Giovannino Guareschi strumento della «distensione» Est- Ovest ai tempi del «disgelo » tra Usa e Urss. Più o meno come le missioni diplomatiche a Helsinki, i trattati di «non proliferazione nucleare », il telefono rosso tra Krusciov e Kennedy... E chi fatichi a immaginare i baffoni del polemista emiliano impegnati a fendere i ghiacci della «guerra fredda », forse non ha ben considerato il ruolo che le sue opere, massime i racconti di Mondo Piccolo e soprattutto la loro riduzione filmica, potrebbero aver svolto nei delicati equilibri psicologici tra cattolici e marxisti, tra Dc e Pci, se non addirittura tra Nato e Patto di Varsavia... Ma adesso è un interessante documento a rafforzare l’ipotesi, un testo ripescato dall’archivio dei figli a Roncole Verdi nel contesto delle iniziative del centenario guareschiano ed esposto nella grande e bella mostra sul Giovannino da grande schermo, allestita nei mesi scorsi alla Cineteca di Bologna. Si tratta del soggetto della prima pellicola dedicata a Don Camillo, 5 pagine dattiloscritte firmate da padre Felix A. Morlion, un domenicano poliedrico (è stato tra l’altro il fondatore a Roma dell’università privata Pro Deo, l’attuale Luiss) che coltivava un interesse appassionato per il mondo del cinema e i suoi risvolti «cattolici». Siamo nell’ottobre 1950. Padre Morlion – sulla cui controversa figura si torna a parte – è reduce dalla consulenza religiosa per il film di Roberto Rossellini Francesco giullare di Dio, prodotto dal commendator Angelo Rizzoli, ed è dunque piuttosto prevedibile che la casa cinematografica milanese gli richieda (pare attraverso il produttore Peppino Amato) anche un soggetto ispirato alla prima raccolta di racconti di Mondo Piccolo. Per la verità un copione è già stato steso, però non è piaciuto affatto a Guareschi, il quale nell’estate del 1950 ha scritto una lunga lettera a Rizzoli segnalandone con forza i difetti; tra cui, soprattutto, il mancato rispetto della tesi principale della sua opera: «Far risaltare la differenza sostanziale che esiste tra la 'massa comunista' e l’'apparato comunista'. Indurre cioè l’uomo della massa a ragionare col suo cervello e con la sua coscienza ». Per lo scrittore si tratta di un elemento irrinunciabile: «Io non potrei mai ammettere che il concetto informatore della serie dei miei racconti venisse comunque falsato... Io pertanto non darò mai la mia approvazione a un film che non risponda ai precisi requisiti che ho cercato di esporre». E, a questo punto, per non andare incontro a noie legali ma anche e forse soprattutto per riguardo verso il suo prestigioso autore, Rizzoli chiede appunto la consulenza di padre Morlion. In effetti, il frutto del lavoro del domenicano (redatto «con l’ausilio di alcuni diretti collaboratori dell’Istituto Internazionale Cinematografico della Pro Deo») rispecchia in pie- no le richieste. Le sue «Note per una eventuale elaborazione di un soggetto cinematografico tratto dal volume 'Don Camillo' di G. Guareschi » non sono affatto ciò che magari si potrebbe temere da un sacerdote in epoca di «guerra fredda», cioè un tentativo pseudo-apologetico di fare propaganda filo-atlantica, bensì rivelano – insieme a un orientamento «morale» e cattolico («Il film, benché popolare, deve offrire qualcosa più di un divertimento ») – una posizione piuttosto equidistante tra i due blocchi. Certo, il consulente domenicano raccomanda di scegliere un regista «fornito di uno speciale dinamismo cristiano» oltre che di «senso della satira affettuosa e benevola » (e suggerisce perciò Alessandro Blasetti), tuttavia non pare che colga nel vero Roberto Chiesi – ricercatore dell’Archivio Pier Paolo Pasolini di Bologna e curatore di un contributo nel catalogo della recente mostra guareschiana – quando scrive che la nota di Morlion rappresenta «una delle prime e delle più sofisticate azioni diplomatiche, da parte ecclesiastica, per condizionare le scelte narrative relative al primo film della serie e imprimere una direzione privilegiata alla storia». Anzitutto, infatti, non fu Morlion a intromettersi, ma Rizzoli a coinvolgerlo. E poi il suo intervento non sembra affatto improntato al più bieco anticomunismo. Per il consulente la «tesi più profonda » di Guareschi è invece quella che «i violenti impulsi di ribellione dell’uomo semplice che abbraccia le idee di sinistra, nascondono il più delle volte una reale, sincera ansia di giustizia... L’uomo di sinistra cessa di essere tale per divenire semplicemente 'uomo', uomo di 'buona volontà'». Una tesi «di significato pienamente cristiano», certo; ma non per questo denigratoria nei confronti dell’avversario ideologico: al contrario. Di qui discende la caratterizzazione dei protagonisti, Don Camillo e Beppe (così il domenicano chiama – chissà perché – Peppone), ai quali curiosamente padre Morlion accosta due personaggi di sua invenzione e che costituiscono la parte negativa delle rispettive ideologie: il politicante di sinistra Andrea e la beghina Petronilla. L’impostazione generale del religioso è chiara e ambiziosa insieme: battere «i consueti films americani » affrontando con coraggio «un grave problema da Hollywood sempre evitato o falsificato: l’urto dei motivi popolari di destra e di sinistra » e calcare il solco dei «passati successi del Cinema Italiano del dopoguerra », i quali «hanno determinato una giustificata aspettativa che occorre non lasciare insoddisfatta» (Morlion era un fanatico del neorealismo). A tale scopo il domenicano imposta anche le «linee generali del trattamento» per la futura pellicola, dalla panoramica iniziale su Brescello alla scena del comizio per l’inaugurazione della Casa del Popolo, seguita dalla famosa partita di calcio tra «rossi» e «bianchi», dalla punizione di don Camillo da parte del vescovo fino alla celebre sequenza dello sciopero agrario con la mungitura clandestina escogitata dai due protagonisti per evitare la morte delle vacche. In sostanza si tratta degli episodi che poi finiranno effettivamente nel film del 1952; non viene invece accolta la proposta di inserire i due personaggi in più, che avrebbero dovuto rappresentare l’opposizione ideologica alle azioni dei protagonisti. Per la conclusione, però, mentre Duvivier sceglierà la scena dell’esilio – che pare fatta apposta per preparare un sequel, come di fatto poi avverrà – padre Morlion aveva preferito un lieto fine: quello del matrimonio contrastato tra il figlio di comunisti Mariolino e la figlia di possidenti Gina. Allo scopo, il domenicano aveva persino trovato la giustificazione morale adatta a superare il mancato consenso dei genitori: l’epikeja, ovvero quel principio di buon senso che permette di interpretare e persino superare in certi casi la norma canonica... E in questo caso il consulente aveva fatto davvero il suo mestiere.