Agorà

Spiritualità. Charles De Foucauld e la lingua del deserto

Carlo Ossola sabato 14 novembre 2020

Charles de Foucauld nel deserto dell'Ahaggar

Il riconoscimento ufficiale (27 maggio 2020) di un miracolo – avvenuto il 30 novembre 2016, vigilia del centenario dell’assassinio, il 1 dicembre 1916 – porterà presto alla canonizzazione di Charles de Foucauld, dopo la beatificazione proclamata il 13 novembre 2005. Charles de Foucauld (Strasburgo 1858 – Tamanrasset 1916) è come l’ultimo degli eredi dei “tre ordini” della società di Antico Regime: nobiltà di famiglia, servizio nell’esercito e poi nella Chiesa. Fu infatti ufficiale di cavalleria nella celebre École de Saumur, inviato in Algeria, poi esploratore in Marocco. Tornato a Parigi si converte grazie all’abbé Huvelin (1886): cercando solitudine e imitazione di Cristo si fa monaco in una trappa in Siria nel 1892, poi prete nel 1901; ritorna infine in Africa, prima a Béni-Abbès, nella regione di Orano, ove fonda una Fraternità, e dal 1905 à Tamanrasset, nell’Hoggar, ove morirà nel 1916.

Consacrò la sua vita all’ascolto e al servizio del popolo Tuareg, di cui ha illustrato la lingua e la poesia, con uno slancio di fraternità: scrivendo a Henry de Castries il 29 novembre 1901, egli non si propone altro che di creare luoghi di eremitaggio che siano la Khaoua, “la fraternité”, poiché «Khouïa Carlo est le frère universel. Priez Dieu pour que je sois vraiment le frère de toutes les âmes de ce pays». In effetti la sua opera principale, i quattro volumi manoscritti del Dictionnaire touareg– français. Dialecte de l’Ahaggar (pubblicati postumi in edizione fototipica nel 1952 dall’Imprimerie Nationale) non sono soltanto il registro d’una memoria collettiva e il patrimonio linguistico di un popolo e di una civiltà; sono soprattutto il frutto di un ascolto appassionato, di una visione luminosa, di una fedeltà incondizionata all’uomo.

L’antologia tematica che ora per la prima vota si pubblica, Des pierres feuilletées. Anthologie thématique du Dictionnaire touareg-français. Dialecte de l’Ahaggar (Lambert-Lucas, pagine 288, euro 20,00) mette in cammino verso i cieli, i deserti, l’intimo pulsare della creazione. Per chi legge, arricchisce non solo la lingua di sfumature e di palpiti, ma offre alle cose un volto nuovo, che sa di essenza intima, invisibile all’occhio esteriore. Occorre dunque percorrere questo Dizionario come uno dei più intensi inni alla bellezza del creato, nella trasparenza di uno sguardo che non è guidato dal desiderio ma dall’accoglienza di “tutto ciò che viene incontro”, dai raggi del sole ai riflessi delle chiome dei cavalli: «semekket: […]: brillare, essere lucente (soggetto essendo il sole, la luna, una stella, un baleno, un fuoco, una fiamma, uno specchio, del vetro, del metallo lucidato, dell’acqua tersa, di una stoffa satinata, di un oggetto verniciato, di una superficie di stoffa luccicante, di pelle, del candore della carta, dei capelli o della pelle di una persona, del pelo di un cavallo, di tutto ciò che brilla o riluce, di colore chiaro o anche saturo) || per estensione: rifulgere di candore (soggetto essendo una stoffa bianchissima, una carta immacolata, dello zucchero o del sale, un cavallo o un cammello nivei, etc.)».

Questo lento volgersi all’essenziale è animato da una sete di unione che suscita sovente uno slancio di condivisione che va oltre il concetto descritto: «aser [...] si dice, per esempio, di qualcuno che unisca le dita della mano, o congiunga i piedi o le ginocchia, che stringa la sua mano a quella di un’altra persona; per estensione: “unire (per amicizia, affetto, amore) delle persone» || “unire (per questioni d’interesse, o di denaro) delle persone” || “unire (con dei legami di parentela) delle persone”, “accoppiare (unire per la generazione)” || “congiungere la notte con il giorno” (in un viaggio, in un lavoro)».

Nel silenzio del deserto, la parola è insieme pronuncia ed eco, musica che si perde, miraggio d’infinito, Ó‘ouâl: « el aouâl: “tenere parola” significa talvolta “tenere alla parola (essere fedele alla propria parola, alla parola data)”; “aver parola, autorità (in un paese, presso della gente)”, “avere la propria parola ascoltata con rispetto, fiducia, considerazione (in un paese, una tribù, un insieme di persone)”». Ma ciò che più conta, ed è più prezioso, è la piccolezza, l’umile resto che nessuno vede: «semmedri [...] rimpicciolire || può talvolta tradursi con ridurre (di dimensione) una cosa che esiste già o render più ridotta una cosa che non esiste ancora; mantenere nel piccolo (detto di posizione sociale) qualcuno la cui posizione sociale è modesta || semmeá ¸ ri, quando si riferisce a imân“ anima” significa abbassare la propria anima e può avere tre accezioni: “abbassarsi (agli occhi degli altri, facendo azioni prive di saggezza); umiliarsi (nella stima di sé, per umiltà interiore, essere umile interiormente); mostrarsi umile (in parole e attitudini, per umiltà esteriore, essere umile esteriormente)».

Quest’umiltà non è più solo vocabolario ma vita: «zegzen [...] rimettersi interamente a (abbandonarsi interamente e con piena fiducia e abbandono a…; contare pienamente, rimettendosi, su… (una persona, un animale, una cosa) || per estensione: “abbandonarsi [a Dio, alla volontà divina, – sotto intesi]; rimettersi [a Dio, alla volontà divina]”». Nella parabola di Charles de Foucauld, questo aderire alla parola dell’altro è stata una silente e ardente veglia, di attesa e di compimento: « edel [...] sperare in [Dio o una persona] ; sperare [qualcosa] da [Dio o una persona] ||per estensione: “arrivare di notte in [un luogo]; arrivare di notte presso [qualcuno]”. Si impiega in questo senso quale che sia il motivo per il quale si arriva di notte da qualche parte o presso qualcuno, che si sia attesi o meno || per estensione “mendicare [richiedere come elemosina] qualcosa a [qualcuno]”. Si dice dei poveri che vanno mendicando». Non resta, con Charles de Foucauld, che domandare questa elemosina, e questa saggezza: «La condizione dell’amore, è il silenzio » (Chants touaregs).