Anticipazioni. De Certeau, un gesuita fra gli yankee
È sempre un po’ difficile parlare degli Stati Uniti, data la molteplicità degli stati e delle esperienze. Parlerei piuttosto di San Diego, cosa più modesta ma già enorme. Ciò che mi sembra caratteristico degli studenti o degli insegnanti con cui lavoro è una relazione molto sorprendente tra una forte immaginazione, una creatività poetica, una grande libertà rispetto al passato, una capacità di innovare, e, dall’altra parte, una tecnologia dell’insegnamento universitario americano che è più compartimentata e sistematica dell’università francese. Vi è una tensione permanente tra questa immaginazione creatrice e il quadro rigoroso, compartimentato e tecnico organizzato dall’università americana. In una università francese, vi sono maggiori esperienze culturali e ideologiche ma meno immaginazione e spesso meno tecnologia nell’insegnamento universitario. Un altro tipo di esperienza per me molto importante è l’assenza di coscienza storica, che si constata senza dubbio di più nel sud della California, a San Diego. Non è che gli individui non abbiano storia, ma la loro storia è completamente disseminata. Essa è frammentata in esperienze individuali, l’una ucraina, l’altra italiana, l’altra ancora messicana... non ci sono punti di riferimento comuni. Pertanto queste storie sono a un tempo nascoste e frammentate nel segreto dell’itinerario di ciascuno; esse non hanno un linguaggio collettivo. Non c’è coscienza storica collettiva. Non esistono quei pesi enormi che in Francia, Germania, Italia rappresentano le esperienze collettive; per esempio quelle della guerra, del massacro, delle lotte intestine ecc..., o quel gravame genealogico di una storia all’interno della quale si deve giocare. Ciò conferisce all’esperienza di studio o universitaria un carattere di contemporaneità molto più grande. L’esperienza è al contrario fortemente segnata dall’esorbitazione dell’istante, dall’esaltazione del presente. O meglio – ma è un’altra forma della medesima struttura – dalla necessità ascetica di trarre profitto o di ottenere un utile immediati. È necessario produrre, sùbito. Si è giudicati su ciò che si produce; si è ciò che si produce.
Cosa resta del SessantottoAnalizzato a distanza di tempo, il Maggio ’68 è stata una delle ultime grandi proteste a presumere che con la parola si possa fare la storia. E che con un discorso, con dei progetti, si possa modificare la realtà di una società. Questa era l’ambizione del Maggio ’68. Avevo paragonato la presa della parola con la presa della Bastiglia ecc... In effetti era un’attività simbolica e si pensava che a partire da questa rivolta simbolica si sarebbe cambiata la società. Tale è stata la nostra esperienza in tutta una serie di gruppi gauchistes, a cui ho appartenuto, gruppi politici e intellettuali, a Vincennes, per esempio, dato che agli inizi ho insegnato a Vincennes. Noi pensavamo che, a partire da quelle posizioni, avremmo trasformato a poco a poco la società. Il Maggio ’68 fu anche – ed è ciò che ho analizzato ne La Prise de Parole – la demistificazione della rappresentazione, la critica fondamentale dell’ideologia secondo cui si può, intellettualmente o politicamente, essere rappresentati. Ma in fondo, questa demistificazione è stata molto più forte di quanto non si credesse. E ciò che si è imposto è stato un sistema tecnologico. Questa immensa rete muta non è certo priva di a priori ideologici; ciononostante non è un’ideologia. Questa rete tecnologica non è attingibile in quanto ideologia. Si può dire che, da allora, quello che si è accentuato è anche la demistificazione dell’idea rivoluzionaria, cioè l’idea che la società possa essere trasformata a partire da un modello politico e sociale. Da questo punto di vista, un cambiamento è avvenuto. Ma non a causa del Maggio ’68. Il Maggio ’68 è piuttosto un sintomo di una evoluzione che era in corso. Il Maggio ’68 è stato a un tempo la demistificazione del discorso e la pretesa di rifare una società a partire da una parola: la prima è cresciuta e la seconda è crollata a poco a poco.
«Arcipelago Gulag» e la fine delle utopieL’evento culturale più importante dopo il ’68? In Francia, è probabilmente quello catalizzato da Arcipelago Gulag, il libro di Solzenicyn. L’esistenza dei campi di concentramento sovietici era nota da tempo; si sapeva già da prima della guerra, ma ciò non aveva avuto un’eco nazionale. Il Gulag simbolizza, al contrario, con i suoi campi, la grande demistificazione del riferimento a Est, cioè ai paesi rivoluzionari situati a Est (di volta in volta l’Unione Sovietica, la Cina, il Vietnam) che fino ad allora avevano autorizzato una speranza rivoluzionaria. Questi paesi erano come i fondi-oro che garantivano i discorsi rivoluzionari: ciò che c’era già là poteva riprodursi anche qui. Il Gulag, il campo di concentramento, ha demistificato questa realtà mitica e forse, più in generale, il mito di un miglioramento della storia. È un fenomeno fondamentale, che ha molte ragioni (lo sviluppo dell’“ordine” tecnologico, la crisi economica ecc...). La geografia simbolica dei riferimenti socio-politici marxisti si è disfatta. Si è avuta anzitutto una demistificazione dell’Urss, poi della Cina, poi del Vietnam ecc... L’idea che vi fosse da qualche parte nel mondo una regione che garantiva già la speranza di un miglioramento socio-politico si è frantumata, e l’enorme diffusione di Arcipelago Gulag è stata il fragore di questa caduta.
