Lucas Debargue ha 24 anni, un paio di baffetti da spy story e due mani grandi come albatros. Nei primi giorni di luglio ha fatto andare in delirio il pubblico del concorso Caikovskij, a Mosca, con un pianismo visionario e una immedesimazione totale nella musica. «Lucas Debargue è la vera rivelazione del concorso», ha detto Denis Matsuev, che il Caikovskij lo vinse nel 1998 e che nei giorni scorsi sedeva in giuria: «Se ci fosse stato un vincitore dopo ogni round, lui sarebbe stato quello del secondo. Il suo Ravel è qualcosa che non si è mai ascoltato durante l’intera storia del concorso». Un
Gaspard de la nuit estremo, che suona come un quadro di un espressionista astratto, in cui anche i silenzi sono ruvidi come i grumi di suono.
Ma Lucas è molto più che il classico outsider. Qualcuno l’ha definito «un miracolo ». Non è un concertista in carriera, al suo attivo ha solo la vittoria in un concorso in Francia. Per campare suona jazz nei locali di Parigi. La sua tecnica è bizzarra, la sua diteggiatura anarchica. Non è il killer della tastiera a cui ci hanno abituato i concorsi di questo livello. È la prima volta che suonava con un’orchestra (fatto che, nella finale, lo ha «tradito»). E si scopre Lucas è un pianista semiautodidatta, che ha imparato a orecchio impervi brani di autori russi ascoltandoli dai dischi. Che ha scoperto il pianoforte a 10 anni per abbandonarlo a 15 a causa di un adolescenza depressiva. Per riprendere a studiarlo «davvero» solo a 20, quando Rena Šereševskaja, la sua attuale insegnante, lo scopre a Compiègne, cittadina della Piccardia da cui proviene, in occasione della Festa della Musica. «Suonava la Terza sonata di Prokof’ev – ha raccontato la Šereševskaja – senza avere mai visto lo spartito». Il ragazzo non ha dita ma il virtuosismo è supersonico. Un talento purissimo allo stato brado. Rimane folgorata. E gli promette: in quattro anni ti porto al Caikovskij…Ce n’è abbastanza per un film. Con un finale aperto: Lucas non vince il concorso (per la cronaca, al primo posto è salito il russo Dmitrij Masleev). Vince però il gran premio della critica «per il suo dono unico, la sua libertà creatrice, la bellezza delle sue interpretazioni». Nella classifica è quarto: la giuria si divide e si inventa due secondi posti e due terzi posti ex aequo per non farlo figurare sesto... E intanto sul web tutti parlano solo di lui. Tra i giurati esce allo scoperto Boris Berezovskij, per il quale Lucas «è geniale». Ma Lucas è davvero un diamante grezzo. Due anni ancora di duro lavoro, dice Dmitrij Baškirov, anche lui in giuria, e potrà diventare uno dei più grandi. Abbiamo raggiunto Lucas Debargue in Russia, il giorno dopo un concerto tenuto al Teatro Marinskij di San Pietroburgo. Su invito di Valerij Gergiev, deus ex machina del concorso, che già lo aveva voluto nella serata di gala dei premiati, fatto inaudito. Al telefono è un fiume in piena. E racconta di una vita totalmente immersa nei suoni: «Quando avevo dieci anni ero già nella musica. Mi era sufficiente appoggiare le dita sulla tastiera per conoscere lo stato di trance. Mi è impossibile separarmi da lei. Io credo nell’anima, e tutto ciò che importa è la mia anima. Posso non dormire e non mangiare, ma non posso passare giorno senza nutrire la mia anima». Se non proprio una visione mistica della musica, di certo è una fame divorante di bellezza: «Suonare è la ricerca della verità. Quando mi siedo al pianoforte devo essere totalmente coinvolto nella musica, altrimenti non riesco a toccare tasto. Ciò che non è musica è solo distrazione. Attraverso la musica posso elevarmi e provare cosa sia la dignità dell’uomo. Voglio fare qualcosa di grande, di bello. Per questo non posso mentire». Una tensione alla perfezione che ha richiesto, e richiede, sacrifici: «Ho iniziato a studiare da solo. Poi la mia prima insegnante mi ha fatto leggere moltissimo». Ma Lucas è irrequieto. I genitori si separano («Non hanno mai avuto interesse in quello che facevo»). A quindici anni smette di andare a lezione e comincia un lungo cammino in solitaria: «Da adolescente ho lavorato moltissimo. Non avevo amici, passavo il tempo a suonare da solo. Ho ascoltato molta musica in quegli anni. Ero appassionatissimo, quasi masochista: certi pezzi dovevo farli miei a ogni costo. Dolore nelle dita e sangue sulla tastiera. Ho sempre avuto una grande facilità di apprendimento, sono abilissimo nella lettura a prima vista. Per me la cosa veramente difficile è la disciplina: tutta questa velocità è un problema». Con Rena Šereševskaja, docente russa apprezzata a livello internazionale, il lavoro è duro. Ma punta a fare uscire tutte le potenzialità di Lucas, non a trasformarlo in altro. Nella finale, durante l’esecuzione del primo Concerto di Caikovskij, un’insegnante moscovita è uscita dalla sala esclamando ad alta voce di non poter resistere ad 'ascoltare il pezzo suonato da qualcuno che evidentemente non era stato ben istruito'. Sotto la tastiera di Debargue cadono molte note. Ma non è questo che importa: «Avrei voluto anch’io essere un ragazzo russo, studiare otto ore al giorno da quando hai cinque anni… Sono lontano dalla perfezione, lo so. Farò di tutto per essere più pulito, più sicuro. Ma l’arte non è questo. Se ascolti i grandi del passato ti accorgi che facevano tanti errori. Oggi c’è una una generazione di pianisti con una grande tecnica, ma in cui tutto è minerale. Ma non c’è vita: dove è il tuo rischio, dove la tua anima che brucia, dove è lo splendore? Ma credono davvero in quello che fanno? Mi sembrano funzionari della musica. Bisogna vivere nel suono. La musica è fatta per andare più in alto».