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Il saggio. Dirci cristiani: Zecchino ritrova l’attualità di Croce

Angelo Picariello lunedì 2 settembre 2024

Il saggio Perché non possiamo non dirci “cristiani” continua ad appassionare, e aveva ragione Benedetto Croce ad arrovellarsi sul titolo, cambiando più volte idea, togliendo il punto interrogativo, aggiungendo le virgolette alla parola chiave. Perché del suo celebre volume evocato ancora oggi a 80 anni dalla sua uscita, la discussione si limita quasi sempre al titolo stesso, in grado già da solo di suscitare in egual misura entusiasmi e diffidenze, quasi sempre in ragione della funzionalità o meno a un disegno politico. A non retrocedere a slogan una accurata riflessione di uno dei più insigni filosofi italiani del secolo scorso, ben venga allora il libro di Ortensio Zecchino Perché non possiamo non dirci cristiani. Lettere e dispute sul celebre saggio di Benedetto Croce (Rubbettino, pagine 254, euro 18,00).

«Rileggerlo impone innanzitutto lo sforzo di piena immersione nel contesto storico in cui fu concepito. Siamo nel bel mezzo di una guerra “mondiale” che l’umanità intera seguiva terrorizzata», ricorda Zecchino. Ma giova anche un cenno biografico sull’autore, che offre qualche indizio sul movente di questo lavoro, accurato dal punto di vista della ricostruzione storica, ma anche profondo sul piano della indagine filosofica e culturale. Storico medievalista, Zecchino è stato eurodeputato, poi senatore di lungo corso della Dc, arrivato con le carte in regola alle prese con la cosiddetta Seconda Repubblica, nata sulle ceneri dei vecchi partiti, diventando ministro dell’Università per il Partito popolare. Ma a un certo punto ha deciso di dimettersi per dar vita, con Sergio D’Antoni e Giulio Andreotti, all’avventura di Democrazia europea, uno degli ultimi tentativi, come gli altri non riuscito, di rimettere insieme un partito di centro di chiara ispirazione cristiana. Da allora ha lasciato la politica per fondare un importante istituto di ricerca in campo biomedico, la Biogerm, nella sua Ariano Irpino.

Da liberale, quello di Croce, è un appello ai cristiani accorato – quasi disperato, mentre, si era sul finire del 1942, esplodevano le bombe in tutto il mondo – a fare fronte comune contro i totalitarismi che in quel momento stanno insanguinando il mondo. Incontrò Montini, “padre” della neonata Dc, per auspicare un’alleanza contro il «totalitario regime bolscevico». Ma, avversato per comprensibili ragioni a destra come a sinistra, il suo saggio fu fortemente criticato anche dalla Chiesa, e lo sarà più volte anche ad opera di Civiltà Cattolica. Negli anni Cinquanta da parte di padre Antonio Messineo, che ne condannò l’«ottimismo storicistico» incompatibile con la visione cristiana, accomunandolo a Jacques Maritain, la qual cosa procurò delle critiche anche all’autorevole gesuita. Ma poi, proprio per respingere una perdurante tendenza «che ricorre con frequenza inusitata» a chiamarlo in causa come teste “a favore” nel 1995 la rivista torna sul saggio addirittura con un editoriale, per denunciare «la frattura esistente fra il pensiero di crociano e l’insegnamento della Chiesa sulla trasmissione della dottrina evangelica». La questione non è di lana caprina, Eugenio Mazzarella nella prefazione riesce bene a esplicitarla quando spiega che il vero punto è «se questo ottimismo possa reggersi senza Cristo». Da «assoluto immanentista» come si descrive lo stesso Croce, fiducioso nell’evoluzione storicista, «che succede quando alla religione della libertà, che non ha Cristo su cui fondare, viene meno la storia sotto i piedi?», si chiede ancora Mazzarella.

L’interrogativo si pone di nuovo nei tempi grami e nei venti di guerra che sono tornati, trovando una possibile via d’uscita nella figura e nella politica di Alcide De Gasperi, di cui Croce si fidava – non fidandosi tanto, in genere, dei democristiani – e al quale guarda, lo si intuisce, anche Zecchino. Che considera ancora attuali le parole del filosofo, il quale «nel buio di una catastrofe di una guerra realmente mondiale che rischiava di sprofondare l’umanità intera nel baratro, rispose esser il cristianesimo l’unica e ultima àncora di salvezza della civiltà occidentale e con essa il mondo intero».