Basket. Dell'Agnello: «Così stoppai Jordan»
Sandro Dell’Agnello, 58 anni, coach della Pallacanestro Forlì 2.015
«Accadde nell’estate del 1985. Michael Jordan venne in Italia per un tour commerciale. In una partita che giocammo a Bormio lui fece un palleggio, arresto e tiro e io lo stoppai… Un’azione immortalata anche da una foto che ovviamente conservo con piacere». Nelle settimane in cui spopola la serie The Last Dance che celebra il fuoriclasse dei Chicago Bulls, ritenuto il più grande cestista di tutti i tempi, c’è un italiano che può dire di aver stoppato Jordan. Ebbene sì. In tempi in cui l’America del basket era lontana anni luce dal nostro Paese la prodezza leggendaria fu realizzata dal “Sandrokan” della pallacanestro italiana: Sandro Dell’Agnello da Livorno, il guerriero di mille battaglie in Serie A, vincitore dello storico scudetto del Sud con l’allora Phonola Caserta, oltre che argento in azzurro ai campionati europei del 1991. Spirito da combattente, longilineo indomito di 203 centimetri, col “vizio” della stoppata: «Mi era già capitato in un’altra amichevole di stoppare ancora una stella della Nba, il famoso pivot Moses Malone. Ma la partita contro Jordan fu giocata a ritmi più seri, molto più combattuta. Sono stato un buon difensore, anche se Michael era giovane e all’inizio della carriera…». Già, ma quella tournèe in Italia fece intravedere subito l’enorme talento del campione statunitense e passò alla storia per una schiacciata che mandò in frantumi il tabellone a Trieste. Dell’Agnello era in campo sia lì che nella tappa in Valtellina in cui riuscì a rifilargli quell’epocale stoppata, giocata difensiva che esalta il pubblico e avvilisce l’attaccante. Ma lui glissa, scherzandoci su: «So che non ci ha dormito tre–quattro mesi...immagino di avergli stravolto la vita». Dimessi i panni da giocatore a oltre quarant’anni e intrapresa da tempo la carriera di allenatore, Dell’Agnello, oggi 58enne, è coach della Unieuro Pallacanestro Forlì 2.015.
Siamo in pieno amarcord Jordan con The Last Dance…
Sto guardando la serie Tv, in qualche passaggio è un po’ romanzata, però mi sta piacendo. Del resto per me, giocatore in quegli anni, la pallacanestro era Larry Bird e Michael Jordan. Ho una venerazione antica per Bird, ma se lui stesso e Magic Johnson hanno detto che MJ è il più grande di sempre, c’è da fidarsi...
Segue ancora la Nba?
No, mi piace poco, preferisco di gran lunga l’Eurolega. La Nba è un entertainment, solo ai playoff forse cominciano a giocare un po’ sul serio, nes- suno difende, è tutto un “uno contro uno”. Sono bravissimi eh, ma non mi entusiasma… Per certi versi è anche insopportabile, ho provato a vedere anche partite di cartello ma dopo cinque minuti ho smesso.
Nella sua carriera c’è molto di più di una stoppata, se pur al grande Michael Jordan.
Ma infatti quello per me rimane solo un episodio. Tra i miei ricordi più belli io metto tutto il mio percorso, fatto di vittorie e sconfitte. Sono riuscito a giocare in Serie A per 21 anni. Fu una grande soddisfazione anche la prima convocazione in Nazionale e poi certo lo scudetto con Caserta, qualcosa di clamoroso…
Quale fu il segreto di quella squadra che nel ’90–‘91 portò per la prima e unica volta il titolo al Sud?
Fu veramente un’impresa, come se il Palermo vincesse la Serie A di calcio… Decisivo fu il fatto che, tolti i due americani, eravamo tutti casertani, mi ci metto anch’io visto che giocavo lì da sette anni: uno scudetto irripetibile… Eravamo un grande quintetto con due fenomeni come Gentile ed Esposito: andammo a vincere in trasferta la finale a Milano che in casa quell’anno non ne aveva persa una…
Oggi il futuro della Juve Caserta sembra molto difficile.
Mi spiace tanto perché la città ha sempre seguito il basket con passione. Negli anni poi dello scudetto il pubblico era particolarmente caldo. Qualche anno fa sono tornato da tecnico e nonostante ci fossero già dei problemi abbiamo ottenuto anche buoni risultati. Purtroppo anche al Sud ci vogliono i soldi, se domani arrivasse uno sponsor come Armani o Segafredo, le cose cambierebbero.
E dire che lei la pallacanestro l’ha scoperta abbastanza tardi…
Sì, perché ho cominciato a 17 anni quando ebbi uno sviluppo importante e diventai alto come ora. Prima mi piacevano molto i motori e il motocross. Cominciai per caso: a scuola il professore di educazione fisica che era anche allenatore di una squadra di basket in Promozione mi chiese se volevo provare. Dopo due anni Giancarlo Primo mi prese in A2 a Livorno.
È stato supportato dalla sua famiglia?
In casa mia lo sport non sapevano nemmeno cosa fosse. Mio padre era camionista, mio fratello pure, e io a 18 anni presi la patente e lo diventai anch’io. La sera mi allenavo, di giorno lavoravo. Quando cominciai la carriera da professionista mio padre mi disse: “Ma dove vai? Qui c’è da portare il camion…”. Poi certo fu molto orgoglioso del mio percorso.
E il basket l’ha trasmesso anche ai suoi due figli…
Giocano tutti e due, uno in serie B e uno in C. Ma io li ho sempre lasciati liberi, ho sempre provato a far sì che fossero innanzitutto brave persone. E con pregi e difetti penso di esserci riuscito, ed è la cosa che mi soddisfa di più.
Ha fatto parte di una Nazionale ancora vincente.
C’è il rammarico di aver mancato per tre volte la qualificazione olimpica e infatti io non le ho mai fatte. Però è motivo d’orgoglio l’argento europeo a Roma nel ’91 con coach Sandro Gamba, persona fantastica oltre che grande allenatore. Nella mia carriera ho avuto i migliori tecnici del tempo, anche se ho un affetto particolare per Tanjevic che mi lanciò in Serie A.
L’Italia del basket oggi non riesce più a imporsi.
Non siamo più competitivi economicamente come venti–trent’anni fa. Non abbiamo soldi per investire nei vivai e anche sugli stranieri: un tempo Bob McAdoo veniva da noi, oggi andrebbe prima in Turchia, Russia e in dieci altre nazioni... Mentre in Italia arriva il carrozziere di McAdoo…
Per la pandemia la Federazione ha deciso di non assegnare lo scudetto e bloccare promozioni e retrocessioni.
I risultati del basket sono sempre passati da playoff e playout non averli disputati ha fatto sì che fosse la decisione più giusta. Certo per noi di Forlì il rammarico è grande, eravamo secondi e avevamo vinto 13 delle ultime 15 partite, credevamo di poter arrivare in fondo… Ma la società è solida e competente e la città ha una passione superiore anche ad alcune piazze di A1.
Lei è appassionato anche di altri sport.
Sì li seguo tutti, anche il curling: al di là di quel che si può pensare è una disciplina che richiede intelligenza, ci vuole un po’ di testa come nel basket. Ma certo oggi è anche difficile parlare di sport, la nostra vita sociale ed economica è stata sconvolta. Sono però sicuro che quando potremo riprendere, lo sport sarà di grande aiuto alla gente per ritornare a vivere.