Festival di Venezia. Il regista Diritti: «Genitori attenti, i bambini vi guardano»
Il regista Giorgio Diritti
Lo sguardo attonito dei bambini di fronte alla crisi delle loro famiglie apre e chiude la 77ª Mostra del Cinema di Venezia. I minori che subiscono il trauma della separazione dei loro genitori, infatti, sono al centro tanto del film che ha aperto ieri la kermesse, Lacci di Daniele Lucchetti, quanto di un intenso cortometraggio che chiuderà la 35ª Settimana Internazionale della Critica l’11 settembre, Zombie di Giorgio Diritti. Due opere diverse con un unico focus: la responsabilità che sempre e comunque debbono tenere presente i genitori nei confronti dei loro figli. Realizzato in chiusura del corso di sceneggiatura e regia curato da Giorgio Diritti per la Fondazione “Fare Cinema” di Marco Bellocchio, il cortometraggio prodotto da Aranciafilm è stato scritto dagli studenti basandosi sulle proprie esperienze di vita. Che assomigliano a quella della piccola Camilla, coinvolta dalla madre in una gelida rivalsa nei confronti del marito che è sparito senza farsi troppi problemi: nella notte di Halloween la traveste da zombie e la accompagna casa per casa a proporre «dolcetto o scherzetto»... «Gli zombie, i morti viventi, rischiamo di essere noi» ci spiega critico il regista, che in questi giorni è tornato nelle sale con il suo Volevo nascondermi, fermato dal coronavirus dopo il successo a Berlino del suo protagonista Elio Germano.
Diritti, come recita De Sica, i bambini ci guardano…
I bambini ci guardano, ci ascoltano, ci sono, esistono, ci fanno compagnia, soprattutto imparano da noi. Nell’mparare hanno bisogno di capire. Ai ragazzi della scuola di Bellocchio ho chiesto di parlare di cose che conoscevano, e sono uscite fuori una serie di storie di sofferenze familiari personali, traumi legati a separazioni subite. La bambina del corto è una zombie perché le viene buttata addosso una realtà dura e senza filtri.
Un appello alla responsabilità da parte dei genitori?
Troppo spesso noi adulti ci dimentichiamo che abbiamo una responsabilità nei confronti dei più piccoli. Io sono sconcertato quando vedo in pizzeria famiglie che mollano il cellulare in mano a bambini molto piccoli per poter chiacchierare con gli amici. Quel bimbo è già relegato in una condizione asociale, non partecipa, è già emarginato e viene buttato in un altro mondo, quello della apparenza e dell’intrattenimento.
E quando i genitori si separano i figli sono le prime vittime…
C’è uno stadio drammatico nelle separazioni in cui i figli diventano le armi di guerra nella lotta fra i genitori. Già i bambini sono in condizione di sofferenza affettiva e vengono ulteriormente brutalizzati per la battaglia fra i coniugi. Separarsi è un diritto, ma non si può non essere genitori rispettosi dell’identità e dei valori preziosi che hanno i bambini, che vanno protetti prima di ogni altra cosa. Questa è la vera scommessa, se no costruiremo degli zombie, quei bambini rimarranno marchiati a vita.
Cosa può insegnare questo periodo di pandemia alle famiglie?
Che il tempo in famiglia è prezioso. La famiglia è un po’ come un orto: se ci stai dentro tutti i giorni e la sistemi, darà ottimi frutti, ma se non bagni la terra non verrà fuori niente. Durante il lockdown i bambini si sono ritrovati in casa con tutti i due genitori con cui hanno fatto il pane, le costruzioni. La società si dovrebbe interrogare: se questo è stato elemento di gioia per molte famiglie, significa che c’è qualcosa che manca. Si dovrebbero creare le condizioni perché nel nucleo familiare ci sia meno fretta e più tempo e voglia di fare attività insieme.
Come vive invece lei il ritorno nelle sale del suo film su Ligabue stoppato a febbraio dal lockdown?
In modo molto positivo, i film sono fatti per incontrare il pubblico. Però, pur essendo nei primi posti del box office, se guardo al numero totale degli spettatori mi viene la malinconia. Mi chiedo perché si sono usati due pesi e due misure fra cinema e teatri, da una parte, e locali come le discoteche dall’altra. Ci sono sale grandi che potevano essere gestite in modo sicuro, ci voleva una capacità di coordinare: se la gente si disaffezionala al cinema, poi è tutto il sistema che ne perde.
Camilla, la protagonista del cortometraggio "Zombie", regia di Giorgio Diritti - Fotogramma
Quindi la Biennale ha fatto bene a organizzare la Mostra del Cinema?
Sono d’accordo, penso sia molto importante capire quanto questa cosa aiuterà. Apprezzo l’energia di mettersi in gioco, ma è altrettanto importante che non si torni indietro.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Continuerò a lavorare sulla dimensione intrafamiliare e sullo sguardo dei bambini. Inoltre ho un progetto legato alla persecuzione razziale e all’eugenetica. Come in Volevo nascondermi, l’approccio è far capire che la diversità, che alcuni guardano con sospetto e distanza, è un potenziale: occorre dare alle persone il modo di sviluppare i loro talenti. La cosa più triste nel mondo attuale è quando si stabiliscono le differenze, di cui quella razziale per me è una delle più dolorose. Ogni uomo è un dono per la terra, ogni uomo è terreno fertile. Do anche colpa al sistema economico che punta a favorire il consumo a sfruttare le persone: mi auguro che ci sia un ripensamento.
Parla da credente?
Sono credente, con tutti i dubbi logici e normali che è giusto avere, mi sento molto fiducioso, legato al Creato con una dimensione di spiritualità che ha la sua matrice nel cristianesimo, ma sono aperto e curioso di ritrovare in altre religioni quegli elementi comuni che sono utili al bene dell’umanità.