Nicholas Thomas Wright è stato fino al 2010 vescovo anglicano di Durham, in Inghilterra. Si è ritirato, nonostante la giovane età, per dedicarsi interamente al campo di ricerca in cui si è distinto a livello internazionale, quello sul Gesù storico.
Oggi ricopre la cattedra di Nuovo Testamento alla St. Andrews University in Scozia. A lui è affidato, oggi, l’ultimo intervento del convegno su «Gesù Cristo nostro contemporaneo».
Professor Wright, Benedetto XVI anche prima di diventare Papa ha spesso richiamato l’attenzione sulle potenzialità ma anche i pericoli del metodo storico-critico, che porta molti a considerare autentica nelle Scritture solo la loro dimensione 'umana'. Cosa ne pensa?
«Il Papa ha certamente ragione nel sottolineare come l’investigazione storica delle Scritture può essere usata, ed è stata usata, come un modo per escludere quella che possiamo chiamare la loro dimensione divina. Ho molto apprezzato il suo tentativo di rimettere insieme le due cose. Per la mia esperienza posso dire che non è sempre facile come sembra. Spesso la fresca e genuina parola di Dio emerge dopo aver svolto un duro lavoro storico per comprendere cosa significavano quella frase o quel passaggio per un pubblico del I secolo. Dio sembra nascondersi nei dettagli storici, non nell’astrazione da essi. Oggi c’è il pericolo che teologi e predicatori, che si sono sentiti comprensibilmente frustrati da un tipo di esegesi che dice tutto su un testo tranne quello che realmente importa, si ritraggano dallo studio storico. L’atteggiamento dovrebbe invece essere uno studio ancora più approfondito, ponendo sul piano storico quelle domande penetranti e profonde in grado di portare alla comprensione genuina delle Scritture. Ringrazio Dio per i colleghi che a Roma e altrove hanno lavorato a questo scopo».
Lei è annoverato tra i nomi di riferimento della cosiddetta «terza fase» di ricerca sul Gesù storico o «Third Quest». Qual è oggi il peso di un autore che ha segnato l’analisi critica dei Vangeli nel ’900, cioè Rudolf Bultmann?
«Bultmann condiziona ancora gli studi biblici in Germania e in buona misura anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Sempre in Gran Bretagna e in Usa sono però anche molti quelli che lo hanno messo da parte. Bultmann, nonostante la pretesa di essere un rappresentante della tradizione storico-critica, non è stato un vero storico. Non era molto interessato a ciò che realmente è accaduto, il che ha permesso alla sua teologia di fluttuare sullo sfondo di un luteranesimo neo-kantiano.
A mio parere la migliore ricerca biblica contemporanea lo ha abbandonato più o meno definitivamente. Merita rispetto: visse in un tempo difficile e lottò per predicare il Vangelo a una generazione combattuta. Ma il suo lavoro non ha superato la prova del tempo».
Lei ha dedicato alla risurrezione di Gesù un importante volume, tradotto anche in italiano. È possibile occuparsi in senso storico della risurrezione? Perché uno studioso dovrebbe essere aperto alla possibilità di un tale evento soprannaturale?
«Sono un po’ a disagio con la parola 'soprannaturale' perché nella cultura di oggi sottintende un universo diviso, come nel deismo o nell’epicureismo – che fanno parte di quell’atmosfera post-moderna che tutti respiriamo – e cioè un Dio che è al di fuori del mondo, molto al di fuori, e solo occasionalmente interviene in esso.
Non è il modo in cui la Bibbia intende cielo e terra, il mondo di Dio e il nostro. Nella Bibbia i due mondi si sovrappongono e si intrecciano. Nell’Antico Testamento questo avviene in modo supremo nel Tempio di Gerusalemme e nella Torah, la Legge di Dio, che è come un Tempio portatile, nel senso che – ovunque uno sia – se studia e mette in pratica la Torah, è come se fosse nel Tempio. Nel Nuovo Testamento Gesù stesso assume il ruolo del Tempio: il luogo in cui si rivela la gloria di Dio.
