Nel 1980 Christopher Cross, con il brano
Sailing, entrava nella storia mondiale del pop vincendo cinque Grammy e pure un Oscar. Oggi, nel 2011, dopo dodici anni di silenzio, Christoper Cross la sua storia la «usa». Nel senso che, come ci dice, «io sono stato benedetto dal successo, avrei potuto perdermici. Ne ho visti tanti farlo fra comportamenti irresponsabili e droghe… Ma io scelgo la musica: ed è grazie al successo di trent’anni fa che adesso posso farla come e quando mi piace, senza ripetere Sailing all’infinito ma provando ad avvicinarmi ai miei miti, Marley, Dylan, Joni Mitchell… E così, senza considerarmi un opinion leader, provo a cantare i valori che credo universali. Perché se è vero che il mondo spesso ci delude, invece di compiangerci è meglio cantare di provare a cambiarlo». Nasce così
Doctor faith, cd dai suoni più robusti di quelli del passato, soprattutto album di canzoni politiche e spirituali, molto lontano dal
Cross di
Sailing.
Partiamo dal titolo, «Dottor fede». La «fede » di cui parla qual è?Nella canzone Doctor faith racconto di chi cerca aiuto in terapie che utilizzano anche la fede religiosa. È un fenomeno che può apparirci strano ma che in America funziona molto e in ogni caso ci indica quanto la nostra società abbia ancora bisogno di Dio.
Ma lei ha una fede? Perché in «Prayin’» pare cantare di Cristo davvero, e da un punto di vista cattolico.Certo: se
Doctor faith è una riflessione sui nostri tempi,
Prayin’ è la mia fede. Quando ero piccolo, in una scuola cattolica, la preghiera mi toccava nel profondo. Poi ho perso questa dimensione, l’ho lasciata alle spalle: finché un giorno mi è tornata fuori d’istinto. E nel brano canto questo percorso, dicendo che pregare Cristo per dirgli grazie mi aiuta tantissimo, oggi.
Certo che Christopher Cross che canta la fede e poi, in «Hey kid», dice ai ragazzi di non seguire la sua generazione perché non ha saputo rispondere alle domande essenziali, è un Cross inatteso…Sa perché sono tornato a scrivere? Perché avevo bisogno di farlo. Non per dire
I love you, baby: quello ero io nell’80. Per l’esigenza di dire che è tempo di smettere di lamentarsi.
Hey kid grida ai ragazzi di darsi da fare.
«I’m too old for this» a chi è dedicata? Ignoranza, tv come veleno, politici corrotti… Un testo feroce.È per il mio Paese. Alla morte di Benladen si è vista una faccia agghiacciante degli Usa: festeggiare una morte. Non siamo liberi di pensare e non lo sappiamo: seguiamo i modelli dei reality, di una politica di contrapposizioni ed interessi che tradisce i nostri ideali appena raggiunge il potere.
Non pensa che il suo pubblico possa criticare questa sua svolta dal romanticismo a temi sociali forti?Non m’interessa. Il successo di Sailing mi permette di poter vivere della mia arte da persona libera. Senza sentirmi un eroe, ma anzi sapendo di avere la responsabilità di non scrivere banalità.
E crede davvero che la musica possa cambiare le cose?L’ha fatto in passato, può farlo ancora. E’ più forte di facebook o twitter, va ben oltre uno scambio distratto di messaggi. Io ci credo ancora, sì.