Quando la voce fuori campo ipotizza un rischio di misoginia all’interno della Chiesa, le clarisse di Urbino si mettono a parlottare tra di loro, come quando a scuola arriva l’intervallo. In prima fila c’è una sorella già anziana, con il viso pacioso, gli occhi grandi e spalancati. Lì per lì si ha l’impressione che la domanda l’abbia messa in imbarazzo, ma in effetti è lei a dare la risposta più tagliente: «Ogni tanto dovrebbero ricordarsi che noi donne siamo capaci di pensare, oltre che di pregare».
Detto così, semplice semplice. Del resto, Francesco si consultava con Chiara e ne ascoltava i consigli. «Però è durata pochissimo », torna a commentare la nostra suorina. Non è una rivendicazione, tanto meno una protesta. Una constatazione, ecco tutto.
Invitata a dare il suo contributo all’evento
Gesù nostro contemporaneo,
Liliana Cavani ha scelto di conservarsi fedele al suo mestiere di regista e ha lasciato parlare i volti e le storie degli altri. Delle altre, anzi, di queste Clarisse protagoniste del documentario proiettato ieri mattina all’Auditorium Conciliazione nell’ambito della tavola rotonda su 'Gesù e le donne' moderata da Paola Ricci Sindoni. La spiritualità francescana appartiene alla poetica della Cavani fin dal Francesco d’Assisi del 1966, eppure questo filmato risulta sorprendente nella sua voluta semplicità. La novizia che spala la neve in cortile è la stessa che ritroviamo poi in biblioteca intenta nello studio dei Padri, quasi a testimoniare la possibilità e insieme la necessità di ricomporre la frattura tra pensiero e azione, tra vita e fede. Caratteristica squisitamente anche se non esclusivamente femminile, come ha sottolineato la storica Emma Fattorini, che ha subito messo in guardia dalla tentazione di trasformare la 'differenza femminile' in condizione di inferiorità, emarginando così una ricchezza che, ancora una volta, è delle donne, ma non solo delle donne.
«Anche nel cattolicesimo – ha ribadito la studiosa – l’impoverimento che ne consegue è un problema di tutti, e in particolare degli uomini». Aiuta, in questo, la prospettiva storica: se fino alla Rivoluzione francese, infatti, la Chiesa ha stretto un’alleanza naturale con le donne, considerate come custodi dei valori tradizionali, dall’800 in poi questa complicità viene messa in discussione. La libertà dell’individuo, tema moderno per eccellenza, va sempre più di pari passo con le istanze dell’emancipazione femminile, fino alla delicata situazione attuale, nella quale il dibattito sui princìpi non negoziabili interessa direttamente il corpo stesso delle donne. «Ma questa – ha ribadito Emma Fattorini – può essere un’occasione straordinaria: oggi la Chiesa è chiamata a esprimere sulla condizione femminile un coraggio e una creatività simili a quelli dimostrati a proposito della questione sociale nel passaggio tra XIX e XX secolo».
Il legame inestricabile fra 'buona teologia' e 'buona antropologia' è stato sottolineato anche dal biblista Ermenegildo Manicardi attraverso una minuziosa ricognizione della presenza femminile all’interno dei Vangeli. «Gesù non si presenta come femminista – ha sottolineato monsignor Manicardi –, anche perché non considera mai la donna come una categoria a sé stante. La sua opposizione alla mentalità patriarcale dell’epoca è però indiscutibile ». Quello di Cristo è dunque uno sguardo che, posandosi sulla donna, rivela qualcosa di ogni uomo, come accade nell’episodio dell’adultera, in cui si annuncia l’orizzonte di un perdono universale. E come accade nell’ultimo atto del ministero pubblico di Gesù, che coincide con l’elogio della vedova che porta il suo obolo al tempio. Non si sbaglia troppo, forse, a immaginare che quella donna assomigliasse almeno un po’ alla combattiva clarissa di Urbino.