Inoltre, in modo ancor più stupefacente, lo Spirito fa di ogni Chiesa e di ogni cristiano una sorta di nuovo tempio che cammina (Efesini 2; Corinzi 3,6). Alla luce di tutto ciò, il punto saliente della risurrezione è essere l’inizio di una nuova creazione. Non si tratta di qualcosa che accade in un altro mondo. E non è l’irruzione di un evento 'soprannaturale' in una sequenza storica altrimenti 'naturale'. È l’inizio di un ricongiungimento tra cielo e terra nella dimensione spazio-temporale in cui viviamo.
Con la risurrezione di Gesù Dio ha dato vita a una creazione che la morte non può più toccare. Lo studio storico non può provare la risurrezione a una mentalità riduzionista o razionalista, ma può mostrare – e a mio parere ha già mostrato – come siano insufficienti le spiegazioni alternative sul perché il cristianesimo sia nato e si sia diffuso a partire da un gruppo di persone terrorizzate che avevano seguito un Messia fallito, e sul perché abbia preso la forma che conosciamo, chiamando Gesù il Signore e rivendicando la sua regalità sul mondo».
Lei oggi interviene sul tema «Gesù risorto, Signore della storia».
Qual è il senso della regalità di Gesù secondo i Vangeli?
«L’idea di Messia del popolo ebraico comprendeva quasi sempre anche la sua regalità, quella che troviamo in Salmi 2 e 72, in Isaia 9 e 11, o di cui troviamo echi in Isaia 42 e altri passaggi, così come in scritti più tardi. Non c’era un’attesa messianica unica e comune, ma si possono individuare alcuni grandi temi: il Messia avrebbe riportato la vittoria decisiva sui pagani, avrebbe costituito Israele in libertà e giustizia (estendendo questa giustizia al mondo intero), non ultimo avrebbe ricostruito o purificato il Tempio di Gerusalemme, cosicché il Dio di Israele avrebbe potuto dimorarvi di nuovo, come aveva promesso ma non aveva ancora fatto. Gesù ha rimodellato queste aspettative su se stesso: un diverso nemico (Satana, il peccato e la morte ), un diverso modo di fondare Israele (il discorso della Montagna, chiamando tutte le genti ad essere luce del mondo, seguendolo), una diversa giustizia per il mondo (inviando gli Apostoli ad annunciarlo come Signore) e un nuovo Tempio (lui stesso e i suoi apostoli come dimora dello Spirito). Queste ridefinizioni, prese singolarmente, non erano senza precedenti, ma la loro combinazione e il focus sulla 'strana' vittoria ottenuta sulla croce erano completamente inattese e furono uno choc.
La nuova regalità di Gesù ridefinì radicalmente la nozione di potere e sovranità. Come lui stesso spiegò a Giacomo e Giovanni (Marco 10, 35-45): i capi delle nazioni i loro grandi esercitano il potere in un modo, ma noi faremo l’opposto. Questo è il modo in cui il Regno è stato ed è stabilito, sulla sofferenza e morte di Gesù e sull’umile testimonianza di amore dei suoi discepoli. La sua ultima vittoria da re sarà, come chiarisce l’Apocalisse, la vittoria dell’Agnello che è stato immolato: la vittoria dell’amore sofferente».
Qual è stato lo scandalo, l’ostacolo più grande per gli ebrei nel credere in Gesù Messia?
«Il più grande ostacolo, come spiega Paolo, è stata l’idea di un Messia sofferente e morto. La croce è lo scandalo per i giudei, perché un Messia crocifisso significa che i propositi di Dio per Israele sono di trasformare l’intero suo popolo attraverso lo stesso processo di morte e risurrezione. È ciò di cui parla Galati 2, 15-21. Lo scandalo per il mondo include lo choc di un Creatore che si è manifestato come un ebreo, un ebreo crocifisso e un ebreo risorto dai morti. Incredibile. E tuttavia Paolo scopriva che quando annunciava che l’ebreo Gesù era il Signore del mondo – in un mondo dove 'Signore' era l’appellativo dato a Cesare! – lo Spirito lavorava nei cuori e nelle menti di coloro che lo ascoltavano. Malgrado loro stessi, percepivano come il messaggio fosse vero, ci credevano e questo trasformava le loro vite. E le trasforma ancora».