Agorà

L'INEDITO. Dossetti, i «verbali» dell'addio alla politica

Antonio Airò martedì 27 settembre 2011
Nella storia politica del dopoguerra, segnata dal ruolo predominante della Democrazia cristiana, i due incontri svoltisi nel castello di Rossena, sull’Appennino reggiano (4-5 agosto e 1-2 settembre 1951) sono stati “assorbiti” dalla decisione di Giuseppe Dossetti di abbandonare la politica avendo maturato – in perfetta solitudine e sorprendendo i suoi amici – la convinzione che si erano esauriti per lui gli spazi per una strategia alternativa a quella “centrista” di De Gasperi. «Quando ho lasciato l’attività politica – avrebbe confidato in anni successivi – ero convinto che non si poteva operare diversamente in quelle condizioni del nostro Paese e del mondo cattolico italiano». Ma la scelta personale, alla quale sarebbe seguita la decisione di divenire sacerdote, ha in un certo senso fatto passare in secondo piano il confronto, anche duro, di Rossena riguardante i modi e i tempi con i quali i cattolici avrebbero dovuto partecipare alla vita politica e sociale del Paese nel quale De Gasperi – lo avrebbe rilevato il sociologo Achille Ardigò – «aveva riempito un vuoto mentre i dossettiani erano ancora impreparati ad agire», essendo di fatto «un composto eterogeneo ed equivoco». Per di più con un deficit di esperienza politica di tanti nuovi dirigenti della vita pubblica.Integrando appunti già noti di alcuni dei presenti a Rossena e ripresi in diversi saggi, con altri rimasti finora inediti (quelli di Giuseppe Alberigo, che «costituiscono un vero e proprio verbale», e quello del sindacalista Luigi Paganelli) o recuperati nella loro integrità in modo un po’ fortunoso (quelli di Ardigò), il ricercatore Enrico Galavotti ha messo insieme in un saggio di prossima pubblicazione su “Cristianesimo nella storia”, la rivista diretta da Giuseppe Ruggieri ed edita da Edb, le riunioni di scioglimento della corrente dossettiana (che avrebbe comportato anche la fine di “Cronache sociali”, il giornale del gruppo). Si tratta di un materiale – avverte – che «mantiene il limite di essere indiretto», consentendo però alla voce di Dossetti «di giungere mediata dai suoi uditori».In un certo senso “sconvolta” dall’annuncio del ritiro di Dossetti (Guareschi avrebbe scritto sul “Candido” al momento delle dimissioni di deputato che l’esponente dc aveva rinunciato per motivi gravi di salute), Rossena aveva assunto un indirizzo non previsto dai partecipanti. Dossetti aveva infatti ventilato l’ipotesi, fino ad allora mai considerata, di dar vita ad una sinistra riformista, intransigente nell’opposizione al centrismo degasperiano, basata su due opzioni: una, “volontaristica”, di raccoglimento e di studio; la seconda passava per «una nuova forza organizzata» che operasse all’interno della Dc con una sua specificità. Dossetti bocciava nettamente l’idea, ventilata da alcuni dei presenti, di dar vita ad un partito “laburista cristiano” rilevando che, «allo stato attuale, fuori della Dc non vi è spazio politico». Non erano mancate dure critiche a Fanfani che aveva rotto l’unità del gruppo accettando di entrare nel governo come ministro dell’Agricoltura, e sostenendo quindi lo statista trentino. L’economista Mario Romani aveva difeso questa scelta affermando che compito di una minoranza in un partito «è battersi per diventare maggioranza e mai dire di non avere più niente da fare». Questa riunione si rivelava un dibattito al limite dell’irrealtà reso ancora più “evanescente”, nelle fughe in avanti di alcuni partecipanti, dalla consapevolezza di trovarsi di fronte ad una strada senza ritorno. Non c’era possibilità di ripensamenti nel leader. «Avevamo la coscienza di seppellire il dossettismo e ci sentivamo impoveriti», avrebbe scritto Valerio Volpini, futuro direttore de “L’osservatore romano”.In questa situazione diventava indispensabile il secondo incontro chiarificatore, sempre a Rossena, che sarà preceduto il 31 agosto a casa di Dossetti, da «un intermezzo deliberante» – come rivela Galavotti – nel quale il leader dc sanciva la fine del suo gruppo («Un Dossetti non nel sistema democristiano, non deputato, è molto più influente», avrebbe osservato Baget Bozzo) e si guardava meglio ad una nuova presenza organizzata nel partito ben oltre le sparute fila dei dossettiani, «che garantisca la Dc dalla prevalenza di un puro istinto di conservazione». In quell’agosto si era svolto a Trento un convegno di democristiani impegnati nel rinnovamento del partito. Galloni informava che Mariano Rumor «si è fatto innanzi; si è già compromesso. Hanno messo in rilievo che la fine del dossettismo non deve significare la fine di Dossetti». Ma era possibile il primo senza il secondo? In presenza soprattutto di un gruppo nel quale si ritrovava ormai un “quadrilatero”: Dossetti, Fanfani, Lazzati, La Pira. Non del tutto omogeneo.Quando il giorno dopo Rossena riprendeva, la relazione di Dossetti, ripercorrendo le vicende italiane e internazionali dalla Resistenza in avanti (lette con pessimismo), si concentrava infine nuovamente sulle due opzioni, quella “volontaristica” e quella di una nuova forza all’interno della Dc capace di «un’epurazione morale del partito» che chieda l’apporto di diverse realtà del mondo cattolico (le Acli, la Cisl, i movimenti professionali dell’Azione cattolica) estranee fino ad allora al gruppo dossettiano. Tra le due opzioni – affermava il leader dc – «non vi può essere separazione totale ma un processo di comunicazione e di alimentazione. È però evidente che con gli stessi nomi, con le stesse idee e con lo stesso metodo non si possono fare due cose distinte». Per questo Dossetti ritagliava per sé la prima opzione (e con lui concordavano Lazzati e Alberigo) lasciando la politica attiva. Il dibattito serrato indicava una maggiore propensione dei presenti a continuare nell’impegno nella Dc ritenendo Rumor «l’uomo giusto per coordinare i diversi gruppi della nuova corrente. Non c’erano stati dissensi. L’atmosfera era serena, Dossetti allegro», avrebbe annotato il non dossettiano Arnaldo Forlani, presente alla riunione sottolineando, come la “Nafo” (“Nuova alleanza forze organizzate”), suggerita scherzosamente da Ardigò, veniva “sacrificata” per una accettabile “Iniziativa democratica”. Verso Fanfani i toni si erano ammorbiditi: «Bisognava lasciarlo ai compiti di governo senza distrarlo da altri impegni», aveva osservato Dossetti.“Iniziativa democratica” sarebbe poi stata la corrente che, guidata da Fanfani (e sostenuta anche da De Gasperi), avrebbe vinto il congresso del 1954. Mentre la bandiera della sinistra dc sarebbe stata innalzata dalla “Base” e dal gruppo dei sindacalisti. Negli appunti raccolti da Galavotti il nome di “Iniziativa democratica” non figura. Dossetti era ormai fuori dalla competizione politica. Rossena aveva sancito comunque la fine di una presenza di cattolici in politica più che significativa. «I dossettiani – conclude Galavotti – si divisero per imboccare strade diverse e sconosciute». Ma questa è un’altra storia.