Agorà

Idee. Discernimento, l'eterno dovere dell'uomo libero

Roberto Righetto domenica 10 giugno 2018

Giustamente papa Francesco ha invitato i giornalisti di Avvenire a «cercare con umiltà la verità» e ricordato che l’arma migliore anche per questa professione è il discernimento, grazie al quale si possono trovare «le parole vere per cogliere la realtà», oltre la caricatura che spesso ne fanno i mass media. La necessità di leggere «i segni dei tempi» è stata del resto uno dei leit-motiv del Concilio, che nella Gaudium et Spes indica nel discernimento «un dovere permanente». Lo ricorda un librettino prezioso di Giacomo Costa appena uscito per le edizioni San Paolo col semplice titolo Il discernimento (Pagine 142. Euro 12,00). Gesuita come il papa, direttore della rivista “Aggiornamenti sociali” e presidente della Fondazione San Fedele di Milano, Costa cerca di mettere a fuoco cosa significa questa parola, a partire dal Vangelo e dalla spiritualità di sant’Ignazio per arrivare all’attuale pontefice che tanto insiste su «questo modo di procedere nella propria vita seguendo la voce dello Spirito». Abituati come siamo a misurare tutto in termini di risultati, di profitti, di successo (economico o d’immagine), siamo portati a dimenticare che tutto questo non fa la vita bella e degna di essere vissuta. Una vita che si fa evangelo essa stessa: questo dovrebbe costituire il primo impegno del cristiano. E ciò riguarda le scelte che facciamo, siano esse di grande valore o meno. Come la decisione di acquistare o no una casa, con tutto ciò che comporta (spesso un impegno psicologico, oltre che economico, che può durare anni e ripercuotersi sulle scelte future della famiglia); poi ci sono le opzioni che toccano il mondo del lavoro, la scuola dei figli, dove trascorrere le vacanze, come usare il denaro, eccetera.

La vera sfida è quella di chi è capace di opporre una resistenza quotidiana alla mentalità mondana, che ci fa considerare gli altri come “cose”, “oggetti” manipolabili. In Francia è in corso una discussione a mio modo di vedere decisiva sulla presenza (e sulle sorti) del cristianesimo e molti di coloro che sono intervenuti, ad esempio sulle colonne della Croix, hanno usato una definizione assai chiara, quella di “controcultura”. Purtroppo in Italia discussioni di questo tipo sono difficili, il mondo cattolico è piuttosto amorfo e afono (al più si litiga sull’adesione o meno alle riforme che porta avanti Francesco). Ma è di questo che qui si parla: dell’engagement cristiano come controcultura, capace di una resistenza culturale e spirituale insieme, di una testimonianza che non deve ammantarsi per forza di eroismo o di esibizionismo, ma che si realizza nei gesti quotidiani. E’ cristiano colui che sceglie la lettura di un buon libro rispetto alle ore trascorse svagatamente davanti alla tv o al computer; è cristiano chi preferisce la compagnia della moglie e dei figli, chi fa visita a un amico, chi dà un po’ del suo tempo per gli altri, chi durante la giornata si impone uno spazio anche breve per il silenzio e la meditazione. Piccoli gesti quotidiani, a volte piccolissime scelte che testimoniano un diverso orientamento di vita, una differente gerarchia dei valori. Cosa c’entra tutto questo col discernimento? Molto, visto che non è altro che l’ascolto della voce dello Spirito che ci mette di fronte alle scelte che compiamo; meglio ancora, come scrive Costa, «riguarda il modo per riconoscere e seguire questa voce, fra le tante che si fanno udire».

È un processo che Francesco nella Evangelii Gaudium descrive come caratterizzato da tre fasi, «riconoscere, interpretare, scegliere». Una triade che, nel documento di Aparecida del 2007, Bergoglio declinava anche come «vedere, giudicare, agire», applicandola alla lettura dei segni dei tempi. Si comprende come il discernimento non sia una tecnica o una procedura formalizzata né un brainstorming di gruppo: esso richiede l’ascolto della propria coscienza, la valutazione dei dati di realtà (sui quali occorre essere bene informati) e il porsi sempre davanti al Signore per giungere infine all’azione. È una pratica individuale ma anche comunitaria, che riguarda pure il modo di procedere e di arrivare a deliberazioni di gruppi, movimenti e associazioni. In questo senso il modello è il Concilio di Gerusalemme, narrato negli Atti degli Apostoli, quando la prima comunità dei cristiani giunse a scelte decisive sulla necessità di portare l’annuncio a tutto il globo. A questo livello, Costa bene spiega come il discernimento costituisca una pratica ecclesiale che non può fare a meno dello stile di sinodalità. Del discernimento comunitario fanno parte innanzitutto una dimensione relazionale (il non voler imporre il proprio punto di vista ma l’essere predisposti ad ascoltare quello degli altri) e una personale (il dedicare un congruo periodo di tempo alla preghiera e alla meditazione). Poi, si possono prevedere una fase di studio della questione che si affronta, in cui affidarsi anche a esperti, e, perché no?, anche l’applicazione di tecniche di pianificazione per raggiungere le mete prefissate.

Alla decisione finale si può approdare dopo uno scambio di opinioni anche molto franco: l’essenziale è mantenere quella forza della consolazione e quel desiderio verso l’unità che caratterizzarono appunto il Concilio di Gerusalemme. O, per venire più vicino a noi, il Vaticano II. L’obiettivo primo del discernimento, che è quello di riconoscere l’azione di Dio nella storia, non può puntare solo sull’organizzazione o sulla perfezione dei meccanismi decisionali, ma l’intreccio con alcune pratiche proprie dei livelli aziendali può essere utile. «Il percorso è affascinante – commenta al riguardo l’autore – , la Chiesa e le sue istituzioni hanno ancora molto da imparare, ma questo può rivelarsi anche un fecondo campo di dialogo tra scienze dell’organizzazione e discipline manageriali, da una parte, e spiritualità e teologia dall’altra. I segnali di interesse, ad esempio nella più recente letteratura sull’etica d’impresa o la responsabilità sociale, non mancano». Ma il discorso si allarga al campo delle scienze e dell’informatica. Non a caso Costa sottolinea l’urgenza della formazione e, pensando al prossimo Sinodo dei giovani, riporta alcune significative parole del Papa: «I nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo. Possono navigare su due o tre schermi aperti contemporaneamente. Ci piaccia o no, è il mondo in cui sono inseriti ed è nostro dovere aiutarli ad attraversare questo mondo». Qui il discernimento, che evita le demonizzazioni e parte sempre dal riconoscimento della realtà, diventa un compito ineludibile per gli educatori.