A due secoli dalla morte. Leggere De Maistre oggi: conservatore e "papista", ma moderno
Carl Christian Vogel von Vogelstein, “Joseph de Maistre” (1810 circa)
Ha ancora senso leggere Joseph de Maistre nel XXI secolo, a duecento anni dalla sua scomparsa, avvenuta a Torino il 26 febbraio del 1821? Esiste forse qualcosa di più anacronistico del pensiero di questo grande oppositore dell’Illuminismo e cantore della Controrivoluzione? In un Occidente laico e secolarizzato com’è oggi, merita attenzione un pensatore che nel 1819 licenzia un testo come Il papa (Rizzoli), che inneggia a un’Europa cristiana guidata dal successore di Pietro, tesse l’elogio del boia e annuncia, anzitempo rispetto al Concilio Vaticano I, il principio dell’infallibilità papale? Se nel mondo occidentale trionfano i diritti dell’uomo, il messaggio universalista e l’«ethos cosmopolitico» nelle Considerazioni sulla Francia (Editori Riuniti), pubblicato a Losanna nel 1796, de Maistre assicura invece di aver «visto nella vita francesi, italiani, russi, di sapere perfino, grazie a Montesquieu, che si può essere persiani: ma per quanto riguarda l’uomo, dichiaro di non averlo incontrato nella mia vita». Ignorare l’esistenza dell’uomo, per de Maistre, significa lanciare un attacco contro il pensiero astratto che prende il sopravvento col secolo dei Lumi innalzando a idolo l’essere umano astratto, privo di corpo e storia, sradicato dal popolo e dalla cultura.
Sulle prime niente parrebbe più antiquato di questo pensatore savoiardo, eppure, e forse per questo, continua a parlare a un’Occidente ormai preda della disillusione e del disincanto. Erede dell’Illuminismo massonico del XVIII secolo ispirato a Saint-Martin, Joseph de Maistre è ben consapevole dell’importanza della tradizione platonica e agostiniana. E non potrebbe essere diversamente da lettore appassionato di Origene e dei mistici medievali, affascinato da san Francesco de Sales e da Fénelon, come sottolinea Alfredo Cattabiani, uno dei suoi maggiori interpreti italiani.
Nato a Chambéry nel 1753, fino a oltre i quarant’anni de Maistre non pubblica praticamente niente. A scatenare la verve polemica sarà proprio la Rivoluzione francese, cesura col mondo passato. Consigliere politico del re di Sardegna dal 1792 al 1821, Joseph de Maistre proviene da una schiatta di recente anoblissement, a prova che la nobiltà non la fanno il sangue e il lignaggio ma il coraggio e la dirittura morale. Dal 13 maggio 1803, dopo una breve parentesi di esilio elvetico in fuga dalle baionette napoleoniche e due mesi di viaggio attraverso l’Europa, si trasferisce in Russia dove rappresenta, in qualità di ministro plenipotenziario, il Regno di Sardegna alla corte di Alessandro I. Nella terra degli zar non si dedica solo alle attività diplomatiche, ma ha modo di frequentare importanti salotti tra cui quello della signora Svecin-Sojmonov.
Durante gli anni russi compone la sua ultima opera, Le serate di Pietroburgo (prima Rusconi e poi Aragno), una variazione sul tema del governo temporale della Provvidenza. Se Salviano di Marsiglia redige il suo De gubernatione Dei con l’Impero romano vacillante, il savoiardo riflette sul ruolo della Provvidenza con l’Ancien Régime ormai schiantato. È indubbiamente arduo trovare un autore tanto lontano dalla sensibilità filosofica e politca contemporanea eppure non manca di ammiratori, da Chateaubriand, Madame de Staël a Auguste Comte, Sainte-Beuve, e Barbey d’Aurevilly, da Paul Valéry a Baudelaire, che lo eleva a suo maestro alla pari di Edgar Alan Poe. Sorprende invece di trovarci, tra gli estimatori, Roland Barthes anche se Antoine Compagnon non aveva esitato a incastonarlo tra gli antimoderni e George Steiner che vede in de Maistre un sensibile diagnosta in grado di cogliere l’impotenza della ragione e la solitudine postmoderna.
Non manca neppure un aureo 'esercizio di ammirazione' di Cioran (edito da Medusa col titolo Saggio sul pensiero reazionario) che pone il teorico controrivoluzionario in un arco ideale che va da Nietzsche a san Paolo, considerandolo «il più appassionato e più intollerante fra i pensatori». Radicalità che lo porta, pur nella fedeltà a Sancta Romana Ecclesia a rompere, su alcuni punti, con il dogma ufficiale, in particolare sul tema del sacrificio, sulla scia di Origene. Se ne occuperà in breve e eruditissimo saggio, che per quanto poco conosciuto e quasi del tutto dimenticato fu ben apprezzato da René Girard: nel Chiarimento sui sacrifici (Biblioteca dell’Immagine Editore) affronta con lucidità la reversibilità dei dolori degli innocenti a vantaggio della salvezza dei colpevoli.
Tanta erudizione non mette in sordina lo stile ironico e battagliero di Joseph de Maistre quale erompe in una strana opera intitolata Cinque paradossi( Morcelliana), risalente al 1795 e dedicata a una ignota Madame la Marquise. Con uno stile brillante il filosofo savoiardo si batte contro le opinioni prevalenti. Non esita, nell’ultima di queste stoccate, a colpire una delle icone del pensiero di allora e di oggi. «Locke è famoso in quanto noi siamo abbrutiti e tali noi siamo perché gli abbiamo creduto» assicura a chi non manca di stupirsi per il successo di autori molto mediocri. L’attacco alla cultura inglese non si arresta qui. Per de Maistre a essa si deve il trionfo dello scientismo, come mostra in una sua opera postuma in due volumi dedicata a Francesco Bacone, insieme all’empirista inglese fondatore del «piatto pensiero fisico moderno», ebbe a dire uno suo dimenticato studioso, Adolfo Omodeo.