
L’immagine che questa istituzione ha preso come punto di riferimento è il racconto di Genesi 32, la lotta di Giacobbe con l’angelo, con la convinzione che solo dal confronto con le idee dell’altro si possa uscire più forti. Un approccio lontanissimo rispetto a quello di altre yeshiva, dove persino la matematica è vista come una distrazione inutile rispetto allo studio della Torah.
Ecco perché il libro di Grossman nelle mani del giovane Dvir non era affatto un caso: lo aveva comprato come un dono per uno dei suoi maestri. Ma c’è di più: tra gli insegnanti della 'Machanaim Yeshiva' che hanno ricordato Sorek c’è anche rav Yossi Froman, il figlio di Menachem Froman, l’ex rabbino di Tekoa scomparso nel 2013 e che da posizioni religiose ha portato avanti nel cuore della Cisgiordania una forma originalissima di dialogo con i palestinesi a partire dal comune amore per la stessa terra.
Dal suo insegnamento è nata 'Roots' (radici) un’associazione formata da ebrei ortodossi e attivisti palestinesi che provano a far incontrare tra loro oltre le barriere degli insediamenti i coloni e gli abitanti arabi dei villaggi vicini, per trovare un modo per vivere insieme. Lo stesso giovane Sorek, si è venuto a sapere, aveva partecipato ad alcuni di questi incontri.
Ancora una volta, dunque, in Terra Santa la violenza fanatica è andata a colpire con una precisione impressionante chi prova a uscire dalle contrapposizioni di sempre. Ma allo stesso tempo ha portato per una volta fuori dall’ombra un modo diverso di essere ebrei religiosi oggi in Israele, più diffuso di quanto si pensi. Anche solo per questo il giovane della yeshiva col libro di David Grossman nelle mani merita di non essere dimenticato.