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IDEE. Del Noce: gli orrori dell'uomo di Marx

Dario Antiseri martedì 10 agosto 2010
Un punto essenziale che va subito precisato è che, di fronte alla linea Cartesio-Hegel-Marx, Augusto Del Noce (di cui ricorrono domani i cent’anni della nascita) ha proposto una diversa lettura della filosofia moderna. È un altro volto della filosofia moderna quello che Del Noce vede snodarsi da Cartesio in avanti per giungere a Rosmini e Gioberti passando attraverso Malebranche e Vico, un percorso che permette di recuperare la ricchezza tematica e la forza teorica del pensiero cattolico italiano dell’Ottocento – un pensiero in grado di contrastare quella dilagante secolarizzazione che fiorisce dall’abbraccio tra l’ateismo comunista e l’ideologia borghese nella loro lotta contro la religione cristiana.E grande fu lo scalpore suscitato dall’interpretazione che Del Noce dette del marxismo. Erano anni, quelli dal Sessanta in avanti, in cui la cultura marxista poteva dirsi sostanzialmente egemone. Egemone e in grado di risucchiare al suo interno sia gran parte del mondo cattolico che di quello laico. L’alleanza dei cattolici con i comunisti si basava sul rifiuto, teorizzato soprattutto da Franco Rodano, del materialismo storico e dell’ateismo marxista e sull’accettazione dell’analisi marxiana come scienza della società capace di offrire una oggettiva lettura della realtà sociale, lettura che, considerata appunto oggettiva, avrebbe messo nelle mani dei rivoluzionari lo strumento più adeguato per cambiare finalmente la storia dell’umanità. Se questa era la prospettiva del "cattocomunista", per molta cultura laica un marxismo depurato dai suoi tratti metafisici deterministici veniva a configurarsi come una forma di neoilluminismo quale punto di riferimento per progetti di rinnovamento sociale. E, dunque, «l’idea del socialismo liberale o dell’azionismo e quello del cattolicesimo comunista hanno questa radice comune: la convinzione che il marxismo possa essere riassorbito in una sintesi culturale di tipo superiore» (Rocco Buttiglione).Ebbene, di fronte a siffatta situazione, la reazione di Del Noce fu decisa, intransigente, e si sviluppa sulla base della convinzione che l’egemonia culturale dei comunisti era potuta crescere a motivo del fatto che sia i cattolici sia i laici non rivoluzionari, ma soprattutto i cattolici, non avevano sottovalutato la forza del pensiero filosofico di Marx. In Marx la filosofia, da contemplazione o comprensione della realtà, si trasforma in rivoluzione: un progetto destinato a cambiare dalle radici l’intero volto della storia umana. E se quel che conta, nella prospettiva rivoluzionaria, è il risultato politico, allora è chiaro che idee metafisiche, religiose e ideali etici o diventano semplici strumenti del progettato regnum hominis o sono rigettati come ostacoli alla creazione di questa nuova luminosa realtà totalmente umana. Non è possibile per il comunista pensare ad una verità trascendente da cui poter emettere un giudizio sul processo e gli esiti dell’azione rivoluzionaria. Quello che i cattolici non avevano compreso, ad avviso di Del Noce, è che la non-filosofia di Marx esige l’annientamento del cristianesimo. È un’ingenuità, insomma, distinguere il lato buono del marxismo (la proposta del rinnovamento sociale) dal lato cattivo (il corollario ateo). La realtà, afferma Del Noce, è ben diversa: l’ateismo in Marx non è un elemento di cui ci si possa tranquillamente disfare, esso permea di sé il suo programma dall’inizio alla fine. Il marxismo è il punto di arrivo del razionalismo europeo, di un razionalismo che elude, con una decisione arbitraria, il problema dell’esistenza di Dio, che rigetta senza alcuna argomentazione ragionevole il dogma del peccato originale e che, di conseguenza, eleva la politica a religione, istituzionalizza il culto idolatrico di una umanità divinizzata e pretende di realizzare, per mezzo della pratica della rivoluzione, «il Regno millenario della libertà». Da qui l’inconciliabile contrasto tra cristianesimo e progetto rivoluzionario marxista: è il "Regno di Dio" trasportato in questo mondo l’idea guida del rivoluzionario, la cui meta finale è la divinizzazione dell’umanità. E per realizzare questo "Paradiso in terra" ogni mezzo – anche il più atroce e disumano – è giusto e legittimo: tutto va cancellato e raso al suolo, unicamente dalle macerie del passato può sorgere il nuovo mondo. Ora, però – è questa la tesi sostenuta da Del Noce ne Il suicidio della rivoluzione – proprio perché, sulla base dell’eliminazione del dogma del peccato originale, il marxismo ha preteso di realizzare il "Totalmente Altro" sulla faccia della terra, esso è condannato al suicidio. La rivoluzione, dovendo fare tabula rasa – dato che, per dirla con il Mefistofile di Goethe, «tutto ciò che esiste è degno di perire» – è destinata a creare attorno a sé un deserto al cui orizzonte si staglia la triste figura del più spietato dittatore. E che la Rivoluzione – un evento, leggiamo ne Il problema dell’ateismo, che sulla negazione del passato prefigura «una società senza Stato, senza Chiese, senza eserciti, senza delitti, senza magistratura, senza politica» – sia un progetto distruttivo e autodistruttivo è un’idea che Del Noce ebbe il coraggio e la lungimiranza di proporre in anni in cui la dottrina marxista era egemone in Italia e in non pochi Paesi fuori Italia. Un’intuizione, la sua, che non molto tempo dopo doveva trovare conferma nel collasso storico dell’Unione Sovietica e nella più diffusa consapevolezza dell’insostenibilità teorica di quel "progetto gnostico" che, teso a rovesciare il mondo, è condannato ad un necessario autodissolvimento generatore di immani tragedie umane. Aveva pienamente ragione Paul Claudel: chi immagina per i suoi simili il paradiso in terra, sta in realtà preparando per loro un molto rispettabile inferno.