La mostra. Dora Maar, da Picasso agli ultimi
Suona quasi beffardo quel "nonostante Picasso" imposto come sottotitolo alla mostra di fotografie di Dora Maar allestita negli spazi di Palazzo Fortuny. È come una maledizione da cui la fotografa francese (il padre però era di origini croate, che restano incise nel cognome Markovitch), non può sciogliersi nemmeno dopo morta. Perché Dora ha tutte le qualità, mercuriali e misteriose, della vittima sacrificale del rito sacro. Victoria Combalía, nel saggio introduttivo al catalogo (edito da Skira), ricorda i vari appellativi che la stampa le diede e che restano incisi sulla pelle della Maar come un marchio a fuoco: «sacrificata al minotauro» (Picasso, che in una foto ritrae mentre tiene sul volto un bucranio), «segregata con i suoi fantasmi ammuffiti», «Dora, lacrime dipinte».
Aveva senza dubbio un temperamento incline alla melancolia, il fascino di chi porta dentro di sé il seme di quello che Freud definì "il perturbante"; nelle foto dove Man Ray e altri la ritraggono non la si vede sorridere, ha lo sguardo della femme fatale, ma la sua bellezza non è di perfezione classica, caso mai nasce da un senso d’incompletezza che Dora manifesta in modi diversi. Si veste elegante, alle sfilate di moda le riservano sempre un posto in prima fila, ma ha una spiccata inclinazione a sentire il dolore del mondo, non una vera empatia, piuttosto un riflesso della propria vocazione sacrificale che muove lo sguardo con cui sceglie e rende alcuni soggetti presi dalla realtà quotidiana.
La sua carriera di fotografa dura meno di un decennio, è quasi tutta circoscritta agli anni Trenta. Fu Picasso a mettere fine alla sua vena artistica, divorandola dall’interno con l’esuberanza del suo narcisismo istrionico che colpisce Dora su entrambi i fronti: quello affettivo e quello artistico. Si lascia sacrificare al mostro mitico che somma in sé la natura del grande sacerdote e della divinità, ma occorre considerare che lei stessa proietta su Picasso questo "desiderio" di essere la sua vittima sacrificale. Il modo stesso con cui, secondo il "romanzo", Dora conquistò Picasso parla chiaro: sotto gli occhi stregati del pittore, Dora fa il gioco del coltello piantandolo sul tavolo fra le dita della mano, talvolta ferendosi e bagnando col sangue i guanti scuri (che Picasso conserverà per tutta la vita come un feticcio). Era un modo per dirgli: sono disposta a tutto pur di essere la tua donna. Per questo desiderio malato, Dora «finirà subito ai suoi piedi», scrive Victoria Combalía. È una perfetta e impietosa sintesi del legame che ebbe con Picasso.
Dora Maar, Nusch de face, accoudée, les mains sous le visage, 1953Gelatina al bromuro d'argentoParigi, collezione privatacopyright Dora Maar, by SIAE 2014Foto Xavier GRANDSART
Bisogna anche aggiungere che la frequentazione dei surrealisti aveva aperto la mente di Dora alle logiche oniriche e all’automatismo psichico, forse dandole una prospettiva nella quale immettere e giustificare la propria melancolia, alimentata anche da un’attrazione per il mistero e la magia. Picasso divenne, forse senza rendersene conto del tutto, l’oggetto sacro sul quale Dora poteva mettere alla prova quello svezzamento surrealista; tuttavia, i photocollages di Dora non sono mai davvero provocatori e restano in buona parte cose di secondo piano, segnate da una forte inibizione (mi verrebbe da dire che il surrealismo non era cosa da donne, paradossalmente, forse, perché la donna è il mito maschilista del bretonismo e dei suoi adepti, a cominciare dal riferimento ai miti tribali e al loro immaginario, decisivo termine di riscontro della liberazione pulsionale dell’uomo, in particolare degli istinti sessuali; l’unica ad aver retto la sfida alla pari è stata Louise Bourgeois, donna peraltro dotata di una psiche decisamente mascolina). Dora Maar, Vendeuses et vendeur riant derrière leur étal de charcuterie, 1933
Vintage, gelatina al bromuro d'argento, © Dora Maar, by SIAE 2014
© Joan Marques
La mostra di Venezia fa capire alcune cose che l’allestimento complementare all’accrochage di opere in permanenza a Palazzo Fortuny in parte copre, rendendole quasi subliminali. Dora riflette quasi sempre se stessa nella foto che sta realizzando. All’inizio, cerca di raccogliere la sfida col reale inaugurata da Cartier-Bresson. Ma con meno ironia e più gravosi fardelli critici. Cartier-Bresson riesce a dissimulare bene il suo giudizio mostrandoci la realtà come non l’avevamo mai vista, e la dissimulazione avviene con ironia e distacco. Dora ha poco di entrambi; è troppo coinvolta nell’immagine che ci presenta; e l’ironia quasi mai si svincola dalle briglie della propria instabilità alla ricerca di un oggetto sul quale scaricarsi. Dora Maar,
Aveugles à Versailles
Photocollage originale
Parigi, Collezione GERARD – LEVY
© Dora Maar, by SIAE 2014
© Jean-Louis Losi
Da qui l’accentuata sensibilità, anche politica, verso chi era in condizioni di disagio (notevole, a questo proposito, l’immagine del distinto signore che chiede la carità per strada e tiene in mano un cartello su cui c’è scritto: «Niente elemosina. Voglio un lavoro»; stucchevole, viceversa, quella del mendicante accasciato sulla sedia pieghevole, per un eccesso di valenza simbolica e per quel pizzico d’irrealtà che induce a sospettare, a torto, forse, ma non del tutto, che sia una foto studiata).
Dora dà il meglio di sé quando lavora su soggetti inanimati. Bellissima la foto della Bambola appesa alla parete, rispetto alla quale le discusse statue di bambini "impiccati" di Cattelan diventano grottesche e svelano la loro sostanza di boutade. Non meno belle le foto del parco Güell di Gaudi, e la serie, importantissima anche per capire l’evoluzione dell’opera che Picasso stava realizzando, dedicata al grande dipinto Guernica. Una crisi di gelosia verso la nuova fiamma di Picasso, Françoise Gilot, finì per portare Dora in clinica psichiatrica. Picasso e Paul Éluard la consegnarono nelle mani di Jacques Lacan (sembra proprio un teatrino surrealista). Tutti pensarono che sarebbe finita col suicidio, ma Dora confesserà poi di aver deciso di vivere per vendicarsi di Picasso. Una vendetta ancora una volta "autocentrata": "Per non dargli soddisfazione". Morì nel 1997 e trascorse mezzo secolo a elaborare un lutto che, questo il dato rilevante, oltre al tradimento amoroso, l’aveva privata anche della vena creativa.
Venezia, Palazzo Fortuny
Dora Maar, "Nonostante Picasso"
Fino al 14 luglio