Polemiche. Deleuze, l'arte di propugnare il capitalismo con l'aria di dire l'opposto
Il filosofo Gilles Deleuze in un ritratto murale
Gilles Deleuze passa, con qualche ragione, come uno dei filosofi più significativi del 68. Ragioni discutibilissime, soprattutto oggi che i suoi aspetti più militanti e politici sembrano essersi condensati in forme giuridiche e pratiche istituzionali quasi consolidate, almeno nell’Occidente. Tutta la vicenda omo-trans-sessuale, identitaria, gender e addentellati più o meno sparsi, gravita intorno alle prospettive aperte da Deleuze.
Se nel frangente attuale queste questioni appaiono prive di riferimenti filosofici importanti, già negli anni 80 del secolo scorso il cardinale Ersilio Tonini sosteneva, al contrario e proprio dalle colonne di “Avvenire”, l’importanza del pensiero di Deleuze nel delineare i tratti di un mondo per lui solo imminente. Noi, invece, sperimentiamo direttamente la sua realizzazione e spesso non ne siamo felici. Giometti & Antonello, raffinata ed elegante editrice maceratese, dà alle stampe una scelta di Lettere e altri testi inediti del filosofo francese, morto suicida nel 1995 (traduzione di Andrea Franzoni, pagine 345, euro 34). Soprattutto gli inediti raccolgono le tracce dei pensieri iniziali di Deleuze, nei quali si leggono anche i momenti di distacco dal cristianesimo, con alcune intense pagine sulla parola di Cristo.
È una dimensione, quella dell’abbandono del cristianesimo, che attiene a motivi politico-filosofici radicati nella storia personale di Deleuze e innestati, con particolare maestria, sulla filosofia di Henri Bergson, alla cui influenza Deleuze non rinunciò mai. Una vulgata corriva dice che sia quasi impossibile non essere cristiani se si è all’interno della linea bergsoniana. Il caso Deleuze dimostrerebbe il contrario: come essere anticristiani rimanendo nel solco di pensiero bergsoniano. C’è materia di studio!
L’approfondita conoscenza della storia della filosofia gli ha permesso un controllo pressoché assoluto dei concetti con cui ha lavorato, da Differenza e ripetizione (1968) a Logica del senso (1969). Eppure, attraverso la lettura di questi materiali, si comprende abbastanza chiaramente una certa pretestuosità della sua filosofia nei confronti del pensiero altrui e dello stesso Bergson. Nella feroce polemica contro la psicoanalisi, soprattutto nella versione offerta da Jacques Lacan, condensata nel famigerato L’anti-Edipo scritto a quattro mani con Felix Guattari, interviene, per fare un esempio, il concetto di “flusso”. I corpi, i soggetti... gli uomini, tanto per intenderci e sfuggire una buona volta al gergo della French theory, non hanno alcuna consistenza e alcuna sostanza, alcuna identità certa e ragionevole e nessuna capacità di darsi un senso che non sia il movimento continuo, molecolare e atomistico, nel quale sono calati non si capisce come non si capisce quando e non si capisce perché.
È così che le pagine di Deleuze pullulano di rizomi, macchine desideranti, godimenti celibatari e di tutta una flora ed escrescenza linguistica che ha come unico effetto, nel lettore e nella figura del seguace che procede da un dipresso quella del lettore stesso, di mandare tutti nelle braccia accoglienti di ciò che solo garantisce questa fantasmagorica produzione di effettacci: il capitalismo e la sua capacità istrionica e metamorfica di inserirsi in ogni angolo dell’esistenza umana. Qua e la, come nella lunga conversazione sull’Anti-Edipo con Raymond Bellour, uno degli inediti più importanti presenti nel libro, ci scappa anche qualche bel fascistissimo «me ne frego», che serve per abbellire il gergo.
Alle spalle della filosofia di Deleuze ci sono problemi teorici enormi che meriterebbero una grande pazienza ricostruttiva. La sua innegabile intelligenza, la grande capacità di piegare ai propri scopi filosofie diverse e qualche volta in contrasto, hanno reso il suo pensiero un formidabile arsenale di concetti e discorsi che hanno lavorato con la consueta furbizia, tipica del 68, anche nel campo apparentemente avverso per poi andare a riscuotere l’interesse dovuto al potere vigente. Nulla da dire sulla probità individuale di Deleuze, ma se proprio dovessimo seguire la logica del suo pensiero, poco potrebbe lamentarsi la sua memoria se lo considerassimo uno dei migliori apologeti (insieme con Foucault e Derrida) del mondo così com’è, e questo dandosi pure l’aria di dire il contrario.