Il ritorno della religione, legata alla politicaNon è semplicemente un fenomeno cristiano. In Iran, Libia ecc... le correnti religiose acquisiscono una forza e una importanza politiche notevoli. Ma se ci si attiene ai paesi di cultura cristiana, l’importanza maggiore acquisita dai fenomeni religiosi appare legata al degrado delle istituzioni politiche, o alla loro non credibilità. È particolarmente vero nei paesi latino-americani, dove dopo dieci anni si moltiplicano regimi autoritari e militari che minano improvvisamente la credibilità dell’autorità politica e che sopprimono tutte le istanze sociopolitiche che abbiano una espressione o rappresentazione democratica. La perdita di credibilità delle istituzioni politiche e, d’altra parte, l’assenza di apparati di espressione democratica, fanno rifluire verso il religioso ciò che non può trovare una espressione nella politica. È un fenomeno molto importante. Ma penso che la questione abbia una portata più generale e oltrepassi il caso dei paesi totalitari. Così, negli Stati Uniti, si sa già da vent’anni che vi è un degrado delle istituzioni politiche. Per esempio, il celebre libro di Hirschman, Exit and Voice, mostra che la rappresentanza delle forze del paese si esercita oggi meno nel campo politico che nel campo economico: rappresentanze di consumatori ecc... Vi è una diminuzione dell’importanza della rappresentanza politica. Molto più accentuata, dal Vietnam al Watergate, la diminuzione della credibilità delle istituzioni politiche rafforza il ruolo delle formazioni di tipo religioso. In fondo, il discorso politico e il discorso religioso si assomigliano molto. Sono discorsi di simbolizzazione generale, discorsi globali, che articolano la vita privata e la vita pubblica in funzione di interessi fondamentali come la felicità, il progetto collettivo, il senso del lavoro ecc... Si constata anche questo fenomeno, apparentemente strano: quando la politica cala, il religioso avanza, e quando al contrario la politica avanza, il religioso cala. Oggi l’importanza crescente del religioso sembra legata al fatto che il funzionamento delle istituzioni politiche è meno credibile. È un problema molto grave. Il religioso appare come un palliativo e un sintomo, un fenomeno transitorio, e spesso regressivo. Bisogna aggiungere che la politica presuppone una capacità, almeno parziale, di controllare la violenza delle cose e di modificare l’organizzazione delle forze. Oggi, le costrizioni imposte dall’economia internazionale e dallo sviluppo tecnologico creano spesso un sentimento di fatalità. La fiducia di poter gestire e migliorare queste costrizioni diminuisce, e dunque viene meno la ragione medesima della politica. Si ritorna allora al religioso per attendere una salvezza che venga dal di fuori, o per consenso a una situazione che sfugge al controllo umano, o per un ritorno a convinzioni interiori che non possono più tradursi in interventi socio-politici. Il religioso sarebbe la radicalizzazione di una impotenza storica. Comunque sia (sono questioni complesse che tento di analizzare in Fabula mistica, riguardo al rapporto tra i movimenti mistici e la crisi della civilizzazione dei XVI e XVII secolo), rimane un problema centrale che schematizzerei brutalmente così: il religioso manifesta interrogativi fondamentali, ma non è più capace di gestirli.
Svaghi, televisione, letture: Borges e Philip DickI miei svaghi non sono fatti esclusivamente di letture... Adoro passeggiare... o la televisione – sono catturato dalla televisione. È anche una cosa pericolosa! Non so d’altra parte perché io sia catturato così dall’immagine. Perché l’immagine cattura fino a questo punto? Questa esperienza riguarda anche il rapporto tra il visuale e il testo, che per me non è semplicemente una questione teorica. Qual è dunque il rapporto tra la scrittura e, dall’altra parte, la seduzione – ancora più forte –, la captazione per mezzo delle immagini della televisione, anche se sono idiote? In effetti la captazione per mezzo delle immagini non è relativa all’interesse dell’immagine. Qualcos’altro è qui in gioco, in questi laghi in cui si apre lo spazio di qualcosa che non parla,in-fans. Dunque il primo tipo di svago, è questo. Un altro, è viaggiare. Andare altrove: altre persone, altri paesi, altre esperienze... Il lavoro tecnico, rigoroso, eremitico è necessario ma si deve poter respirare – inspirare, piuttosto: lasciar entrare l’aria che viene da altrove. E il mio, il mio modo, è quello di attraversare altri spazi e apprendere altre domande, che si inseriranno poi in questo lavoro tecnico. Occorre alienare il proprio piccolo sapere, provare a perderlo, praticare l’oblio che è vacanza e vuoto offerto ad altri. Per il resto, cosa leggo? Leggo i poeti. O certi romanzi di tipo poetico. Anch’essi sono aperture di spazi e viaggi. Per esempio, Marguerite Duras, o Beckett, o Borges, Philip Dick... Ma anche poeti, antichi o contemporanei, la sera, a fine giornata, prima di partire per altrove.