La coreografa. Oona Doherty: «Così danzo sui dolori di Belfast»
La coreografa Oona Doherty, Leone d’Argento a Biennale Danza, in 'Hard to be soft. A Belfast prayer'
«Durante il lockdown ero incinta e pensavo che la mia carriera sarebbe finita. Poi ho ricevuto una telefonata dal grande coreografo Wayne McGregor, curatore di Biennale Danza. Non potevo credere che sapesse chi ero. Questo premio è per mia mamma che mi ha seguita da bambina e mi ha permesso di danzare ». La maternità ha invece portato fortuna alla danzatrice e coreografa nordirlandese Oona Doherty che ha appena ricevuto dal presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto il Leone d’Argento della Biennale Danza 2021 che si concluderà il primo agosto. La trentaquattrenne Oona Doherty, di stanza a Belfast, si è imposta sulla scena internazionale con il folgorante assolo Hope Hunt and the Ascension into Lazarus, che affronta temi sociali generalmente tenuti lontano dai riflettori della danza. E questa sera al Piccolo Teatro dell’Arsenale di Venezia Oona Doherty interpreterà in anteprima italiana il lavoro che l’ha resa celebre, Hard to be soft. A Belfast prayer, un lavoro che parla della durezza della sua città, dove uomini e donne sono ancora segnati dai passati conflitti religiosi e politici.
Oona, una artista lanciata come lei ha avuto paura della maternità?
«Confesso dì sì, perché è stata una cosa inaspettata. Ma ora sono felicissima, ho una bellissima bimba di sei mesi, che si chiama Rosaria, come la mamma del padre che è sarda. Dopo Venezia mi prenderò uno stop dalla danza per occuparmi della bimba. Dall’anno prossimo tornerò a ballare con un nuovo spettacolo e la porterò con me in giro per il mondo. Proverò ad essere danzatrice, coreografa e mamma. Danzare per Rosy mi rende super forte. Anche quando sono stanca penso 'tutto questo è per Rosaria'».
Perché, invece, una preghiera per Belfast?
«Ho voluto creare un’opera di teatro danza che astraesse i ricordi spezzati della mia giovinezza nell’Irlanda del Nord in una preghiera luminosa al neon. È con i loro muscoli che gli umani ottengono più facilmente la conoscenza del divino. I miei genitori sono cattolici e negli anni 70, stanchi del conflitto, andarono a Londra per lavoro e sono nata lì. Ma quando avevo 10 anni Londra divenne troppo cara e tornammo a Belfast. Lì la gente è cresciuta combattendo. Puoi sentirlo nelle ossa delle persone e nel modo in cui camminano. Penso che un’intera generazione di persone, quelle dell’età d mio padre, qui stia trattenendo un’epoca storica nelle ossa, nella memoria muscolare, nei tessuti».
E lei come ha deciso di raccontarlo in scena?
«All’interno di una grande gabbia illuminata e diviso in quattro capitoli, questo lavoro inizia e termina con gli assoli legati all’ambiente operaio. A Belfast c’è ancora il sentore della guerra, è simile in qualche modo alla Bosnia, per questo è difficile essere teneri, come dice il titolo. Ma non è solo un messaggio irlandese, è una questione internazionale. Nel primo episodio Lazarus and the Birds of Paradise, riprendo la scena finale del mio show precedente. Interpreto un adolescente difficile della 'working class' che è stato investito da una macchina e si sveglia nel limbo. Vi sono vari flash della sua vita e infine i cancelli del limbo si aprono e si passa al secondo episodio. Anche nel mio assolo finale, Helium, lo spunto parte dalla Resurrezione di Lazzaro e immagino la fine di una lotta, una risoluzione della vita ed un lasciarsi andare nella luce».
Questi riferimenti riferimenti religiosi fanno parte della sua cultura cattolica?
«Nello spettacolo ci sono cori sacri mescolati alle voci registrate della gente di Belfast. Sono affascinata dall’aspetto teatrale della Chiesa e sono grata di essere cresciuta in quel contesto, anche se mi sono allontanata dalla fede perché c’è stata troppa confusione, a mio parere, tra religione e politica. Anche se, a modo mio, sto cercando di riappropriarmene un po’».
Lei porta in scena anche la sua infanzia in una scuola cattolica.
Il secondo capitolo Sugar Army è una danza tribale hip hop dove porterò in scena piccole ballerine dagli 8 ai 10 anni selezionate a Venezia. Mi ricorda la mia infanzia alla St Louise School di Belfast, dove ho iniziato anche a danzare, che era la più grande scuola femminile dell’Europa occidentale. Era una città di giovane, goffa energia femminile. E poi quando sono andata al college a Derry, ho trovato le donne incredibilmente forti, quasi intimidatorie. C’erano molte fabbriche di tessuti e camicie quindi molte donne erano al lavoro e gli uomini erano a casa. In ogni caso, Sugar Army è un’ode a questo potere femminile ».
Nel terzo episodio, invece, ritorna l’eterno conflitto padri-figli.
«Gli uomini della mia famiglia, e di molte altre famiglie, non sono molto affettuosi. Per gli uomini duri e lavoratori, tenersi per mano, abbracci e affetto erano un segno di debolezza. Quindi Meat Kaleidoscope dove due uomini si affrontano, è un grande e duro abbraccio per tutti quei papà, figli e fratelli. Mio padre è un un nazionalista di 62 anni di New Lodge. Un marinaio mercante. Mio fratello è un poliziotto. Non hanno le stesse idee, non si parlano, ma li amo entrambi. Il 'Caleidoscopio della carne' è una preghiera fisica per trasformare i disperati in divinità e personaggi mitici come Davide e Golia, come mio padre, tuo padre, Zeus».
Inevitabile chiederle come è la situazione in Irlanda del Nord dopo la Brexit.
«Siamo davvero arrabbiati, ma nessuno si è sorpreso degli errori della Gran Bretagna. Nessuno ha votato per la Brexit in Irlanda del Nord, nemmeno i giovani protestanti che sventolano la bandiera inglese, perché siamo tutti sulla stessa barca. C’è una grande confusione. L’Irlanda con l’uscita dall’Europa ci sta rimettendo un sacco di soldi e pure io sono in grande difficoltà. Voglio aprire la mia compagnia a dicembre, ma non siamo sicuri di cosa succederà con la Brexit: fondi europei non ne arrivano, i viaggi costano molto di più, i permessi di soggiorno per i ballerini sono complicati. Con il mio socio stiamo pensando a una compagnia con due naziona-lità, irlandese e francese, perché sennò non si può sopravvivere».