Agorà

Intervista. Daniels: noi neri, ancora schiavi

Luca Pellegrini lunedì 30 dicembre 2013
La Casa è famosa per essere Bianca e sede del potere politico americano, ma dentro pulsa un cuore di colore. E come in tutti i centri di potere, sono gli ingranaggi nascosti che ne assicurano il funzionamento. Cecil Gaines è stato un uomo pacifico e discreto a servizio di ben sette presidenti, dal 1957 al 1986. Quasi trent’anni di storia degli Stati Uniti e di lavoro come maggiordomo, raccontati da Lee Daniels (regista del drammatico Precious) nel commovente The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca, in sala dal 1° gennaio distribuito da Videa, successo in patria e grande clamore per la sua totale esclusione dalla corsa ai prossimi Golden Globe (si spera però nelle nomination agli Oscar). Il cast è importante: Forest Whitaker protagonista, Oprah Winfrey nel ruolo delicato e importante della moglie Gloria, e poi John Cusack, Jane Fonda, Cuba Gooding Jr., Robin Williams, Vanessa Redgrave, Terrence Howard, Alan Rickman, Liev Schreiber, Lenny Kravitz. Storia vera, anche se debitamente romanzata, che ha preso spunto da un articolo pubblicato nel 2008 dal Washington Post sulla figura di Eugen Allen, cui quella di Cecil si ispira, partendo da un non troppo lontano 1926 in Georgia, quando piccolo e in una piantagione di cotone subisce ancora l’orrore della schiavitù e della violenza, decidendo di reagire, in primo luogo con la fuga. Il film mette in relazione la sua vita ai grandi presidenti e avvenimenti americani del XX secolo – da Eisenhower a Reagan, con Kennedy fugace apparizione, e Martin Luther King, il movimento rivoluzionario delle Black Panther, Vietnam e Watergate – percorrendo le tappe salienti della lotta antisegregazionista e per i diritti civili della comunità afroamericana. The Butler inizia con una terribile affermazione di Cecil: «La legge era contro di noi». Tutto il film è il tragico percorso per far sì che la legge sia anche per loro. Lee Daniels pensa che le tensioni razziali non siano state affatto debellate. «Abbiamo un Presidente afroamericano – chiarisce – e questo dice moltissimo, senza giri di parole. Ma il dna della schiavitù è ancora qui. È qualcosa che non si può spazzare via. Il nostro sistema carcerario attuale è un’altra forma di schiavitù. Mentre la gente di colore raggiunge il 30% dell’intera popolazione americana, quella costretta in prigione è il 60% del totale. Significa una persona di colore ogni quindici, rispetto a un bianco ogni centosei. Per me questo certifica che la legge è ancora contro di noi».Perché è rimasto così affascinato dal personaggio di Cecil?«È un domestico. Io provengo da una famiglia di persone di servizio. Tutti gli afroamericani lo sono stati. Il mio film racconta le nostre lotte e le nostre battaglie. Ho voluto pagare un tributo morale a mia madre e mio padre, i miei grandissimi genitori».«Un maggiordomo nero è una persona sovversiva senza nemmeno saperlo», dicono nel film: perché?«Dalla schiavitù noi siamo stati considerati dei selvaggi. Gente a cui non si poteva credere. Attraverso la lotta silenziosa per i suoi diritti, Cecil ha dimostrato che chi serviva poteva guadagnare la fiducia dei bianchi, a patto di rimanere passivo davanti a loro. Dovevamo provare attraverso la sottomissione che potevamo essere creduti, che si poteva avere fiducia in noi. Attraverso questa fiducia molte porte si sono aperte».Cecil alla fine del film, ormai in pensione e vedovo, stira accuratamente e indossa una cravatta appartenuta a Kennedy che gli è stata regalata. «Cecil è stato un uomo molto orgoglioso. Orgoglioso di servire il suo Paese e di lavorare per i presidenti americani. Ed è stato felicemente orgoglioso di indossare proprio la cravatta di Kennedy per la sua visita privata a Obama, il primo presidente afroamericano della storia». La lotta contro l’apartheid sudafricano entra nel suo film con alcune discussioni nello Studio Ovale: che cosa ha rappresentato per lei Nelson Mandela?«Nella storia dell’umanità ci sono stati Gesù, Ghandi, Martin Luther King e Mandela. Nessun uomo più grande di loro, con la loro diversa testimonianza, ha camminato su questa terra».