Scienza & filosofia. Darwin, il caso Wallace e la mano di Dio
Alfred Wallace e Charles Darwin
Forse nel lontano 1858 accadde tutto per colpa di una convenzione. Sì, per una convenzione talmente familiare da scambiarla per normale. Chi mai metterebbe in discussione la precedenza della lettera d sulla w? Anzi l’ordine alfabetico è il modo migliore per evitare discriminazioni e polemiche nella scansione di elenchi. Finì così che chiunque possedesse un cognome con w come iniziale finisse per forza di cose dopo uno con d al principio. Nessun sopruso poteva così addebitarsi ai maggiorenti della “Linnean Society” quando decisero di dare lettura, il primo di luglio del 1858, di alcuni documenti che proponevano una innovativa ipotesi sull’evoluzione. A quale di essi dare la precedenza? Niente di meglio che disporli in ordine alfabetico. È così che Charles Darwin si ritrovò davanti ad Alfred Wallace, allora e per sempre. Entrambi sostenevano che le trasformazioni nel tempo delle specie dipendessero dalla selezione naturale. Dei due però solo il primo, oggi, è noto. Dell’altro se ne sono perdute le tracce o quasi. E tutto per una convenzione, forse. TomWolfe, fustigatore delle mode culturali d’Oltreoceano, non condivide questa interpretazione, però. Tant’è che nel suo Il regno della parola (Giunti) insinua che la sorte di Wallace fosse dipesa da un sopruso classista.
Sarà andata secondo la versione del polemista americano? Talvolta i fatti non nascono da un’unica causa ma a generarli è un groviglio di condizioni. Così probabilmente anche la vicenda che coinvolse i due naturalisti quasi centosessanta anni fa. Chissà la reazione di Darwin, la mattina del 18 giugno 1858, quando tra le mani gli capitò una busta di un suo amico esploratore. Proveniva da un’isola vulcanica dell’arcipelago malese. Dentro, ben argomentata, trovava esposta l’idea che vagava nella sua mente da una ventina d’anni ma a cui non aveva ancora dato definitiva sistemazione. Ne aveva fatto cenno nell’Abbozzo del 1842, pubblicato dal figlio solo nel 1909, e in alcune let- indirizzate a Asa Gray. Nient’altro. Ora, invece, un collega come Wallace, senza titoli accademici e nemmeno nobiliari, avrebbe sciolto l’enigma. E per di più gli chiedeva di valutare il suo lavoro. E qualora l’avesse giudicato all’altezza, anche di inoltrarlo a sir Charles Lyell, presidente della Linnean Society, per dargli la debita eco. È da quando, nel 1836, fece ritorno dal viaggio intorno al mondo con il Beagle che Darwin provava a trovare una soluzione al problema della trasformazione delle specie.
La teoria dell’evoluzione in sé non era una novità. C’erano già stati il geologo scozzese James Hutton e anche Erasmus Darwin, nonno di Charles e di Francis Galton, ideatore dell’eugenetica. Senza dimenticare Jean-Baptiste Lamarck. Ormai dalla fine del Settecento si credeva che le specie esistenti di piante e animali fossero delle variazioni di specie precedenti. La questione stava altrove. Occorreva capire come avvenissero i cambiamenti. E la selezione naturale fu la risposta. Era da anni che Darwin ci lavorava eppure l’idea nella sua mente non era ancora chiara e distinta. Per quanto si arrovellasse sul problema quello che partoriva non lo convinceva del tutto. Non riusciva a trovare una risposta definitiva e soprattutto a darle quella sistemazione compiuta che arriverà solo nel 1859. Forse solo dopo avere letto il lavoro di Wallace. Anche nell’Abbozzo del 1842, pubblicato ora insieme a tutte le carte relative alla Comunicazione del 1858 (Darwin-Wallace) da Medusa nel libro L’origine delle specie (pp. 138, euro 15), le argomentazioni erano tutto fuorché limpide e convincenti.
Al contrario, invece, del contenuto della missiva e del saggio di Wallace. Se il naturalista gallese invece di spedire dalla Malesia il plico a Darwin l’avesse inviato agli Annals and Magazine of Natural History o The Literary Gazette and Journal of Belles Lettres, Arts, Sciences alla teoria dell’evoluzione non sarebbe stato accostato il nome di Darwin ma il suo. Avremmo probabilmente parlato di wallasismo e non di darwinismo. Nella mente di Wallace, allora, in preda a una crisi malarica sotto una tenda su un’isola dell’Oceano indiano di questi pensieri non c’era nemmeno l’ombra. Nessuna preoccupazione per successo e visibilità. Al momento gli interessava solo portare allo scoperto l’idea per conoscere la sua plausibilità. Quella di Darwin e quella di Wallace si corrispondono. L’idea della selezione naturale è presente in entrambi. Come evidenzia Riccardo De Benedetti, nell’introduzione di L’origine delle specie, sorprende, oltre allo stile, incerto uno e deciso l’altro, come nell’Abbozzo del 1842 di Darwin persista un orizzonte teologico. Oltre a emergere, dalle pagine di Darwin, la prospettiva di intelligent design, si staglia una concezione del divino, «non tanto nella teoria della evoluzione - scrive De Benedetti - ma nelle osservazioni che la sorreggono e ne motivano la formulazione», in cui compare un Dio distratto, che fa nascere le creature ma poi le abbandona al loro destino. Fu solo per ragioni alfabetiche, dunque, che nell’Inghilterra dell’epoca Darwin prevalse su Wallace?