Agorà

Il cappellano olimpico. Don Franco: «Ai Giochi con gli azzurri, seminatori di pace»

Massimiliano Castellani mercoledì 24 luglio 2024

Don Franco Finocchio

Tra i 403 atleti della squadra azzurra “l’uomo in più”, il cappellano olimpico, è un debuttante a questi Giochi. Don Franco Finocchio, 59 anni, novarese di Trecate, è l’italiano a Parigi che per la prima volta si tufferà nel mondo di Olimpia. Sotto l’abito talare c’è un autentico uomo di sport. Da tempo è nel consiglio di amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, «il cui presidente onorario è monsignor Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza, che è stato uno storico cappellano olimpico», sottolinea don Franco che la sua “convocazione” l’ha ricevuta a novembre 2023. «Il direttore dell’Ufficio Tempo Libero, Turismo e Sport della Conferenza Episcopale Italiana, don Gionatan De Marco, mi chiese di diventare coordinatore del tavolo delle associazioni sportive cattoliche e da lì in poi sono stati cinque anni esaltanti di progetti, anche in collaborazione con il Coni e con Sport e Salute con cui siamo stati al magnifico convegno di Olimpia. Poi nel novembre scorso, il direttore ad interim don Michele Gianola, che è anche direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni, mi ha comunicato la volontà della Cei affinché assumessi questo ruolo di cappellano olimpico».

Un ruolo che arriva dopo una lunga “gavetta” fatta nella galassia sportiva.

«Provengo dall’oratorio di Trecate dove sono cresciuto, lo stesso paese della straordinaria realtà dell’Agil Volley, la squadra di pallavolo femminile fondata nel 1984 dalla presidentessa suor Giovanna Saporiti. Poi le mie esperienze sul campo da don le ho fatte nell’oratorio novarese di San Francesco: ora sono parroco di due parrocchie al Torrion Quartara e alla Sacra Famiglia nel quartiere sud di Novara, lo stesso di San Francesco».

Lavoro sul campo con i ragazzi e un moltiplicarsi di incarichi di responsabilità.

«Come mediatore della Pastorale dello sport locale, oltre all’Agil ho seguito anche il calcio per diversi anni compresi quelli dello storico salto dalla C alla Serie A del Novara Calcio a cui resto legatissimo. Poi per approfondire meglio certe conoscenze nell’anno accademico 2012-2013 all’università Cattolica del Sacro Cuore ho conseguito il Master in “Sport e intervento psicosociale” e nel 2016 ho partecipato alla “Scuola di Management Pastorale” dell’Università Lateranense. Tutto questo insegnando da trent’anni al Liceo scientifico A. Antonelli e portando avanti l’attività oratoriale delle mie parrocchie che comprende anche il campo estivo organizzato assieme all’associazione torinese “La città sul monte”: 700 ragazzi, dalla quinta elementare fino all’università, che anche quest’anno abbiamo portato a Crissolo, alle sorgenti del Po»

Dal Po alla Senna dove domani si inaugurano i Giochi e il suo commento quotidiano al Vangelo sul portale dell’Ufficio Pastorale della Cei per il giorno 26 luglio parla del “seminatore” di cui scrive: «È bello iniziare il nostro viaggio con questa parabola. Quanto seminare in questi mesi, in questi anni. Quanti sacrifici e quanto impegno».

«Proseguo parlando che questo è il tempo del raccolto e aggiungo che la speranza più bella, specie in un tempo di “tregua olimpica” come quello invocato da papa Francesco, è quella dell’atletismo olimpico come movimento pacifista universale composto da giovani sportivi “seminatori di pace”. I miei commenti al Vangelo sono stati pensati a marzo e sono rivolti proprio agli atleti azzurri. Con un Qr code anche in questi giorni prima delle gare potranno leggere e riflettere sul contenuto dei commenti che ho voluto fossero brevi ma più incisivi possibili, per arrivare ad ognuno di loro».

Tra i 403 atleti ci sono molti figli di stranieri e rappresentanti di altre religioni oltre a quella cattolica.

«È lo specchio dei tempi, il ritratto fedele del mondo globale. Ma noi sappiamo che l’arricchimento, anche spirituale, parte dallo scambio e dal confronto tra le diverse fedi e io sono qui anche per questo, per ascoltare e mettermi a disposizione di tutti, a prescindere dal loro credo religioso».

Che emozione prova alla vigilia di questa sua prima Olimpiade?

«Non so cosa aspettarmi. So soltanto che l’universo sportivo lo pratico da tanto e credo di conoscerlo bene. Il mio servizio nel villaggio olimpico comporterà le celebrazioni della Santa Messa ma anche la straordinaria opportunità di accompagnare e di seguire i ragazzi della squadra che chiederanno il mio supporto».

Chi conosce degli azzurri ai Giochi?

«Al momento nessuno. L’unica atleta olimpica che conosco è la quattrocentista novarese Linda Olivieri, che ho visto nascere e crescere con i suoi genitori che sono stati animatori del mio oratorio e a “La Città sul monte”, ma purtroppo dopo aver gareggiato ai Giochi di Tokyo non è stata selezionata per Parigi. Perciò per ora ho solo conosciuto dirigenti bravi e preparati, come il segretario generale del Coni e capo delegazione della spedizione italiana Carlo Mornati e il presidente del Coni Giovanni Malagò».

Nella grande squadra italiana presente al Villaggio non ci sarà il n.1 mondiale del tennis, Jannik Sinner che ha dato forfait.

«Mi dispiace molto ma spero di conoscerlo un giorno per scambiarci quattro chiacchiere di persona, solo per dirgli che lui rappresenta il testimonial ideale del nostro movimento giovanile. Sinner incarna quei valori fondamentali come la simpatia, la semplicità, la correttezza e la disciplina che ne fanno un modello da seguire dai nostri ragazzi, qualsiasi cosa facciano o faranno nella loro vita».

Queste Olimpiadi sono minacciate da tanti venti di guerra che spirano non distanti da Parigi…

«Il compito della tregua olimpica è anche quello di allontanare almeno per un po’ quei venti tragici e carichi di morte e di far vivere al mondo un periodo di serenità, di gioia ed entusiasmo virale, per regalare pensieri positivi con lo sguardo rivolto solo alla bravura e ai tanti sacrifici compiuti da questi ragazzi che, nell’arco di qualche giorno o addirittura in una manciata di secondi, si giocano un pezzo importante del loro futuro sportivo».

Oltre a quella olimpica lei don Franco chiede anche un’altra “tregua” all’interno del Villaggio, quale?

«Sarebbe bello poter realizzare anche la “tregua social”. Spegnere i telefonini, staccarsi un po’ dalla dipendenza dei social per vivere la pienezza dell’incontro reale: presentarsi, conoscersi e stare insieme, non più virtualmente, questo potrebbe essere un successo che va ben oltre le medaglie che vinceranno i nostri azzurri. Riscoprire il valore del silenzio, che porta a concentrarsi su ciò che siamo e sul dove possiamo arrivare, credo che sia davvero un’impresa olimpica».