Divina Commedia. Dante esoterico? Curioso, ma è più interessante il Dante economista
Giovanni Guida, "Apoteosi di Dante Alighieri a Firenze l'Amor che move il sole e l'altre stelle", 2020, grattage su graphia, particolare
«L’interpretazione di Dante è infinita», potremmo dire, riecheggiando un adagio ricorrente nell’esegesi biblica. E lo vediamo, più che mai, anche in questo settecentenario del poeta. Fra i tanti possibili, ci concentriamo qui su alcuni testi meritevoli che potremmo rubricare sotto etichette mai in immediato idillio reciproco: le letture esoteriche da una parte e quelle accademiche dall’altra, per scoprire forse anche inaspettati avvicinamenti.
Il primo volume è di Franco Galletti, La bella veste della verità: La dottrina iniziatica/ sapienziale di Dante e dei Fedeli d’Amore e la loro influenza intellettuale e politica (Mimesis, pagine 602, euro 32) Si tratta di un libro ponderoso, che aspira ad essere una sorta di summa di tante interpretazioni esoteriche di Dante (da Foscolo, a G. Rossetti, a F. Perez, a Pascoli e a Valli). Possiamo anche non essere d’accordo con tutte le tesi espostevi, ma vanno riconosciute la probità e la chiarezza di Galletti, che si muove con rigore e largo sguardo. Colpisce anche l’onestà intellettuale dell’approccio, che non vuole essere semplicemente apologetico o pro domo sua, ma cerca sempre di sceverare, motivare e sfumare, cosa rara nelle interpretazioni “esoteriche”.
Molti gli spunti interessanti del volume che prende sul serio l’aspetto iniziatico e profetico dell’avventura dantesca, troppe volte sottovalutato. Galletti convince quando ci ricorda che la memorabile terzina finale del poema «ma già volgeva il mio disio e ’l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’amor che move il sole e l’altre stelle» può significare anche «come la chiusura di un cerchio (“sì come rota”) grazie alla quale Dante ormai trasformato ridiscende in questo mondo per la sua missione profetica», inverando quanto detto all’amico Casella: «per tornar altra volta / là dov’io son, fo io questo viaggio» (Pg II, 91-92).Nei mirabili versi rilucerebbe tra l’altro il mistero di Io Sono, nome divino cruciale dell’Antico e Nuovo Testamento, tra YHWH e l’ego eimì cristico, allusione a quel «trasumanar«, a quella divinizzazione-umanizzazione che è lascito centrale del viaggio dantesco, destinato non solo a pochi gnostici, ma all’umanità tutta.
Anche la vexata quaestiodei Fedeli d’Amore è trattata con ampio respiro. Secondo Galletti i poeti legati alla presunta congregazione “scenderebbero in politica” per contrastare una deriva teologica, morale, antropologica del loro tempo. Si delineerebbero così due schieramenti contrapposti: quello imperiale, con, tra gli altri, Arrigo VII, l’Ordine Templare, Cangrande e altri vicari ghibellini del Nord Italia, i Francescani della corrente più radicale, insieme con Dante e gli altri poeti, contrapposta a quella “anti-tradizione” del nascente Stato nazionale francese, con Firenze, i comuni guelfi, il Sud Italia di re Roberto e gli Angioni. Magari resteremo scettici sui Fedeli d’Amore, ma così lo sguardo si fa più panoramico.
Sono tante le intuizioni del libro: Virgilio cantore dell’impero ma anche erede della tradizione orfico-pitagorica e quindi ideale pontifex tra politica e interiorità, tra classicità e cristianesimo; il ruolo dell’Impero come funzione trascendente, archetipica, legata all’idea divina di Giustizia, da incarnarsi costantemente nella storia, e ancora l’Impero come monarchia mundi e come katéchon (“ciò/colui che trattiene”) di fronte all’avidità della lupa-cupiditas e dei particolarismi distruttivi; la Retorica e il Diritto quali “arti sacre” tradizionali, che devono favorire e custodire amore e giustizia, il sacerdotium e l’imperium, realtà non solo esterne e politiche ma anche interiori ecc. Non si tratta di condividere tutto, ma di vedere la serietà dell’operazione.
Chiude il volume una magnifica postfazione dell’islamologo Alberto Ventura, che torna su possibili raffronti tra i Fedeli d’Amore d’oriente con quelli d’occidente. Su questa linea di studi citiamo anche due pregevoli volumi di Edi Minguzzi, Il Dizionarietto dantesco. Le parole ermetiche della Commedia (Scholè, pagine 320, euro 21) e Viaggio nella “Commedia”. Gli universi di Dante (Bolis, pagine 176, euro 22), che coniugano acribia filologica con un’indagine acuta e mai banalizzata della fondamentale “sorgente ermetica” del poema. Il neoplatonismo cristianizzato, l’astrologia, le corrispondenze planetarie, l’ermetismo e l’alchimia sono restituiti, con dovizia di esempi e con un’ermeneutica forte, alla loro centralità nell’universo medievale e dantesco.
Ultimo e di grande interesse, dal fronte accademico, è il volume collettaneo La economía política de Dante, monografico della Revista Española de Filosofía Medieval (UCOPress), a cura di Raffaele Pinto, professore di Filologia Italiana all’Università di Barcellona. Come spiega egregiamente lo stesso Pinto nell’introduzione i sei preziosi saggi prendono sul serio un tema ancora troppo poco studiato dalla dantistica ufficiale, vale a dire come la lupa- avaritia non sia solo un vizio interiore e morale, ma anche un «fattore di perversione sociale e politica che degrada insieme l’umanità tutta». La denuncia di questo pervertimento avviene fin dal I canto dell’Inferno per bocca di Virgilio, che rappresenta anche la civiltà versus la barbarie delle «prime forme del capitalismo aventi in Firenze il proprio centro di irradiazione italiano e europeo».
La voce di Dante, pur in un comune humus filosofico- teologico-politico ricostruito diligentemente da Mariano Pérez Carrasco, si innalza per la radicalità della critica, a differenza di tante connivenze teologiche del tempo, e anche per l’acutezza dell’analisi socioeconomica. Marco Romanelli giustamente libera «l’antiutilitarismo dantesco» dall’accusa di visione regressiva e reazionaria, riscoprendone l’intelligenza critica e l’attualità oggi, in tempo di "capitalocene" al suo concetto. Pregnante anche la riflessione di Donatella Stocchi Perucchio sulla denuncia dantesca del «maladetto fiore», con il denaro all’origine del capitalismo del tempo, mentre Juan Varela-Portas con grande acutezza studia la percezione sofferta biograficamente da Dante stesso di un cambio di paradigma che converte l’uomo in merce.