Atletica. Daniele Greco: «Sei anni di infortuni, ora salto oltre il destino»
Daniele Greco, 30 anni, secondo primatista italiano di sempre nel salto triplo
Splende il sole sui campi d’allenamento dell’Acqua Acetosa a Roma e il periodo buio può dirsi finalmente alle spalle per Daniele Greco che corre veloce in pista. Ha fretta di lasciarsi alle spalle un calvario di sei lunghissimi anni. Tanto è il tempo trascorso dallo splendido trionfo ai Campionati europei di Göteborg quando conquistò la medaglia d’oro nel salto triplo con la misura di 17,70 metri indoor: una prestazione che ancora oggi lo consacra come migliore triplista italiano di sempre dietro a Fabrizio Donato.
Quel successo continentale lo confermò ai vertici della sua disciplina, dopo lo straordinario quarto posto alle Olimpiadi di Londra 2012, ma fu anche l’ultimo prima di cadere in un incubo. Da allora un’incredibile serie di infortuni l’ha messo fuori gioco. «Ho subìto cinque operazioni. Due volte per la rottura del tendine d’achille sinistro, le altre tre per interventi alla gamba destra».
Ma non è certo tipo da piangersi addosso. Ci vuole ben altro per mettere alle corde un atleta che ha sempre trovato dentro di sé la forza per rialzarsi. Di tempo ne è passato da quando ragazzino si allenava sui campi di fortuna del suo Salento conquistando titoli su titoli tutti i campionati giovanili. Eppure lui, nonostante tutto, a 30 anni, è di nuovo in pedana, pronto per stupire ancora.
Dica la verità, non ha mai pensato di mollare?
No, mai. Ho vissuto tanti momenti difficili. E ogni volta che recuperavo mi facevo male di nuovo, è stato un vero calvario. Però nei brevi intervalli senza dolore ho sempre avuto risposte ottime. Il fatto di avere 30 anni non mi scoraggia. Sono convinto di poter ritornare ai miei livelli e anche di superare il mio primato personale, quello per cui ancora sogno la notte.
Sono i Mondiali di Doha (in programma dal 28 settembre al 6 ottobre) l’obiettivo concreto di quest’anno?
Un passo per volta. Non pensavo di riprendermi così velocemente. Ho anche già una discreta condizione, devo continuare a lavorare a testa bassa e riassaporare l’adrenalina delle gare, quella mi manca un po’. Poi certo ai Mondiali ci penso….
Ha bruciato le tappe (conquistando tra l’altro il titolo europeo Under 23). Poi sul più bello dopo il quarto posto a Londra e l’oro continentale a Göteborg gli infortuni hanno frenato la sua carriera.
Non ho rimpianti. Col senno di poi è facile pensare a quante medaglie avrei potuto avere al collo vedendo la facilità con cui superavo i 17 metri. Ma se è per questo anche ai Giochi del 2012 sono rimasto con l’amaro in bocca perché ho fatto solo tre salti, al quarto mi vennero i crampi. Però se fossi stato bene magari avrei fatto poi tre salti nulli per forzare… Con i se e i ma non si fa mai la storia.
Come ha scoperto questa disciplina?
Ci sono arrivato quasi per caso. Da bambino sono sempre stato molto veloce, giocavo in strada nella mia città a Galatone (Lecce), amavo le sfide uno contro uno. A 13 anni l’insegnante di educazione fisica mi propose di sostituire un compagno ammalato nella corsa 80 metri ostacoli. E lì fui notato da colui che reputo ancora il mio maestro, Raimondo Orsini. È stato lui a farmi innamorare di questa specialità.
Una passione più forte anche della mancanza di impianti per allenarsi.
Sì, all’inizio mi allenavo nel Salento in un contesto dove purtroppo non c’erano strutture adeguate. Dopo però le Olimpiadi del 2012, un oncologo affermato, Massimo Federico, prese a cuore la mia situazione e fece nascere un comitato spontaneo che con una raccolta fondi portò alla costruzione di una palestra.
Che cos’ha di speciale il salto triplo?
Io lo adoro perché innanzitutto è uno sport individuale con cui puoi misurarti con te stesso senza trucchi e senza inganni. E poi è la mia specialità perché devi riuscire a coordinare esplosività, elasticità e velocità. Un mix che lo rende unico. Anche se c’è bisogno di lavorare tanto sulla tecnica.
Chi sono stati i suoi idoli?
Da sempre il mio modello è stato l’ex triplista britannico Edwards, campione olimpico a Sidney nel 2000 e tuttora primatista del mondo. Ma non è mai stato un idolo. Io non ho idoli. Il mio unico riferimento è solo Cristo.
La sua fede non è un mistero. A Göteborg dopo la vittoria fece scalpore la maglietta che indossò con su scritta la frase di san Paolo «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4, 13).
Fu un gesto spontaneo, nessun bigottismo. Anche perché è una maglietta che porto sempre con me. L’avevo usata anche nel 2012 a Potenza quando feci una delle mie migliori prestazioni, ma allora c’erano pochi giornalisti e non se ne parlò. So bene che dire di essere cristiani è una responsabilità ma per me è una cosa normale. Mi sono meravigliato di quel clamore.
Quanto ha contribuito la sua famiglia alla sua crescita?
Tanto, perché sono persone semplici e non mi hanno mai messo pressione. Poi sono stati loro a trasmettermi la fede, il dono più bello. A 13 anni ho perso un fratello poco più grande di me e proprio sperimentando quel dolore mi sono avvicinato ancora di più a Cristo. Tuttora faccio parte del coro della parrocchia San Francesco di Assisi di Galatone. La preghiera mi ha dato sempre una grande carica. Lo dico anche a quelli che si dicono atei: credere in qualcosa ti dà una marcia in più. Poi certo che per me il massimo è credere in Cristo più che in una foglia d’albero.
Sta già pensando a cosa farà al termine della sua carriera?
No. Voglio arrivare almeno a Tokyo 2020 per completare un percorso. Ma non è detto che smetta. Adesso sono fidanzato con una ragazza, Marilena, con cui c’è grande sintonia al punto che condividiamo il progetto di metter su una famiglia. Però può benissimo coesistere con l’impegno agonistico.
Ci sarà ancora lo sport nel suo futuro?
Magari come allenatore. Però sono poliziotto, corro per le Fiamme Oro, voglio fare tutto il percorso nella polizia. Poi io non mi nascondo: sono fiero di venire da una famiglia di contadini, ho sempre aiutato con piacere mio padre in campagna anche durante le stagioni agonistiche. E il mio sogno un giorno è ritornare laggiù.