Società. Sussidiarietà, la persona al centro: dallo stato etico allo stato sociale
Mentre attendo di poter leggere il numero speciale della rivista Società, diretta da Claudio Gentili, dedicato all’affascinante tematica della sussidiarietà, mi confronto con la sintesi dell’intervento del filosofo Dario Antiseri, pubblicata sul nostro giornale il 15 ottobre scorso (QUI l'articolo). Un testo meritevole di ulteriori approfondimenti che fa riflettere e discutere. Fa riflettere in quanto produce una serie di rimandi non solo alla dottrina sociale della Chiesa, bensì anche, se non soprattutto, per i richiami a grandi pensatori del passato quali Alexis de Tocqueville (1805-1859), Antonio Rosmini (1797-1855) e Friedrich August von Hayek (1899-1992). Riservandomi ulteriori approfondimenti in sede scientifica, soprattutto relativi all’interpretazione del rapporto Tocqueville/ Rosmini, vorrei ora proporre alcune osservazioni in margine alla tesi di Antiseri qui esposta. Due preoccupazioni di fondo mi sembrano emergere nelle sue righe: quella che concerne la necessità di contrastare lo statalismo e quella che ritiene di doversi contrapporre all’assistenzialismo, che l’autorevole filosofo sembra annettere all’orizzonte del collettivismo. Il principio di sussidiarietà costituirebbe l’antidoto a tali derive e ciò in quanto viene qui presentato come espressione di una visione liberale e naturalmente democratica della società e della politica. Tale principio, centrale nella dottrina cattolica, risulta decisamente contro-corrente, se si riflette ad esempio sulla sua radice nel “sussidio”, tanto deprecato da ambienti liberisti e reazionari La prospettiva statalista affonda le sue radici nella stessa genesi assolutizzante dello stato moderno teorizzato in quanto tale da Thomas Hobbes, come ha rilevato Jacques Maritain nel suo L’uomo e lo Stato del 1951. L’apice-compimento di tale visione è da cogliersi nella dottrina dello stato etico, contro cui ha lanciato i suoi strali con notevole senso profetico Franz Rosenzweig nel suo Hegel e lo Stato (tesi dottorale del 1912). La nascita degli statalismi totalitari si deve alla contrapposta ideologizzazione emersa dalla dissoluzione della dialettica hegeliana. Sembrerebbe una prospettiva ormai superata nel nostro contesto italiano postbellico; tuttavia, tracce di statalismo sono rinvenibili in alcune forme culturali del nostro presente, ad esempio allorché (e il linguaggio è importante) si considerano la scuola e la sanità cattoliche sinonimi di scuola e sanità private. E ciò accade semplicemente perché lo “statale” si annette il “pubblico”, dimenticando che anche quelle sopra indicate siano istituzioni e servizi di carattere pubblico, sicché risulta pretestuoso il teorema secondo cui le risorse che si destinano alla scuola cattolica vengano sottratte a quelle della scuola statale (la sola ritenuta pubblica). Se si usano correttamente gli aggettivi, la sussidiarietà richiede un incremento del sostegno alle istituzioni non statali perché esse non diventino o rimangano fruibili solo dalle classi abbienti. E ciò nella convinzione, difficilmente contestabile, che il soggetto dell’educazione non è né può essere lo stato, come nei regimi totalitari, ma si identifica con la famiglia. Se in rapporto allo statalismo, il principio sussidiario può essere considerato un antidoto, capace di relativizzare il potere dello stato stesso, non così nei confronti del solidarismo. Se è vero che la dottrina sociale della Chiesa cattolica si è sempre contrapposta all’ideologia collettivista, è del resto facilmente rilevabile come sia in sede di Magistero che di teologia si siano prese distanze radicali anche dal liberalismo. Sintomatico il fatto che Antiseri per la contrapposizione al collettivismo citi un documento critico nei confronti della teologia della liberazione. Certamente il principio di sussidiarietà può essere letto in chiave sostanzialmente liberale, ma, a modesto parere di chi scrive, esso, nella sua versione cristiana ed evangelica, non può essere disgiunto dal principio di solidarietà, propria dello “stato sociale”. Non si tratta di sostenere un assistenzialismo deresponsabilizzante, piuttosto di interpretare la necessità del sostegno che lo stato deve a istituzioni e strutture che operano a favore dell’umano e della giustizia in termini sussidiari, come attuazione del principio evangelico della scelta preferenziale dei poveri e degli ultimi, che ad esempio l’economia solidale, sostenuta da papa Francesco, richiama e tenta faticosamente di rendere presente nel contesto della logica di mercato (spesso si dice “libero mercato”) oggi dominante. A tal proposito il contesto teologico-economico più congruo rispetto al principio di sussidiarietà è quello della solidarietà che va ripensata secondo l’indicazione di papa Francesco «non più come semplice assistenza nei confronti dei più poveri, ma come ripensamento globale di tutto il sistema, come ricerca di vie per riformarlo e correggerlo in modo coerente con i diritti fondamentali dell’uomo e di tutti gli uomini ». Non è, infatti, «la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile; non è questa, ma la cultura della solidarietà; la cultura della solidarietà è vedere nell’altro non un concorrente, o un numero, ma un fratello. E tutti noi siamo fratelli!». Tutto ciò implica il superamento di quella che il teologo Johann Baptist Metz denominava la “religione borghese” ( Al di là della religione borghese del 1980), che fa capolino anche in diverse considerazioni emergenti nell’oggi. Se queste ultime riflessioni mi distanziano non poco dalla prospettiva di Antiseri, non posso invece non condividere la tesi secondo cui è la dignità dell’uomo il fulcro del pensiero socio-politico che intenda ispirarsi all’Evangelo. E questo perché sia il filosofo che il sottoscritto hanno imparato dalla filosofia del diritto di Antonio Rosmini che «la persona ha nella sua natura stessa tutti i costitutivi del diritto: essa è dunque il diritto sussistente, l’essenza del diritto». E la persona non corrisponde né al soggetto, né all’individuo così come la modernità liberistica li pensa. Se un superamento della dottrina dello stato etico è non solo auspicabile, ma da perseguirsi strenuamente non solo in sede po-litica, ma soprattutto culturale, tale oltrepassamento può rinvenirsi, attraverso il principio di sussidiarietà, nella concezione, insieme teologica e filosofica, dello “stato sociale”.