In scena. Donne in guerra, il teatro denuncia
Linda Gennari protagonista di "Grounded" con la regia di Davide Livermore, prodotto dal Teatro Nazionale di Genova
Le sirene risuonano fra i velluti rossi del Teatro Ivo Chiesa di Genova, come accade da qualche giorno a inizio spettacolo in tanti teatri italiani in segno di solidarietà col popolo ucraino. Ma quando dal buio appare all’improvviso una top gun americana, sospesa a mezz’aria su una piattaforma illuminata a forma di caccia bombardiere, felice di sfrecciare nel blu con il suo carico di bombe, la realtà fa irruzione in scena.
Merito innanzitutto del potente testo del drammaturgo americano George Brant Grounded, prodotto dal Teatro Nazionale di Genova dove rimarrà fino ad oggi per poi andare in tournée a Cesena, Napoli e Catania. E della robustissima protagonista Linda Gennari che regge, senza perdere un colpo, un’ora e tre quarti di monologo sul senso della guerra e se esista una guerra giusta o come sia possibile evitarla. Supportata dalla regia cinematografica del direttore del teatro, Davide Livermore, che si inventa un macchinario scenico “volante” su cui recita l’attrice il quale movimenta di continuo il racconto, diventando F16, cabina di comando, simbolica nuvola da cui gli dei della guerra decidono i nostri destini nonché peso oppressivo sulla coscienza della nostra combattente.
A Genova spetta il merito di avere portato per la prima volta in Italia questo monologo diretto e coinvolgente, all’interno di un cartellone denominato Human pride, nella asciutta traduzione di Monica Capuani. Scritto nel 2013, da allora tradotto in 13 lingue e presentato in 19 Paesi, interpretato a New York dalla diva Anne Hathaway. Ma non ha nulla da meno l’ottima Linda Gennari che dà corpo e anima a questa dura pilota dell’American Air Force, fiera di una divisa e di una carriera che si è conquistata in un ambiente prettamente maschile. Finché tutto cambia quando si innamora di un uomo con cui si sposa e diventa madre di una bambina. Rientrata in servizio dopo la maternità, verrà costretta a rimanere a terra (“grounded” appunto, che significa anche punita) e assegnata al pilotaggio di droni da una base nel deserto del Nevada. Il blu che tanto ama verrà sostituito dal grigio di un monitor da osservare 12 ore al giorno, l’adrenalina del combattimento tradizionale sugli F16 sostituita da un pulsante con cui annientare in modo apparentemente asettico “i colpevoli” dall’altra parte del mondo in 12 secondi.
Strano destino per un pilota fare ogni giorno un’ora di auto nel deserto americano per andare in guerra e poi tornare a casa la sera a baciare la propria bambina. Ben presto la paradossale quotidianità del dividersi tra famiglia e guerra “pulita” comincia ad avere un effetto sulla sua psiche. Con efficaci stacchi di luce si rappresenta il trascorrere ossessivo dei giorni con la donna impegnata ad osservare e ad “annichilire” quegli esseri umani (l’ispirazione è la caccia a Benladen in Afghanistan) che ora può vedere quando muoiono fatti a pezzi o mentre la vita si spegne man mano che le rilevazioni termiche da colorate diventano grigie. Il “dio drone” dall’Olimpo di una roulotte in Nevada decide chi va punito e chi no, in nome della sicurezza del proprio Paese. Ma l’istinto di donna e di madre la porta a confondere i piani, e a sentire quelle persone sempre più simili ai suoi familiari provando angoscia e senso di colpa, fino ad un esito sorprendente. Uno spettacolo da non perdere. Perché, attenzione, ci dice lei, “i colpevoli”, ovvero gli obiettivi della guerra, potremmo in futuro essere noi.
«Interpretare una pilota è stimolante perché è un personaggio femminile fuori dai cliché – spiega l’attrice –. È una donna che ha deciso di avviare una carriera all’interno di un mondo di quasi esclusivo appannaggio maschile. Lei preferiva rimanere alla guida dei suoi F16, sfrecciare nel blu che lei ama. Ma la sua vita è anche incontrare l’amore e la maternità. Riassegnata alla guida dei droni scoprirà un modo diverso di lavorare, le sembra di fare l’impiegata, di timbrare il cartellino». La tecnologia rende la guerra apparentemente scientifica. «Lei vede questa realtà come fosse un videogame, a chilometri di distanza, costretta a giudicare e punire gli uomini che insegue – aggiunge la Gennari –. Una cosa che mi ha stupito, preparandomi allo spettacolo, è che molti operatori di droni, che non sono piloti, sono reclutati fra giovani ragazzi giocatori di videogames che vanno alle grandi fiere». La coscienza, però, non può tacere. «Questo nuovo modo di fare la guerra ti costringe ad osservare per lungo tempo le persone che sono su quello schermo e vivono dall’altra parte del mondo. La protagonista si rende conto che quelli non sono personaggi di un videogioco. Dall’alto sembrano delle formiche che puoi schiacciare, ma lei li ha visti nella loro quotidianità, hai visto padri che abbracciavano i figli, matrimoni, funerali e una volta schiacciato quel pulsante non è più un gioco. Questo provoca uno sgretolamento nella sua mente».
Lo spettacolo, purtroppo, oggi è di un’attualità sconvolgente, come ammette il regista Davide Livermore, commosso dal dramma ucraino: «Io ho passato la mia adolescenza ad andare in piazza a Torino, come obiettore di coscienza ad accusare i ministri italiani sugli “affaire” della vendita delle armi. Ai miei figli ho chiesto: come mai non si vede più una manifestazione? Avrei voglia di giovani che vogliano esprimere i loro colori e la loro energia, invece c’è qualcosa di imploso». Spesso la realtà, aggiunge, arriva nella vita dei teatranti così, all’improvviso. «Il teatro storicamente ha esaltato la virtù del guerriero per fare risaltare l’orrore della guerra – aggiunge –. Anche la tragedia greca, mostra come la guerra abbia portato la gloria, ma come sia stata pagata carissima dall’uomo stesso. La cosa straordinaria del teatro è che mostra cosa c’è dopo la gloria. Tasso lo racconta nel combattimento di Tancredi e Clorinda, “quanto di ogni stilla (di sangue ndr.) tu pagherai un mar di pianto”. La grandezza del teatro è dare una completezza e fare vedere gli aspetti delle conseguenze della guerra».