DIBATTITO. Vero, buono, bello: solo elettrochimica?
Quando il medico illuminista francese Julien Offray de La Mettrie (1709-1751) pubblicò il suo Storia naturale dell’anima, in cui riportava lo spirito nel corpo, l’indignazione fu tale che dovette rifugiarsi nella più tollerante Olanda. Ma anche per i Paesi Bassi le idee radicalmente materialistiche sull’essere umano contenute nel successivo Uomo macchina risultarono eccessive. E l’autore fu costretto a trovare asilo a Berlino, presso la corte di Federico il Grande. La Mettrie, forse volutamente non citato, potrebbe essere in realtà uno degli eroi di Jean-Pierre Changeux, che quasi tre secoli dopo, esauritosi da tempo ogni "scandalo" per lo studio naturalistico delle funzioni cognitive cosiddette superiori, ambisce a trattare dal punto di vista cerebrale il bello, il buono e il vero. Quelle che il famoso neuroscienziato francese (77 anni), professore onorario al Collège de France e all’Institut Pasteur, chiama a partire da Platone «questioni universali sulla natura del mondo» e che sono alcuni di quelli poi definiti trascendentali nel sistema di Tommaso d’Aquino. C’è una vita di studio ai più alti livelli dietro il tentativo di Changeux, che in Il bello, il buono, il vero (Cortina Editore, pp. 386, 29 euro; edizione italiana a cura di Chiara Cappelletto) aggiorna i suoi precedenti, e forse all’epoca più dirompenti, L’uomo neuronale e L’uomo di verità. Nel libro, la ricchezza di spunti, ricostruzioni storiche, excursus eruditi e citazioni di classici di ogni arte e disciplina che davvero pochissimi scienziati sono oggi in grado di padroneggiare dimostrano ampiamente che l’autore è tutto fuorché uno specialista rinchiuso nella propria angusta nicchia. Ma la cultura umanistica dovrebbe essere l’explanandum di un approccio neuronale (come dice il sottotitolo) capace di dare conto dell’emergere dei fenomeni estetici, morali ed epistemici. Alcuni pezzi musicali ci danno letteralmente i brividi (cambiamento del ritmo cardiaco, della respirazione e della tensione muscolare), come ad esempio il Terzo concerto per piano di Rachmaninov. Se si esaminano con tecniche di visualizzazione del cervello coloro che durante l’ascolto hanno queste manifestazioni fisiologiche, si vedrà che mostrano un’aumentata attività in alcune aree encefaliche ben identificate e una diminuzione in altre.
È uno schema di risposta simile a quello che si osserva nei soggetti che assumono cocaina, poiché entrambi gli schemi sono legati ai circuiti della ricompensa cerebrale (e alcuni capitoli del libro spiegano nel dettaglio fine di che cosa si tratta e come funzionano, in un trionfo della comprensione scientifica di quel capolavoro che è il nostro cervello). La musica quindi, dice Changeux, ha un potente effetto su tale sistema e ciò si accorda con l’ipotesi «dell’importanza dell’arte per la comunicazione interpersonale e per il rafforzamento dei legami sociali». Una prova viene dal fatto che se ai musicofili si somministra naloxone, una sostanza che blocca i recettori degli oppiacei, i brividi per Rachmaninov si riducono, sebbene tutte le altre condizioni rimangano invariate. L’apprezzamento estetico sarebbe un effetto della nostra storia evolutiva, così come lo sviluppo di sentimenti morali che ci guidano spontaneamente nelle relazioni cooperative con i gruppi di nostri simili in cui ci troviamo a condurre l’esistenza.Ad esempio, «il cervello umano sembra possedere un sistema adatto all’intercomprensione, un tratto decisivo per regolare la vita sociale». Per quanto riguarda il vero, Changeux ripropone la sua idea di un cervello attivo costruttore della realtà in base a vincoli interni e criteri evoluzionistici (di sopravvivenza) e sottolinea il ruolo della coscienza, sulle cui basi neuronali, tutt’altro che accertate, fornisce una lunga disamina attraverso le teorie oggi ritenute più promettenti. Alla base di tutto, in definitiva, una cascata di processi elettro-chimici molecolari straordinariamente complessi, di cui cominciamo a conoscere molte caratteristiche. Ci si può tuttavia chiedere se questo sia tutto.
Certamente, la mente ha bisogno del cervello come condizione necessaria. Ma esso è anche condizione sufficiente? Tutta l’arte, persino quella più concettuale o la musica dodecafonica si spiegano con le attivazioni dopaminergiche? Gli atti morali supererogatori come si radicano nei meccanismi evolutivi? L’idea di verità si esaurisce nei rapporti causali tra il nostro sistema nervoso e il mondo? Una severa recensione del filosofo Colin McGinn e un successivo aspro dibattito hanno messo in luce simili nodi su una tribuna autorevole come quella della New York Review of Books. Dato che oggi molti studiosi sembrano dare ragione a Changeux sulla strada di un riduzionismo tanto scientifico quanto esistenzialmente problematico (come evidenzia la citazione finale di Dostoevskij), può essere utile seguire il non facile percorso delineato nel libro. E rilevarne anche le aporie e gli ottimismi esplicativi, in alcuni casi ancora ingenui e prematuri.