Agorà

ANNIVERSARI. Del Noce il liberale solitario

Giovanni Tassani giovedì 19 novembre 2009
Nell’Italia del dopoguerra con le famiglie politiche rinasce la volontà di accompagnare culturalmente lo sviluppo della democrazia. I giovani si organizzano per vivere l’esperienza della libertà sia pur in uno scenario di recente distruzione e dolore. Si è potuto parlare di una «età delle autonomie giovanili» nei campi della scuola, dell’università, del lavoro. I «gruppi giovanili» della Dc saranno un esempio traente di tale attitudine: essi si consideravano la «terza generazione» presente sulla scena politica, dopo la prima, formatasi nel pre-fascismo, e la seconda, cresciuta nel Ventennio, senza esperienza di libertà. Augusto Del Noce, già adulto all’epoca, può essere considerato un influente su questa generazione, proiettata a vivere il futuro italiano. Il suo pensiero scorre in parallelo, e alternativo, a quello di due amici cattolici schieratisi a sinistra: Felice Balbo e Franco Rodano. Per Del Noce, studioso precoce del marxismo, questo è incompatibile con il principio di libertà; per Balbo va relativizzato e usato laicamente come mezzo per dirimere le questioni sociali; per Rodano va mantenuta una fedeltà ai lavoratori organizzati, tentando di disinnescare il meccanismo ideologico dall’interno del Pci. Quando Dossetti, che aveva suscitato le speranze dei giovani Dc in un grande cambiamento, nel ’51 rinuncia alla politica, Balbo, a sua volta uscito dal Pci, svolge un’opera maieutica su quegli stessi giovani, trattenendoli dal disimpegno e tentando di affrontare i temi della crisi che il mondo diviso in due dalla guerra fredda stava vivendo. Del Noce è vicino a Balbo, e lavora su alcuni concetti chiave: totalitarismo, post-fascismo, risorgimento. Se nell’Ottocento il contrasto era tra reazione e progresso, nel Novecento questo diviene per Del Noce contrasto tra totalitarismo e libertà. Una libertà oltre Croce, non immanentista, altrimenti a rischio di divenire integralismo laicista, ma aperta alla trascendenza, contro un totalitarismo, di destra o di sinistra, che ingloba i valori e diviene controreligione, con la pretesa di esaurire la storia. A Bologna a più riprese negli anni cinquanta, distaccato presso il Centro fondato da Dossetti, col quale però, come prima di lui Balbo, non riesce a intendersi, Del Noce frequenta i giovani del Mulino, con i quali converge, tra ’57 e ’59, scrivendo saggi impegnativi sulla loro rivista. Anche loro si considerano «terza generazione» sulla scena italiana e rifiutano massimalismo e neo-azionismo, per una linea realista, da Cavour a De Gasperi, diversa da una linea Gobetti-Gramsci, che sta invece divenendo dominante tra gli intellettuali italiani. Per Del Noce occorre proseguire De Gasperi, fortificando l’intesa tra cattolici non integralisti, liberali non laicisti, socialisti non marxisti. Essere liberali, ossia non radicali. È una necessaria revisione non solo politica, ma filosofica, un lavoro sui principi. Ma quando i giovani Dc, dopo anni di crisi che li ha visti opporsi o sfuggire al segretario Fanfani, chiamano Del Noce al loro convegno di studi al Sestrière, agosto ’57, la linea è già stata segnata, un mese prima a Vallombrosa, dallo stesso Fanfani: e non potrà che sfociare a sinistra. Del Noce non sarà capito; la «terza generazione» Dc è ormai divisa: o inserita nel partito adulto, senza più problemi culturali, o, pur cresciuta in Università Cattolica, con la corrente di sinistra di Base teorizza tesi laiche che si confondono con quelle neo-azioniste del Mondo o del Ponte, ben al di là della distinzione dei piani di Maritain, o infine, oltrepassando gli stessi intenti dell’ispiratore Rodano, ha lasciato la Dc per il Pci. Del Noce incontra in questa fase Gianni Baget Bozzo, già protagonista della «terza generazione», che ora anima una rivista critica dell’apertura a sinistra, L’Ordine Civile, e vi scriverà alcuni saggi pregnanti, uno dei quali, Idee per l’interpretazione del fascismo, sarà all’origine delle future revisioni storiografiche di De Felice e Nolte. Il fascismo è fenomeno del passato: occorre essere obiettivamente post-fascisti (cioè antifascisti, ma senza caricare ideologicamente sull’oggi tale giudizio storico). Ma sono i tempi dell’avvento di De Gaulle oltralpe e, in Italia, dell’incidente Tambroni: e il «mostro» fascista viene dato ancora per vivo. E si mobilitano le piazze, come a Genova. Ritorna l’antitesi, per Del Noce ottocentesca, tra progresso e reazione, che consente di vedere nel mito fascista il nemico «borghese» e nel comunismo invece una fase necessaria nella storia del progresso umano. La gran corsa degli anni sessanta sul piano inclinato a sinistra è iniziata. Magistero sfortunato per Del Noce in anni in cui il senso della libertà è sottovalutato rispetto a quello di giustizia. Non a caso i liberali vengono isolati a destra, per volontà dei loro concorrenti radical-repubblicani e socialisti ex azionisti. Se poi Del Noce, nel centenario dell’Unità d’Italia, proverà a evocare la figura di Gioberti come filosofo politico della nazione atto a interpretare il risorgimento come «restaurazione creatrice» anziché «rivoluzione», più o meno compiuta, troverà solo critiche e dissensi. La «terza generazione», sensibile a questi temi di identità nazionale, si è ormai scomposta o dissolta: una «quarta generazione» non ci sarà, o almeno non riuscirà a darsi forma e credibilità.